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martedì 30 novembre 2010

La scuola che vorrei a "Vieni via con me"

Vieni via con me, la trasmissione condotta da Fabio Fazio e Roberto Saviano per Rai Tre, ha chiuso ieri sera con l'ennesimo botto di ascolti e una lezione di vita al concorrente diretto "Il Grande fratello". Sarà anche per questo che qualcuno parla di tv della noia e dell'ovvietà, ma viene da chiedersi se è meglio preferire la noia e l'ovvietà di "Vieni via come me" al nulla del "Grande fratello". Comunque, libera scelta in libero Stato, almeno fin che si può anche perchè la trasmissione targata Fazio-Saviano (a proposito, è prodotta da una società del gruppo Mediaset, la Endelmon, giusto per dire chi sa fiutare gli affari) avrà anche ritmi blandi e noiosi, ma impone delle riflessioni necessarie in questa Italia che spesso viene rappresentata come un mondo diverso, come qualcosa di scollegato da chi lo abita.

Domenico Starnone
Fra i tanti elenchi ospitati nell'ultima puntata (leggili cliccando qui) ce n'era uno che mi ha colpito particolarmente. E' quello letto dallo scrittore e giornalista Domenico Starnone sulla scuola. Dipinge "una scuola che vorrei", una scuola che, però, non mi sembra compaia in alcuna riforma, in alcuna enunciazione di principio da parte di politici e di insegnanti.
Ma ecco l'elenco del peggio e del meglio della scuola:
1. La scuola peggiore è quella che si limita a individuare capacità e meriti evidenti. La scuola migliore è quella che scopre capacità e meriti lì dove sembrava che non ce ne fossero.
2. La scuola peggiore è quella che esclama: meno male, ne abbiamo bocciati sette, finalmente abbiamo una bella classetta. La scuola migliore è quella che dice: che bella classe, non ne abbiamo perso nemmeno uno.
3. La scuola peggiore è quella che dice: qui si parla solo se interrogati. La scuola migliore è quella che dice: qui si impara a fare domande.
4. La scuola peggiore è quella che dice: c’è chi è nato per zappare e c’è chi è nato per studiare. La scuola migliore è quella che dimostra: questo è un concetto veramente stupido.
5. La scuola peggiore è quella che preferisce il facile al difficile. La scuola migliore è quella che alla noia del facile oppone la passione del difficile.
6. La scuola peggiore è quella che dice: ho insegnato matematica io? Sì. La sai la matematica tu? No. 3, vai a posto. La scuola migliore è quella che dice: mettiamoci comodi e vediamo dove abbiamo sbagliato
7. La scuola peggiore è quella che dice: tutto quello che impari deve quadrare con l’unica vera religione, quella che ti insegno io. La scuola migliore è quella che dice: qui si impara solo a usare la testa.
8. La scuola peggiore rispedisce in strada chi doveva essere tolto dalla strada e dalle camorre. La scuola migliore va in strada a riprendersi chi le è stato tolto.
9. La scuola peggiore dice: ah com’era bello quando i professori erano rispettati, facevano lezione in santa pace, promuovevano il figlio del dottore e bocciavano il figlio dell’operaio. La scuola migliore se li ricorda bene, quei tempi, e lavora perché non tornino più.
10. La scuola peggiore è quella in cui essere assenti è meglio che essere presenti. La scuola migliore è quella in cui essere presenti è meglio che essere assenti.
 In questo decalogo ho incontrato la scuola migliore e peggiore che in questi anni ho incrociato da genitore, da professionista, da chi a scuola come nella vita è convinto che alla noia del facile vada opposta la passione del difficile. Quella stessa passione che mi ha permesso di conoscere, ad esempio, persone accusate di efferati delitti festeggiare in cella, prima il diploma e poi la laurea conseguiti in carcere.
Su questo tema mi sembra che troppi stiano andando nella direzione della scuola peggiore, quella che non vuole faticare. Non saprei definire in altro modo i volti attoniti degli insegnanti che, dopo aver descritto con enfasi classi iperattive, vivaci e un po' destabilizzanti e aver attribuito a quei comportamenti tutti i mali di una didattica a singhiozzo, non sanno rispondere ad una domanda semplice, semplice: "Che fare per uscire da questa situazione, che fare per riportare nel solco della correttezza chi è sopra le righe?" Meglio dire "meno male ne abbiamo bocciati sette, finalmente abbiamo una bella classetta" o "che bella classe non ne abbiamo persone neanche uno"?
E' un dilemma, questo, sul quale ci troveremo a costruire il nostro futuro e c'è voluta una trasmissione tv per ricordarcelo e farci riflettere un po'.

GUARDA TUTTA LA PUNTATA

domenica 28 novembre 2010

Gocce di memoria

Questa sera si ritroveranno in tanti a Brescia nella Sala Piamarta di via San Faustino per riflettere su piazza della Loggia dopo la sentenza assolutoria sulla Strage del 28 maggio '74. Non potrò partecipare a quel suffragio laico, ma vorrei condividere quel momento postando questa canzone, struggente come poche.

venerdì 26 novembre 2010

Segreto di Stato. Maroni: si può fare

Copio e incollo una notizia Ansa che mi pare interessante e di buon auspicio, ammesso che il governo regga fino a fine legislatura:

(ANSA) - BRESCIA, 26 NOV - "La legge sul segreto di Stato se si vuole puo' anche essere cambiata". Lo afferma il ministro dell'Interno Roberto Maroni commentando la proposta dei familiari delle vittime della strage di Piazza della Loggia di togliere il segreto di Stato. "Sono sempre per la totale trasparenza - aggiunge - anche se questa decisione specifica non e' di competenza del mio ministero". "Il segreto di Stato esiste in tutti i Paesi, non per coprire indagini o qualcuno, ma per ragioni di sicurezza nazionale".

Chiedere è lecito?

"Ogni domanda alla quale si possa dare una risposta ragionevole è lecita".
Konrad Lorenz
(da Il cosidetto male)
Stamane mi sono imbattuto in un programma tv (Agorà di Andrea Vianello) in cui ci si poneva una domanda semplice: "Chiedere è lecito?". Il riferimento era alla telefonata del premier all'ultima puntata di Ballarò nella quale, dopo un monologo e dopo aver dato del mistificatore al conduttore, troncava la comunicazione prima di rispondere alle domande da studio. A me sono venuti in mente due recenti servizi tv in cui altrettanti politici, Mara Carfagna e Roberto Cota, facevano altrettanto. Nel primo caso la giornalista del TG3, approfittando della presenza del ministro ad una manifestazione contro la violenza alle donne, aveva chiesto delle tensioni all'interno del Pdl, sentendosì zittire da un solerte portavoce. Nel secondo servizio si sentiva un Roberto Cota, governatore del Piemonte, spiegare che aver detto no ai rifiuti della Campania era un atto di responsabilizzazione nei confronti degli amministratori del Sud. Alla domanda successiva, però, su come conciliasse il fatto che il suo partito (la Lega Nord) a Roma diceva che bisognava accogliere i rifiuti di Napoli e in Piemonte lo stesso partito faceva le barricate, il coerente Cota preferiva alzare i tacchi e andarsene.
Chiedere è lecito, rispondere è cortesia, ma mi sembra si stia esagerando: nella politica come nelle istituzioni (provate a lavorare su notizie scomode, magari di quelle che per ragioni di opportunità non passano dalla grancassa e dalle "messe cantate" delle conferenze stampa e poi ditemi quello che succede, quali pressioni incontrate). Certo, sono preferibili microfoni e taccuini allo stato brado che domande puntigliose che potrebbero mettere a nudo incapacità operative o, peggio, incompetenza. Meglio classificare i giornalisti in amici e nemici che pensare che entrambi stanno semplicemente facendo il loro lavoro: fare domande e avere delle risposte.
Nel corso del programma di Vianello qualcuno ha spiegato che all'estero un politico che non risponde alle domande verrebbe prima massacrato dai media e poi dai suoi stessi elettori. In Italia, strano paese, viene spesso dipinto come un eroe. Peccato che, in Italia come altrove, sia campione solo di una cosa: di arroganza.



giovedì 25 novembre 2010

Via il segreto di Stato sulle stragi: un appello


Le Stragi degli anni '70 stanno al Segreto di Stato come i silenzi e i depistaggi stanno all'ingiustizia. Così, dopo la sentenza di assoluzione pronunciata poco più di una settimana fa a conclusione del processo di primo grado per la Strage di Piazza della Loggia a Brescia, parte un appello al presidente della Repubblica per togliere il segreto di Stato sulle Stragi italiane.


