Lecito dunque nutrire qualche cautela davanti all'annuncio di un piano d'emergenza sulle carceri italiane che verrà presentato oggi in Consiglio dei ministri dal ministro di Grazia e giustizia Angelino Alfano, nel quale, salvo sorprese, dovrebbe esserci posto anche per un nuovo carcere a Brescia. Ben vengano progetti e piani di emergenza, ma quelle parole pronunciate da Giovanni Conso 16 anni fa e in un modo o nell'altro confermate nel tempo da ministri di destra e di sinistra, ci spingono ad una sana diffidenza nella politica degli annunci, soprattutto in anni di risparmi "coatti". Il solito disfattista? No, solo sano realismo. Un esempio: ricordate il piano caserme che prevedeva 24 nuovi presidi dei carabinieri in Lombardia e a Brescia la costruzione di nuove stazioni a Botticino, Erbusco, Flero, Mazzano, Pontoglio, Sarezzo? L'accordo, ci dice un articolo dell'Archivio storico del Corriere della Sera era stato firmato il 28 maggio del 2004 e sei anni dopo a Brescia è operativa solo la stazione dei carabinieri di Mazzano e le altre strutture sono ferme per mancanza di soldi, nonostante l'impegno di molte amministrazioni locali. Con esempi come questi, come non credere alla politica degli annunci?
Così come un bagno di sano realismo va fatto al corollario che accompagnerà il piano di emergenza sulle carceri: la promessa dell'aumento dell'organico della polizia penitenziaria (2 mila agenti in più) e riforme di accompagnamento all'uscita dal carcere con, ad esempio, la detenzione domiciliare per le pene residue di un anno. Secondo le statistiche, però, mancano già 4 mila agenti operativi al piano del 2001 che prevedeva in organico 42 mila uomini della polizia penitenziaria e sul tema della carcerazione il legislatore italiano ha sempre avuto un atteggiamento a dir poco ondivago ed emozionale. I risultati delle commissioni ministeriali chiamate a trattare in forma organica ipotesi di depenalizzazioni per i reati minori (talvolta è più deterrente una multa pesante di una detenzione blanda) e un piano incisivo di pene alternative hanno ottenuto sempre risultati modesti e il più delle volte rimasti sulla carta. In compenso custodia cautelare e "penalizzazioni" di alcuni comportamenti sono state spesso usate sull'onda delle emozioni più che nell'ottica di una organica politica penale e penitenziaria. E il tema delle pene alternative - lo dice bene oggi don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano in una lettera al Corriere della Sera - è un volano indispensabile per decuplicare i benefici che arriveranno dalla costruzione di nuove strutture carcerarie. Le carceri - racconta il prete milanese - sono spesso popolate da persone disperate che scontano pene residue per reati minori (piccoli furti, magari commessi anni prima in situazioni di disagio ed emarginazione), carcerazioni che arrivano anni dopo, inesorabili, anche quando qualcuno ha ormai risalito la china del disagio ritrovandosi nel bel mezzo di un nuovo tsunami esistenziale.
Parlare di umanità restituita alla carcerazione è anche questo: progettare muri ma anche ristrutturare un approccio sociale al trattamento penitenziario che negli anni si è perso fra gli ingranaggi di quella macchina male in arnese che si chiama Giustizia. Una macchina che da anni ha bisogno di risorse vere e non di parole. Sarà la volta buona?
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