Ecco il testo dell'appello che ovviamente ho già sottoscritto, così come spero faranno i lettori di questo blog

Al Presidente della Repubblica, al Presidente del consiglio e ministri interessati, ai Presidenti di Copasir e delle Commissioni parlamentari d’inchiesta.

Un’intera stagione, quella dello stragismo che ha macchiato di sangue l’Italia, rischia di essere archiviata a seguito della recente sentenza sulla strage di Piazza della Loggia, Brescia, che ha assolto per insufficienza di prove tutti gli imputati. Un’assoluzione sulla quale ha pesato non il ricorso a segreti di Stato, bensì silenzi e reticenze di comodo, anche da parte di uomini appartenenti alle istituzioni.
Per garantire un cammino trasparente alla giustizia, anche in relazione al resto delle inchieste tuttora in corso per altri fatti di criminalità organizzata, e rendere possibile la ricerca storica su quegli anni, avvertiamo sempre di più una triplice esigenza:
chiediamo che siano aperti tutti gli archivi con una gestione che ne faciliti l’accesso a tutti i soggetti interessati, senza preclusione alcuna;
chiediamo che vengano fatte decadere tutte le classificazioni di segretezza su tutti i documenti relativi all’evento - compreso i nominativi ivi contenuti - in possesso in particolare dei servizi segreti, della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza, che i documenti vengano catalogati e resi pubblici senza distinguere tra documenti d’archivio e d’archivio corrente;
chiediamo che in tal senso sia data piena attuazione alla legge del 3 agosto 2007, n.124 che regola il segreto di Stato la quale prescrive che, passati al massimo trent’anni dalla data in cui è stato apposto il segreto sull’evento e sui relativi documenti o dalla data in cui sia stato opposto al magistrato che indagava, tutti i documenti che si riferiscono all’evento siano resi pubblici e consultabili. Non è più accettabile che a tutt’oggi manchino gli specifici decreti attuativi. In tal senso il Freedom of Information Act statunitense ci pare un modello a cui è possibile ispirarsi
L’ipotesi, avanzata dalla commissione Granata nel Copasir, di reiterare il segreto di stato dopo trent’anni è inaccettabile.
Chiediamo alle nostre istituzioni di attivarsi il più decisamente possibile affinché gli Stati che sono oggetto di richieste di rogatorie internazionali collaborino fattivamente e rapidamente.
Occorre garantire alla verità e alla giustizia il giusto corso, non dobbiamo consegnare le generazioni che si sono succedute da allora ad oggi alla rassegnazione e all’avvilimento.
Auspichiamo una volontà politica reale volta all’accertamento di tutti i fatti criminali che hanno sconvolto la storia d’Italia.

Ecco l'elenco dei primi firmatari.

Carlo Arnoldi (associazione vittime Piazza Fontana)
Gianni Barbacetto (giornalista de Il Fatto Quotidiano)
Alfredo Bazoli (associazione vittime Piazza della Loggia)
Carole Beebe Tarantelli (psicanalista)
Filippo Bertolami (sindacalista di polizia)
Giovanni Bianconi (giornalista del Corriere della Sera)
Paolo Bolognesi (associazione vittime della strage di Bologna)
Daria Bonfietti (associazione vittime di Ustica)
Giorgio Boatti (scrittore)
Paolo Brogi (giornalista)
Lucia Calzari (associazione vittime Piazza della Loggia)
Angela Camuso (giornalista dell’Unità)
Susanna Camuso (segretario generale della Cgil)
Felice Casson (senatore)
Antonio Celardo (associazione vittime Rapido 904)
Paolo Corsini (deputato)
Paolo Cucchiarelli (giornalista dell’Ansa)
Fabio Cuzzola (storico)
Olga D’Antona (deputato)
Giuseppe D’Avanzo (giornalista di Repubblica)
Conchita De Gregorio (direttore dell’Unità)
Giuseppe De Lutiis (storico)
Enrico Deaglio (giornalista)
Giovanni Fasanella (giornalista di Panorama)
Sergio Flamigni (storico)
Dario Fo (attore)
Anna Foa (storico)
Mimmo Franzinelli (storico)
Milena Gabanelli (conduttrice di Report)
Aldo Giannuli (storico)
Ferdinando Imposimato (giurista)
Francesco La Licata (giornalista de La Stampa)
Claudio Lazzaro (giornalista)
Paride Leporace (direttore Quotidiano della Basilicata)
Gad Lerner (conduttore dell’Infedele)
Stefania Limiti (giornalista)
Carlo Lucarelli (scrittore)
Otello Lupacchini (magistrato)
Giovanna Maggiani Chelli (associazione vittime della strage dei Georgofili)
Cristiana Mangani (giornalista del Messaggero)
Brunello Mantelli (storico)
Daniele Mastrogiacomo (giornalista di Repubblica)
Manlio Milani (associazione vittime Piazza della Loggia)
Ilaria Moroni (rete archivi per non dimenticare)
Gianluigi Nuzzi (giornalista di Libero)
Antonio Parisella (storico)
Valentino Parlato (giornalista del Manifesto)
Paolo Pezzino (storico)
Lorenzo Pinto (associazione vittime Piazza della Loggia)
Alessandro Portelli (storico)
Rosario Priore (magistrato)
Sandro Provvisionato (giornalista del Tg5)
Franca Rame (attrice)
Sabina Rossa (deputato)
Guido Salvini (magistrato)
Roberto Saviano (scrittore)
Salvatore Sechi (storico)
Federico Sinicato (avvocato)
Benedetta Tobagi (scrittrice)
Maurizio Torrealta (giornalista di RaiNews24)
Nicola Tranfaglia (storico)
Guido Viale (economista)
Rosa Villecco Calipari (deputato)

Se vuoi firmare anche tu puoi mandare una mail a
casadellamemoria@28maggio74.brescia.it oppure puoi, attraverso il sito di Repubblica, cliccare qui


mercoledì 24 novembre 2010

Carcere i miracoli della letteratura


Anche ammanettato, puoi rubare
se non altro
le innocenze



A chi è rimasto
ho rubato
le lame oblique
del sole d'ottobre
A chi è rimasto
ho rubato
gli anni di sorrisi sciocchi
tutte le saggezze degli errori
A chi è rimasto
ho lasciato 
come prigione il mondo
e me ne sono andato
Io piccolo re
di queste fortezze,
che non mi appartengono
A chi è rimasto
 Luca  Denti



La letteratura può fare miracoli. Se lo dice uno come Ernesto Ferrero, scrittore, anima del Salone del Libro di Torino, uno che apre il suo sito con una domanda "E' possibile cambiare il mondo con i buoni libri?", c'è da dargli fiducia. Se la riflessione, arriva da un luogo insolito come un carcere, davanti ad una platea di detenuti, l'ipotesi di lavoro è quasi un moto rivoluzionario. Come rivoluzionaria è quella signora minuta che gli siede accanto, ha superato gli ottanta ma la tenacia è quella di una giovane in carriera, si chiama Lucia Casalini ed è la vedova di Emanuele Casalini, un professore di letteratura che ha voluto portare la cultura, come condivisione e crescita comunitaria, in un supercarcere come quello di Porto Azzurro.
A Emanuele Casalini è intitolato un premio letterario nazionale per detenuti che ieri è approdato a Brescia al carcere di Verziano per le premiazioni. Così dal presidente della giuria, Ernesto Ferrero, sono arrivate parole di speranza, segnali che attraverso la letteratura si può crescere insieme, ci si può emancipare, ci si può riscattare. E ciò che sorprende, sfogliando il volume che raccoglie i vincitori e i segnalati dell'edizione 2010, è trovare prose mature, liriche interessanti e storia che vale la pena raccontare. Come quella dell'ex sub finito nel carcere di Bari che bissa il successo dello scorso anno con un altro racconto di mare, con un'altra struggente  "evasione" della mente verso le coste antistanti l'Albania, oppure con la storia dell'ergastolano che a vent'anni, nel '91, fu condannato per un duplice omicidio e che nel 2009 è riuscito ad ottenere la revisione del processo e l'assoluzione dalla Corte d'assise di Messina, oppure, ancora, con i pensieri dell'ex mago delle false fatturazioni e delle frodi fiscali chiamato a far nuovamente di conto, ma con la Giustizia, e che qui, in carcere, si scopre scrittore.
Parole che aiutano ad essere liberi, ad aspirare ad una libertà più matura, ad apprezzare valori veri e non ricchezze effimere, mondi deviati. Parole che aiutano al confronto, aiutano a crescere a mettersi in relazione con gli altri.
Parole che riescono a costruire un ponte tra fuori e dentro, così come l'iniziativa proposta a margine del Premio Casalini dall'associazione bresciana Carcere e Territorio, che ha invitato gli studenti a scrivere di carcere ottenendo riflessioni interessanti, metafore intriganti, storie che fanno diventare adulti.
Qualcuno, si è detto ieri, ha già trovato dove pubblicare le sue opere, altri, forse, lo faranno in seguito. Per tutti le pagine di un libro sono come ali: riescono a dare una libertà fino a quel momento insperata. La libertà dettata dalla consapevolezza di costruire uomini migliori.




L'altra libertà edizione 2009

martedì 23 novembre 2010

Strage di Brescia... "vieni via con me" Italia dei misteri

Fugace, toccante. Intima. Manlio Milani ha letto ieri da Fazio e Saviano i nomi delle vittime della Strage di piazza della Loggia, i nomi di quelle anime senza pace. E come se l'Italia, quella seduta in salotto, fosse arrivata in Piazza Loggia, avesse ascoltato attonita il suono sordo della bomba, quella deflagrazione che scuote ancora dal di dentro nonostante siano passati 36 anni; si fosse messa davanti a quella stele, a quella colonna sbrecciata e avesse letto quegli otto nomi, avesse tentato di immaginare quelle otto storie di insegnanti e pensionati, avesse tentato di immaginare, 36 anni dopo, come sarebbero le loro vite se non fossero state spazzate via dalla schegge della bomba, se non fossero state vilipese, nel corso dei decenni, da una verità sempre incompleta, da silenzi istituzionali e dall'incapacità di una nazione di fare i conti con  i propri fantasmi.





1. Giulietta BANZI BAZOLI, anni 34, insegnante
2. Livia BOTTARDI MILANI, anni 32, insegnante
3. Clementina CALZARI TREBESCHI, anni 31, insegnante
4. Alberto TREBESCHI, anni 37, insegnante
5. Euplo NATALI, anni 69, pensionato
6. Luigi PINTO, anni 25, insegnante
7. Bartolomeo TALENTI, anni 56, operaio
8. Vittorio ZAMBARDA, anni 60, operaio

Verrebbe voglia di portarseli via, questi otto nomi, questi otto volti, da questa Italia che ancora non vuole capire, che fa finta di non capire, che fa finta di cercare altrove colpe che altrove non sono.
Verrebbe voglia di dire "vieni via con me", via dall'Italia dei misteri e delle ingratitudini, da quell'Italia che sotto sotto crede ancora che, se eri in piazza quel giorno, forse un po' te la sei cercata.
Ma io resto, resto per gente come Manlio Milani e per quanti come lui lavorano per tenere viva la memoria, per una nzione che non conosca altri drammi come quelli degli anni '70.
Resto perchè nel '74 avevo 11 anni, oggi ne ho 47 è quei nomi mi sono entrati dentro, come se fossero parenti. Forse sono parenti di tutti noi che crediamo in un'Italia migliore.
Quella che sa onorare i morti, rispettare ed appagare la voglia di giustizia e verità dei vivi. Quella che non vorrebbe dire mai "vieni via con me".

domenica 21 novembre 2010

Strage: lettera aperta di Milani dopo la sentenza

Condivido con voi questa lettera aperta che Manlio Milani, presidente dei famigliari dei caduti nella Strage di piazza Loggia, ha indirizzato ad Alfredo Bazoli, figlio di Giulietta Banzi Bazoli, una delle vittime. Alfredo, oggi avvocato ed esponente del Pd bresciano, aveva quattro anni quando la madre morì (clicca qui per leggere la sua storia comparsa nei giorni scorsi sul Sole 24Ore) e all'indomani della sentenza di assoluzione ha avuto parole indignate nei confronti dell'onorevole Viviana Beccalossi (Pdl, ex An e Msi) che ha sostenuto che le indagini sulla Strage non hanno portato mai a nulla di concreto perchè hanno indagato sempre e solo a destra. La lettera di Manlio Milani è comparsa oggi sul quotidiano Bresciaoggi. Mi sembra un utile contributo al dibattito che si è sviluppato dopo la sentenza di assoluzione arrivata a 36 anni dai fatti.


Alfredo Bazoli e Manlio Milani
(al centro della foto)
 Caro Alfredo,
mi ha colpito la tua indignazione per le frasi pronunciate dall’on. Viviana Beccalossi, soprattutto perché tendenti a non riconoscere i fatti storici, così come sono avvenuti e dentro i quali si colloca la strage di Piazza della Loggia. Una indignazione che contrasta con la tua abituale riflessività.
Sono andato a leggere il verbale di quanto dichiarato alla Camera dall’on. Beccalossi: ne sono rimasto sconcertato, amareggiato profondamente, tanto più perché dette nel luogo che è il cuore di quelle Istituzioni rappresentative che il 28 maggio 1974 Giulietta, Livia, Clem, Alberto, Luigi, Euplo, Vittorio, Bartolomeo assieme a migliaia di cittadini bresciani, si ritrovarono in Piazza Loggia per difenderle dalla violenza neofascista.
Sconcertato non tanto per il richiamo da Lei fatto: che venga fatta giustizia..anche a tutti coloro che per 36 anni hanno dovuto convivere con’un ombra sulla testa, quasi come se fossero tutti responsabili. In proposito vorrei ricordare che all’epoca della prima inchiesta molte parti civili e ampi strati della società bresciana contestarono immediatamente i limiti “localistici” di quell’indagine, e ne denunciarono i metodi inquisitori messi in atto per darci dei colpevoli e non i colpevoli.
Un’indagine che in questo processo è diventata una sorta di corpo del reato (e ho ben presente i drammatici racconti fatti in aula da chi, allora, subì quell’indagine) e che deve aver avuto il suo peso se l’allora indagatore cap. Delfino è stato oggi assolto per insufficienza di prove dal reato di concorso in strage.
Perché è bene ricordare che l’assoluzione dei cinque imputati per insufficienza di prove ci dice che quanto si è formato nel dibattimento non è stato sufficiente, a parere della corte giudicante, per poter condannare “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ed è tragicamente amaro constatare che se molte delle documentazioni oggi note non fossero state tenute nascoste agli inquirenti nel 1974 (e in questo processo sappiamo che così è stato testimoniato) la vicenda processuale su Piazza Loggia avrebbe avuto ben altri risultati.
Sconcertato, dicevo, laddove l’on. Beccalossi sottolinea che nessuna delle stragi degli anni Settanta ha avuto giustizia, quindi, richiamando la sentenza di questi giorni, critica aspramente l’on. Paolo Corsini quando dice che il teorema di una strage di destra su piazza Loggia sia ancora valido, per poi concludere che: Probabilmente, se per trentasei anni non avessimo insistito a seguire le indagini solo in una direzione, oggi, la verità sarebbe più vicina per tutti i bresciani.
In sostanza, la richiesta perché in questo momento si ricordino…anche coloro che, seppur non fisicamente, sono caduti su finte verità, serve (mi auguro non consapevolmente), all’on. Beccalossi per falsificare le verità storiche ormai da tempo acquisite, vale a dire : che le stragi di quegli anni, da piazza Fontana in poi , hanno come “marchio di fabbrica” (Giampaolo Zorzi, sentenza-ordinanza 23.5.1993) la destra eversiva (non la destra tout court) che ha agito in collusione con uomini degli apparati istituzionali che anziché difendere le istituzioni, hanno tramato contro di esse in nome di un viscerale anticomunismo, vero collante ideologico per questi gruppi eversivi. Basterebbe leggere le sentenze su Piazza Fontana, Questura di Milano, Peteano, Piazza Loggia, Italicus, Bologna per trovare conferma di tutto ciò.
Certo, di queste stragi molte non hanno giuridicamente visto sancire le responsabilità individuali. Ma la funzione ultima del processo è appunto quella di verificare le responsabilità o meno dei singoli, e giustamente laddove non si sono ritenute sufficienti le prove per una condanna si è assolto.
Un principio che non annulla, ci dicono le motivazioni delle sentenze, che quelle stragi, sono state pensate da quelle espressioni politiche – destra eversiva - e da esse realizzate in quanto strumenti di violenza finalizzati a creare caos e paura nel paese per poter giustificare un mutamento istituzionale della nostra democrazia. E tutto questo, piaccia o no all’on. Beccalossi, ha trovato conferma non solo nel corso del dibattimento processuale, ma si è riflesso nel dispositivo della sentenza odierna. E sono certo che le sue motivazioni non potranno che ribadire, come in passato, tutto ciò.
Questo episodio, e mi auguro resti isolato, sottolinea però che se vogliamo che il Paese sappia raggiungere, su quegli anni, una verità e una memoria storica comunemente riconosciuta essa ha bisogno che quanto appurato in sede giudiziaria, e non solo, venga appunto riconosciuto e accettato, anche quando è in contrasto con i propri convincimenti.
Per quanto ci riguarda, noi le sentenze le abbiamo accettate e rispettate e da lì siamo sempre ripartiti per portare avanti la ricerca della verità e della giustizia che non riguarda solo noi ma l’insieme del paese. Un principio che teniamo come fermo punto di riferimento convinti che questo sia il modo migliore e più serio per non dimenticare chi si è sacrificato per tutti noi, nessuno escluso.
Ciao e a presto
Manlio Milani

venerdì 19 novembre 2010

Strage di Brescia: ripassiamo la storia e cerchiamo di voltare pagina

Più passano i giorni più mi convinco che una sentenza diversa al processo per la Strage di Piazza della Loggia avrebbe potuto contribuire ad aprire un percorso nuovo di riflessione su quegli anni. Quella assoluzione ha ucciso la speranza: la speranza di poter voltare pagina, puntualizzare alcune verità e iniziare un percorso nuovo di confronto sulla storia di quegli anni bui. Invece siamo ancora qui a discutere delle infelici affermazioni ("infelici" è chiaramente un eufemismo) di un parlamentare come Viviana Beccalossi che ha spiegato nell'aula della Camera come i risultati dell'inchiesta su piazza della Loggia siano stati tanto scarnI perchè si è indagato solo a destra.
I pubblici ministeri e Manlio Milani (a destra in secondo piano)
Siamo qui ancora a confrontarci con chi fa finta di non sapere, con chi nega l'unica cosa certa di queste indagini  (le bombe degli anni '70 sono maturate negli ambienti della destra neofascista con appoggi e strumentalizzazioni dei servizi segreti deviati), con chi non rende giustizia allo sforzo di far finire nella terza inchiesta di Brescia come corpo del reato le prime indagini condotte sulla Strage che avevano mandato in  carcere esponenti della destra locale poi ampiamente scagionati.
Affermazioni come queste ci dicono solo una cosa: come sia ancora lungo il cammino per superare le contrapposizioni di parte, dare pace ai caduti, giustizia ai famigliari delle vittime e portare un po' di luce, serenamente, nella nebbia di quegli anni, tra le veline dei servizi, le reticenze, i silenzi, le strategie da guerra non convenzionale. Ne parlavamo giusto ieri in una trasmissione tv ("Retrogusto" su Brescia Punto Tv, programma condotto dal collega Marco Bencivenga) con Manlio Milani, il presidente dell'associazione caduti di Piazza Loggia, che da decenni si batte per avere giustizia, ma anche per poter far chiarezza su quegli anni difficili. Un periodo del quale si è sempre ragionato vedendo la questione da fronti opposti (basti dire che la Commissione di inchiesta sulle Stragi, da qualche anno prematuramente, inspiegabilmente e silenziosamente scomparsa dagli organismi parlamentari, non è mai riuscita a produrre una relazione finale condivisa da tutti gli schieramenti) con moti talvolta negazionisti e con uno spirito di rivalsa mai sopito.
Lo stesso spirito che sembra riafforato con prepotenza nelle affermazioni, fuori luogo e fuori tempo, dell'onorevole Viviana Beccalossi (oggi Pdl, ieri An, l'altro ieri Msi), che sarà stata pure isolata da molti colleghi di partito, ma che potrebbe rappresentare un sentire tutt'altro che marginale. Ecco perchè un esito diverso della sentenza sulla Strage di Piazza della Loggia (le motivazioni del verdetto diranno perchè spazi per risposte diverse non c'erano), avrebbe tolto alibi alle contrapposizioni politiche, avrebbe tagliato l'erba sotto i piedi ad interpretazioni di parte, avrebbe fissato verità giudiziarie propedeutiche e indispensabili ad un sereno e schietto confronto con la storia. Lo attendevano in molti, ora sarà tutto più difficile. Anche se con un buon ripasso della storia e un po' di serenità in più voltare pagina si può.

APPROFONDIMENTI

LEGGI QUI L'EDITORIALE DI MICHELE BRAMBILLA SU LA STAMPA DAL TITOLO: "STRAGI ITALIANE, L'IGNORANZA DEI NEGAZIONISTI"

LEGGI QUI IL RESOCONTO STENOGRAFICO DEL DIBATTITO ALLA CAMERA SULLA STRAGE DI PIAZZA LOGGIA CON L'INTERVENTO DI VIVIANA BECCALOSSI




DA PIAZZA LOGGIA A BOLOGNA, DOCUMENTI PER NON DIMENTICARE

mercoledì 17 novembre 2010

Processo Strage: l'ultimo insulto alla città ferita

(piazza Loggia: foto da Facebook)
Posto, a beneficio dei lettori di questo blog (spero che quelli bresciani l'abbiano già letto acquistando il giornale...), il mio commento sulla sentenza di assoluzione per la Strage di piazza Loggia, pronunciata ieri pomeriggio dalla Corte d'assise di Brescia, pubblicato nell'edizione odierna di Bresciaoggi. Una riflessione che mi pare giusto condividere con voi.

 L'ULTIMO INSULTO ALLA CITTA' FERITA.
Cosa resta dietro le lacrime dei famigliari delle vittime della Strage di piazza della Loggia, dietro il volto dolente di Manlio Milani, dietro gli occhi lucidi, dietro la rabbia soffocata, il pugno serrato, lo stupore nascosto a fatica in quell’aula di Palazzo di Giustizia? Cosa resta dietro le parole asciutte del giudice Enrico Fischetti, dietro quell’ «assolve» scandito a voce alta perchè non lasciasse fraintendimenti, dietro quel «articolo 530 secondo comma» (tecnicamente sta per prova insufficiente o contraddittoria), che ai profani può suonare come un «vorrei ma non posso» e ai più smaliziati come un verdetto che ha del pilatesco?
Già, cosa resta di 36 anni di impegno e speranze, di un processo durato 24 mesi, di una giustizia invocata ad ogni 28 maggio con caparbietà e fuor di retorica e di una risposta che con è mai arrivata?
Resta innanzitutto un grande vuoto, quel vuoto che in tanti ieri pomeriggio speravano di colmare, quella voglia di rendere onore agli affetti più cari, a mogli, fratelli, madri e padri. «È 36 anni che aspetto questo momento» diceva ieri pomeriggio una delle parti civili mentre si faceva largo fra cameramen e giornalisti che affollavano l’aula. Trentasei anni di speranze, che due paginette di dispositivo gli hanno sbriciolato tra le mani con una furia e una determinazione, che a molti sono suonate come un insulto. Un insulto alla memoria, un insulto ad una città ferita.
Cosa rimane di questa assoluzione che fa già gridare allo scandalo, anche se l'epilogo non giunge totalmente inaspettato? Rimane lo smarrimento di una città che non ha mai perso la speranza, che ha lavorato per tenerla viva, che ha investito sulla memoria come si investe sul futuro, che ha difeso con tenacia i progressi di un’inchiesta, che ha cercato la verità in mezzo mondo. Come dimenticare le iniziative parlamentari per modificare il codice di procedura penale dando ai magistrati bresciani più tempo per indagare? Come scordare le trasferte in Sud Africa della commissione parlamentare di inchiesta sulle Stragi per ascoltare il generale Gianadelio Maletti, o il faccia a faccia a Tokio tra Delfo Zorzi e Manlio Milani? Come non parlare dello sforzo di uomini e di mezzi per digitalizzare tutti gli atti dell’inchiesta consegnando alla storia un modello virtuoso in una giustizia che pare votata all’agonia perenne? Lo sforzo di una città, almeno per una volta, serenamente bipartisan, nella consapevolezza che il dolore per quella bomba è il dolore di tutti, così come lo sgomento dipinto ieri sulla faccia del sindaco Adriano Paroli e l’abbraccio dell’assessore Paola Vilardi a Milani sono l’affetto e lo smarrimento di una Brescia che per un giorno non ha colori se non quelli della rabbia.
Cosa rimane di questo verdetto che sembra un atto di incolpazione verso i silenzi e le assenze che hanno costellato le 166 udienze? Rimangono le macerie di uno Stato incapace di dare risposte esaurienti sugli anni più bui della sua storia, di tributare il giusto onore ai morti e di colmare la sete di verità dei vivi. Resta la consapevolezza di un’Italia che continua a non voler voltare pagina, che preferisce il segreto di Stato alla trasparenza, lo schiaffo alle vittime ad un percorso di riconciliazione.
«Abbiamo fatto il possibile» rifletteva ieri un legale di parte civile cercando di lenire lo sconforto che aveva attorno a sè. Ma forse in questa terribile storia, in questi 36 anni di processi, assoluzioni e polemiche, occorreva l’impossibile. Quell’impossibile che forse solo uno Stato maturo, capace di fare i conti con il suo passato di sangue, poteva dare.
Cosa resta dunque di questo pomeriggio di sconforto, annegato dalla pioggia? «L’inchiesta ha avuto almeno il pregio di ricostruire alcuni fra gli anni più terribili del Paese» ha sostenuto qualcuno quasi a volersi rinfrancare, nel deserto lasciato dalla sentenza, con l’ultima goccia di consolazione. Forse a Brescia ieri si sarà anche costruito la storia, ma si è sepolta la speranza. Una speranza chiamata verità.
Marco Toresini
(da Bresciaoggi di mercoledì 17 novembre 2010)

Strage di piazza Loggia: dopo il verdetto, tra verità e testimonianza

Manlio Milani al processo (guarda la fotogallery su la Stampa.it)
Confesso: non mi aspettavo grandi cose ieri nell'aula della Corte d'Assise di Brescia chiamata a pronunciarsi sulla Strage di Piazza della Loggia. Ho iniziato a scrivere di cronache giudiziarie più o meno in concomitanza con l'assoluzione degli imputati della seconda inchiesta (la pista milanese di Cesare Ferri e compagni) e le indagini sulla Strage mi hanno accompagnato (talvolta esaltato per i risultati inattesi, talvolta depresso per i silenzi, per i muri di gomma e per i palesi e insultanti depistaggi) nella mia vita professionale quasi colmando, in termini di partecipazione al fatto, quell'insormontabile gap anagrafico in virtù del quale io nel '74 avevo 11 anni. Insomma, ne sapevo abbastanza per non farmi illusioni, ero pronto a salvare il salvabile a dire che forse non tutto era perduto, a sottolineare i successi di questi anni frutto dell'impegno di tanti: magistrati, famigliari, politici e amministratori. Ero pronto ad un pezzo consolatorio, a raccontare per Bresciaoggi quanto di buono questa inchiesta  aveva lasciato, a parlare di una speranza sempre viva. Non ce l'ho fatta, consapevole che avrei raccontato qualcosa fuori dal tempo. Quando in aula il giudice Enrico Fischetti ha pronunciato la parola assolto, quando ho incrociato il volto attonito di Manlio Milani, le lacrime della sorella, gli occhi lucidi degli amici della Casa della Memoria, i famigliari delle vittime abbandonati su una sedia sotto il peso di uno sforzo che non aveva dato risultati, ho capito che l'unico modo per parlare di speranza, era dire che la speranza era morta, sepolta sotto il peso di anni bui dai quali non ci si vuole affrancare, di silenzi dai quali nessuno ha voluto svincolarsi, nonostante siano trascorsi 36 anni e dopo tanto tempo sia giusto e doveroso voltare pagina.
Non ho potuto non condividere lo sgomento di quanti, presenze assidue in quell'aula per due anni, avevano, in fondo in fondo, ipotizzato un esito diverso di quel processo, magari con uno sforzo supplementare di interpretazione e di approfondimento da parte della Corte che, invece, ha scelto la soluzione più naturale in un caso mai giunto così vicino alla verità come in questa terza inchiesta: l'assoluzione dettata da una prova non piena e inequivocabile.
Non ho potuto non stringere la mano con un sentimento di sincera vicinanza a Manlio Milani, di cui in questi anni ho imparato a conoscere la tenacia, la mite perseveranza negli obiettivi, la costanza con la quale ha tenuto viva la memoria della moglie e delle altre vittime della Strage nelle scuole, come nei pubblici dibattiti, allargando il campo all'approfondimento su quegli anni di sangue, alla testimonianza delle altre vittime del terrorismo (e ieri a condividere lo sgomento c'era anche, e non a caso, Benedetta Tobagi, la figlia di Walter Tobagi).
Che fare? Verrebbe voglia di scrivere alla lavagna, come fanno Fazio e Saviano il lunedì sera in tv, le ragioni per cui restare e le ragioni per cui migrare. Ma poi sfogli il giornale e qualcuno ti ricorda un paio di proverbi: "La verità può languire ma non perire" e "La verità si può seppellire, ma non può morire". Rifletti e capisci che se non puoi contare su altri per affermare finalmente la verità, allora ti tocca il dovere della testimonianza. L'unico modo per renderle onore.



martedì 16 novembre 2010

Strage di piazza Loggia: aspettando la sentenza, sperando di essere in buona compagnia

Oggi pomeriggio, se le previsioni verranno rispettate, i giudici della Corte d'assise di Brescia lasceranno l'albergo  nel quale sono confinati da una settimana per la Camera di Consiglio. La lettura della sentenza è attesa per le 16, 16.30. Che verdetto aspettarsi?
Sinceramente non mi faccio troppe illusioni: i precedenti giudiziari milanesi (il processo per la strage di piazza Fontana e quello per la bomba alla Questura di Milano), attingendo nella sostanza alle medesime fonti, dopo i primi confortanti risultati, non sono stati consacrati da un verdetto di colpevolezza passato in giudicato. Così anche in caso di condanne, a Brescia  il percorso per arrivare al consolidamento di una verità giudiziaria è ancora lungo e irto di insidie. In ogni caso quello che si celebra questo pomeriggio in un'aula di giustizia è un rito alla quale la città non dovrebbe sottrarsi. Si corona, comunque vada, la volontà di questa città di fare memoria, di fare giustizia, di fare denuncia, di fare chiarezza.
In un mondo nel quale è facile dimenticare, mi piace ricordare quando il 23 maggio 1993 il giudice istruttore Giampaolo Zorzi consegnò alla città e alla giustizia bresciana una sentenza-ordinanza che chiudeva con un'archiviazione l'ultimo rivolo della seconda indagine sulla strage, ma indicava con forza e determinazione una vena lungo la quale scavare, tratteggiava quel marchio di fabbrica che, poi, con l'aiuto di qualche collaboratore di giustizia, divenne una certezza storica ad li là di ogni verità giudiziaria. E questa certezza storica sopravviverà alla sentenza di questo pomeriggio, ai tanti depistaggi, agli anni che si sono portati via molti potenziali indagati e sospettati, alla ragion di Stato che ancora oggi ha alimentato i molti, troppi, non ricordo, ai servitori dello Stato che hanno preferito il silenzio ad una autodifesa schietta è trasparente.
Comunque vada, non sarà una sentenza per vecchi, per storici e per famigliari in cerca di un posto dove lenire il dolore. Sarà una sentenza per una città che non vuole dimenticare, che vuole rinascere, che vuole trovare la strada per una riconciliazione e per una crescita collettiva.
Ecco perchè oggi pomeriggio sarebbe bello vedere in quell'aula qualche giovane studente, perchè nessuno più dica che la bomba in piazza Loggia l'hanno messa le Brigate rosse; sarebbe bello vedere il sindaco di centro destra perchè questa è una ferita aperta per tutti, così come l'assessore Andrea Arcai che sulla propria pelle ha provato, nel corso della prima indagine sulla Strage, cosa voglia dire depistaggio. Vorrei che ci fosse il Prefetto, in rappresentanza di un Stato che abbia finalmente il coraggio di far partire da Brescia quel lungo difficile cammino che porti gli italiani ad affrancarsi dai fantasmi della Strategia della tensione. Comunque vada, insomma, sarà una sentenza di speranza e carichi di speranza l'aspetteremo. Sperando di essere in buona compagnia.



lunedì 15 novembre 2010

Scesi dalla gru, l'allunaggio in una città provata

Sono scesi pochi minuti dopo le otto i quattro immigrati barricati su una gru da 17 giorni nel centro storico di Brescia. Sotto una pioggia battente, accompagnati da tanti connazionali che hanno seguito la scena da terra e dalla cronaca da "primo uomo sulla luna" dell'emittente antagonista "Radio onda d'urto", i migranti sono finiti in questura per gli adempimenti di rito, affiancati dai rispettivi avvocati, una delle conquiste ottenute in una giornata di febbrili trattative.
In redazione, seguendo le fasi della discesa dalla gru, qualcuno ha paragonato l'epilogo di questa vicenda ad un allunaggio, come se quella fosse la scaletta dell'Apollo 11 e questa buia serata di pioggia fosse quella della 20 luglio 1969. E in effetti, a giudicare dall'attesa dell'evento e dalla tensione accumulata da un'intera città in queste due settimane, sembrava proprio di stare accanto a Tito Stagno e Ruggero Orlando in quei momenti concitati che passarono alla storia dell'umanità e della televisione. In via San Faustino, più modestamente, l'allunaggio metaforico dei quattro migranti, passerà alla storia per i troppi silenzi, le tante lacune istituzionali, i teatrini di una vicenda che poteva e doveva essere risolta prima: forse con una punta di lungimiranza e sensibilità in più e qualche superbia (da parte di tutti i protagonisti della vicenda) in meno. L'allunaggio di via San Faustino, poi, ha fatto tornare con i piedi per terra chi fino ad ora ha pensato di vivere in un altro mondo: quello secondo il quale potrebbe bastare una legge mal fatta per arginare l'immigrazione, per frenare la sete di braccia straniere; quello in cui si dosano i diritti, anche quelli universalmente riconosciuti, in base al colore della pelle, all'inflessione dell'idioma. Un pianeta così non l'hanno ancora scoperto e un merito agli immigrati-astronauti della gru di Brescia bisogna riconoscerlo: aver detto anche ai più duri d'orecchio che il re è nudo, che la strada per risolvere i mille problemi dell'immigrazione è ancora lunga. E il percorso fino ad ora intrapreso dalle nostre parti è più accidentato e insidioso della superficie della luna.

La lezione della gru: la parola al buon senso

Non so come finirà la storia della gru, che ora sembra appesa al destino degli immigrati rinchiusi nei centri di identificazione temporanea, ma la ripresa della trattativa denota soprattutto la volontà di tutti di chiudere queste storia. Peccato che sotto la gru, a sporcarsi le mani, ci siano i soliti noti: il prete dei "negher" don Mario Toffari, un parroco ribelle - addirittura un "pericoloso comunista", secondo alcune anime cattoliche bresciane - come don Fabio Corazzina e sindacalisti di provata esperienza impegnati nel tentativo di ricucire ciò che altri hanno strappato, di risolvere ciò che altri non hanno saputo risolvere, abbarbicati su posizioni intrasigenti, forse (per dirla con Massimo Mucchetti sul Corriere) più per mascherare la propria incapacità di dialogo che per altro, nel nome di una legge, questo è un dato innegabile, che fa acqua da tutte le parti.
Una settimana fa, da sotto la gru, annotavo come chi ha vissuto in prima persona questa esperienza sottolineasse la mancanza di interlocutori autorevoli e mediatori capaci e il peso opprimente della politica sul buon senso. Le notizie che leggiamo oggi sui giornali ne sono la prova più eloquente. Ora, anche dopo l'ennesima serata di disordini di sabato, altri giorni su quella gru non sono più pensabili: la politica dell'assedio ha mostrato la corda, i duri e puri si devono leccare le ferite. Resta una domanda, impellente e forse un po' retorica: non ci si poteva pensare prima?

sabato 13 novembre 2010

Le lezioni della gru: i commenti




Segnalo telegraficamente sul tema degli immigrati sulla gru, due commenti apparsi oggi su Bresciaoggi e sul Corriere della Sera ad opera, rispettivamente, di Massimo Tedeschi e di Massimo Mucchetti.
Entrambi, con estrema lucidità, evidenziano i tanti limiti nella gestione di questa completa vicenda: da un pugno di ferro che non ha portato da nessuna parte a un deficit di dialogo istituzionale che ha del desolante tanto da dubitare delle capacita' di governare le criticita' di chi ci sta nelle istituzioni. Due contributi al dibattito interessanti. Da leggere per capire molte cose.

venerdì 12 novembre 2010

Santoro, la gru e i bresciani

Le vignette di Vauro su Brescia ad Annozero

Il giorno dopo Anno Zero (22,48% di share, quasi sei milioni di spettatori) in diretta da via San Faustino ci si interroga su che immagine di Brescia sia uscita dalla trasmissione, che come tutte le trasmissioni tv e i collegamenti volanti, a maggior ragione una trasmissione a tesi come quella di Santoro, riesce a dare una idea solo parziale del caso che vuole rappresentare.
Che Brescia c'è sotto la gru? Una Brescia sempre meno tollerante come ha evocato Padre Toffari del segretariato migranti della Curia? Una Brescia sempre più solidale con la protesa, come ha spiegato Umberto Gobbi, esponente della sinistra antagonista e del comitato "Diritto per tutti"?
Sicuramente una Brescia stufa: stufa di non risposte, stufa del caos, stufa di essere messa in mezzo, stufa di chi ne approfitta per fare propaganda (dai docenti universitari in via San Faustino con il pugno alzato, a chi cerca visibilità sulla pelle dei migranti o, al contrario, spera che non dando risposte pur essendo al governo, lasciando che la situazione si incancrenisca, di far schizzare il totalizzatore del consenso elettorale alle stelle). Oltre 1200 bresciani hanno risposto ad un sondaggio lanciato da Bresciaoggi spiegando, nel 60% dei casi, che bisogna al più presto e con ogni mezzo ristabilire l'operatività del cantiere. Concludere che quello è solo razzismo è però riduttivo: avremmo forse trovato risultati diversi davanti ai Cobas latte che anni fa occupavano autostrade e assediavano aeroporti? In un paese dove persino un sucida sotto il treno diventa solo ed esclusivamente un oggetto di disturbo è lecito aspettarsi qualcosa di diverso? Io penso di no.
Nella trasmissione di Santoro, però, è uscito un dato che è incontrovertibile: ancora una volta l'Italia ha mostrato di non saper gestire un fenomeno ineludibile come l'effetto serra: l'immigrazione. Ha mostrato di averlo sempre trattato con i visceri e non con la testa. Dire, come ha fatto Italo Bocchino ieri da Santoro, che la clandestinità è criminogena è far finta di non sapere che la criminogenità si combatte sì stringendo le maglie sui clandestini, ma, sopratutto, e questa è una regola generale mai smentita, punendo chi commette reati (a prescindere dal colore della pelle) con processi rapidi e pene certe. Fare leggi come quella attuale sull'immgrazione è forse non pensare una cosa elementare: che una legge dovrebbe sopravvivere al governo che l'ha emanata. Forse ha ragione Mino Martinazzoli quando ricordando, nella sua autobiografia, i lavori parlamentari negli anni '70, osserva che ora "non c'è più una mediazione culturale adeguata, il che dà conto di una legislazione piuttosto casuale che sembra inseguire la contingenza invece di ragionare in termini di sviluppo storico". Ecco, in tema di immigrazione, l'Italia  ha mostrato tutti i suoi limiti in questo senso. Cambierà qualcosa dopo la gru? Non credo, se le premesse sono, come si legge oggi sui giornali, il rimpallo delle responsabilità tra destra e sinistra sull'atteggiamento tenuto verso il fenomeno, scordando come ci hanno invece ricordato in molti in questi giorni, come il caos sia derivato da una legge fatta male e gestita peggio.
Gli immigrati sulla gru - si diceva ieri anche in tv - da lassù vedono un'Italia piccolina e una politica ancora più minuscola, incapace nei fatti di "contemperare esigenze diverse" come, a parole, qualcuno ha sempre sostenuto di voler fare. Abbiamo preferito la politica di Bava Beccaris a quella della mediazione, della soluzione condivisa. Ci siamo infilati in un culo di sacco dove ora ci si affida agli appelli di padri, madri e persino di Michele Santoro (addirittura qualcuno vaticinava ieri di una discesa in diretta tv) per far finire quella lunga agonia al capezzale di una "politica", nel senso nobile del termine, che non c'è. Nè a Brescia nè a Roma e i migranti sulla gru come quelli che lavorano in nero in fabbriche e cantieri lo stanno imparando a loro spese.

L'APPELLO A NAPOLITANO DEGLI IMMIGRATI


L'INTERVISTA AGLI OCCUPANTI DA ANNO ZERO


mercoledì 10 novembre 2010

La lezione della gru: l'ospite Roberto Bianchi

Roberto Bianchi, bresciano, scrittore (bello il suo "La collana di perle finte") e osservatore attento e disincantato di ciò che ci circonda ha scritto le sue impressioni sugli uomini barricati sulla gru di via San Faustino. Mi sembra una riflessione intensa e Roberto ha accettato di condividere il suo pensiero con i lettori di questo blog. Eccolo:


Roberto Bianchi
ROBERTO E LA GRU (CHE NON E' QUELLA DI CHICHIBIO)
di Roberto Bianchi


Ci sono andato con l’animo di un bambino che si nasconda la  notte della vigilia , in salotto, per vedere chi sia realmente Babbo Natale. Sai com’è: quando ti raccontano una cosa  poco credibile il Tommaso che c’è in ognuno di noi ti spinge a verificarla.
Mi sembrava impossibile che qualche disgraziato dovesse stare appollaiato a molti metri da terra per  rivendicare il suo diritto ad esistere. E allora ho macinato qualche kilometro in bicicletta (abbiamo un’auto sola e la usa mia moglie per andare al lavoro) fino ad arrivare all’imboccatura di Via  San Faustino . Dove c’è la gru.
Mentre pedalavo nel freddo novembrino ho pensato alle gru e a Chichibio ,ed alla sua di gru condannata ad avere  una gamba sola dal 1300 agli anni del mio liceo ed oltre ,e per sempre. Poi ho pensato ai totem. E poi agli alberi di natale. Tutte cose verticali, come la gru. Ma la gru in questione è una cosa verticale che vigila su un buco, quello della stazione del metro bus. Un buco che  mi dice di tecnologia, ricchezza, egoismo, diffidenza, debiti.
Sono arrivato, ma  uno sbarramento di poliziotti impediva l’accesso a via San Faustino. Mi hanno detto che uno eguale impediva l’arrivo  ascendente da Piazza Loggia. Ho acceso una sigaretta, mentre pensavo al freddo di quegli uomini là sopra, ma anche di quelli giù sotto, quelli in divisa e casco appeso al cinturone, quelli che, coi manganelli che penzolano come un cazzo vuoto  e sterile,sono pronti a difendere l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. Quelli che spesso rischiano la vita per poco più di un migliaio di euro netti al mese.  Li guardavo e nelle orecchie avevo le parole e i modi del video visto in rete:”Caricate! Mi porti via questo signore, per favore. Anche quella ragazza: fermate quella ragazza!”. Rivedevo i manganelli all’opera. Gli uomini non sono tutti uguali. Non hanno tutti la stessa missione. C’è chi  per vivere deve accettarne di ingrate assai.
Mentre guardavo in alto ho sentito i commenti di alcuni passanti.”Bisognerebbe tirarli giù col 12” ( e si riferivano al fucile da caccia) “quei negri di merda che vogliono fare i padroni a casa nostra e rompono i coglioni” e mi sono sentito improvvisamente straniero a casa mia, perché non riconoscevo più i miei concittadini. E se non ti riconosci negli altri non sei più un concittadino: loro hanno una cittadinanza, tu un’altra. Per lo più, però, la gente passava senza alzare gli occhi al cielo, perchè oggi in cielo c’erano solo sensi di colpa da rimirare e soppesare: forse è meglio non guardarli davvero quei fantasmi neri  che passeggiano su una gru a trenta metri da terra . Forse è meglio non prendere in considerazione il fatto che quelli là, in questo momento, sono più vicini al cielo di quanto lo sia tu che cammini. E se credi che quel cielo più in alto sia la residenza di un essere superiore e giusto, bè, allora sono davvero cazzi.
Ho riflettuto su quello che si presenterebbe come un assedio: impedire il passaggio pedonale per non far filtrare viveri, sostentamento, messaggi, calore, a quei “negri di merda che vogliono fare i padroni a casa nostra”. E ho pensato a quanto sia delicata la democrazia, un meccanismo che si rompe come un  fragile vaso di cristallo, se solo lo tratti male.
Ho pensato a gente che ha lasciato casa,famiglia e affetti per venire a cercare un sogno possibile. E magari trasmetterlo a piccole rate, con il money transfert,  agli altri rimasti a casa.  Ma, giuro  che è vero, mentre guardavo attonito lo spettacolo surreale di gente che doveva fare un giro lungo per andare semplicemente in piazza Loggia ho visto un sacchetto che saliva sulla gru, per mezzo di una corda.  Non ho capito da dove fosse partito, ma l’ho visto che saliva come una speranza. Forse con qualcosa da mangiare, da bere, da fumare. Mi ha riscaldato il cuore  pensare che forse qualche agente s’è girato dall’altra parte, o si è acceso una sigaretta… chissà, una provvidenziale chiusura d’occhi..una telefonata d’amore col cellulare.
Questa gru non ha una gamba sola, come quella di Chichibio, e nemmeno due, come quelle che trovi in natura: questa è una gru meccanica e di gambe ne ha tante quante sono quelle delle persone che ci sono sopra. Questa gru è speciale, perché pur rimanendo ferma alla stazione del metro che canterà la Brescia ricca,moderna e d evoluta, con quelle gambe calpesterà le coscienze dei bresciani per bene.  E se succedesse l’irreparabile, questa gru avrebbe ancora più gambe: le mie e quelle degli altri come me. 
Saremo instancabili nel camminare sulle anime dei sordi…Non li lasceremo in pace.
Lo so che per i responsabili dell’ordine pubblico, per i politici, per gli amministratori pubblici sarebbe un problema creare un precedente. Lo so benissimo. Ma  il dialogo costituisce “i precedenti” di ogni cosa andata a buon fine, e questi precedenti si chiamano “ civiltà”:parlarsi è proprio dell’Uomo, e  dialogare è semplicemente tentare di capirsi affinchè almeno  la pietas entri  in azione, quella cosa che ti fa salvare un tuo simile in difficoltà semplicemente perché è giusto così.
Una cosa vecchia quanto l’uomo, direi.
Io sono ateo e non ho fratelli in cristo da accogliere. Però sono un cittadino, e so che tutte le dignità vanno rispettate, perché la dignità è come uno specchio e la propria altro non è che il riflesso di quella che  si riconosce nella persona  davanti a sé,  proprio come in uno specchio, sì.  E mentre li vedevo camminare in equilibrio precario ho sperato che nessuno cada da là sopra, perché sarebbe un macigno troppo pesante da portare, più di quello di Pilato, nei secoli dei secoli.
Quelli là sopra non sono spacciatori, non sono ladri, non sono teppaglia ed è la loro fortuna, perché possiamo almeno difenderli. Sono lavoratori, sono gente che ha creduto  nella possibilità di affrancarsi da un destino di merda che li voleva affamati  ed ultimi ad ogni costo, ma non sono nemmeno badanti, ed è un guaio: non ci sollevano dal disgusto di pulire il culo ai nostri padri, non ci esimono dall’incombenza di una passeggiata con i nostri vecchi e per loro, quindi, non si può far niente, perché non rientrano nei parametri stabiliti dalla legge, sono piuttosto inutili...  Sono clandestini, ho sentito, come se fosse possibile essere clandestini sulla Terra senza essere marziani.   E hanno la pretesa di essere ascoltati.  Ho cinquantatre anni ormai, forse un po’ rincoglionito, ma me la ricordo ancora,quand’ero giovane, la strofa: “sapesse contessa, all’industria di aldo, han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti “. E mi dispiace ricredermi, avevo ragione a vent’anni, quando ascoltavo le ragioni del cuore,e non adesso con il cuore che dovrebbe subire il vincolo della ragionevolezza.
Io credo che i politici e gli amministratori locali abbiano il dovere morale di farli scendere incolumi e aprire un dialogo: altro che denunciare il responsabile di “Diritti per tutti”. Io credo che si debbano portare giù da là sopra, se è vero che la vita viene prima di tutto.  E se c’è qualcuno che può fare da mediatore lo si utilizzi, per Giove. E’ la prima cosa da fare. Ero molto lontano, e quei negri di merda che rompono i coglioni mi apparivano come delle mosche, ma la sentivo forte la loro disperazione e mi raggelava ulteriormente.
Caro sindaco Paroli, caro ministro Maroni, se uno di quelli là cadesse, come fareste a gustarvi il cotechino natalizio in tranquillità? Le lenticchie che portano denaro e felicità…
Ho preso la bicicletta per ritornare a casa. E’ bello pedalare, perché pensi ai cazzi tuoi. Sono un semplice cittadino, ma  lo so che ciò che fa paura di quei negri di merda che rompono i coglioni è la loro povertà,e non il loro colore. E’ una povertà molto particolare, perché evoca anche la molteplicità di povertà individuali, che teniamo ben nascoste, che aleggiano nella nostra ricca ed operosa  terra.  Povertà da ricchi, magari, ma ogni povertà è dolorosa a modo suo.  E allora scacciamo quella degli altri, che ce la ricordano in modo così chiassoso ed ineducato la nostra, per scacciarle tutte, e dimenticarla.
Io, in questo  bipolarismo che è l’unico che esista da sempre e che una volta si chiamava lotta di classe, lo so da che parte stare. E almeno, anche se non è molto, con la mia coscienza sto a posto.
Ma mi chiedo come facciano i bresciani  cattolici e con il cuore in mano, quelli che si commuovono quando un bimbo bianco piange al parco, ad essere a posto con la propria di coscienza: con il doppio petto stirato e la doppia morale fluida; con i capelli ben pettinati e puliti e la testa ingombra della nebbia dell’egoismo, orfani sulla terra, senza alcun fratello da accogliere.  Come faranno mai, poveri loro, con le loro scarpe lucide senza strade da percorrere…
Pedalavo  nella zona nord della città e degli operai stavano allestendo le luminarie natalizie sui muri di un supermercato.  Alcuni erano neri, ma questi non rompevano i coglioni e non volevano fare i padroni a casa nostra. Non fumavano nemmeno, ed eseguivano in silenzio gli ordini . Del resto, proprio perché c’è la crisi bisogna cominciare a vendere per tempo: qualcuno che attacchi le lucine ci vuole, e se costa meno tanto meglio.
Anche questo natale qualcuno non si salverà.
Verranno accesi crediti al consumo per fare o farsi regali.
Forse verranno estinti i debiti accesi in precedenza.
 Le tredicesime, nonostante il clima evaporeranno come a ferragosto.
A forza di spumante e lenticchie, forse, riusciremo a dimenticare il destino che ci attende.
 E il 31 i sopravvissuti brinderanno al nuovo anno.

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La lezione della gru: ecco la madre di tutti i casini

Siamo sempre sotto la gru di via San Faustino (questa volta metaforicamente). Siamo sempre qui perchè l'ombra di quella gru ci insegna molte cose. Ci insegna ad esempio ad andare alla scoperta della madre di tutti i casini, di una legge nata male, gestita peggio, governata dall'incertezza sulla quale si sono innestati pronunciamenti di Consiglio di Stato, Unione europea e Tar, circolari ministeriali in un panorama che, nella sostanza, a parità di requisiti è in grado di far variare l'esito della domanda  in relazione alla regione nella quale è stata presentata e nel momento in cui è stata esaminata (andatevi a leggere in tal senso l'articolo di Thomas Bendinelli oggi a pagina 7 di Bresciaoggi).
Addio certezza del diritto se una domanda presentata nel settembre 2009 viene esaminata dopo il marzo 2010 quando una circolare del capo della polizia Manganelli impone una interpretazione rigida del reato di clandestinità, escludendo dalla sanatoria le persone condannate per inottemperanza all'ordine di espulsione (spazzando via l'interpretazione precedente che partiva da una ovvietà: tutti quelli che presentano la domanda di sanatoria per forza di cose sono clandestini). Addio certezza del diritto se alcuni Tar regionali (in Puglia, Emilia, Veneto) hanno dato interpretazioni più larghe delle norme. Ecco cosa ha spinto quegli immigrati sulla gru, una legge incerta, fatta male, gestita peggio perchè quando si parla di immigrazione, a destra come a sinistra, la politica non pensa a governare il fenomeno, ma a vivere alla giornata, a fare meno danni possibili dal punto di vista del consenso elettorale. Più del buon senso, in somma, conta il consenso. Così accanto al pacchetto sicurezza che ha introdotto il reato di clandestinità, non potendo fare diversamente, vista la necessità regolamentare colf e badanti, la politica ha partorito una legge pasticciata che si è prestata a tanti raggiri e, nella sua applicazione pratica, a più di una discriminazione e a diversità di trattamento. Dire che sulla gru non ci sono colf e badanti vuol dire eludere il problema di una legge che ha fatto questa distinzione solo sulla carta dando di fatto la possibilità a chiunque di usufruire della sanatoria con una regolare domanda ma che, date le ampie falle normative, ha creato una pioggia di incertezze (l'unica certezza erano i soldi da versare per i contributi lavorativi pregressi). Permettetemi un parallelo: le proteste degli immigrati di questi giorni  non sono molto differenti, dal punto di vista concettuale, da quelle dei Cobas latte di qualche anno fa che contestavano la normativa sulle quote latte bloccando autostrade e aeroporti, una normativa, brutta, farragginosa, che prestava il fianco ad incertezze, strani mercati di quote e comportamenti al limite della truffa.
Quando la politica abdica al proprio dovere di governare i fenomeni con strumenti legislativi seri questo è ciò che succede. A Brescia come altrove.
Intanto alcuni dei video sui disordini di lunedì, che sono stati ospitati nel post di ieri anche su questo blog, hanno fatto il giro del web, ripresi da PeaceReporter e da Repubblica.it e sollevando il dibattito sulla gestione dell'ordine pubblico sotto la gru. Un'altra delle tante lezioni, nessuna per ora particolarmente edificante, che si sta dando la gru di via San Faustino.

Ecco il video di PeaceReporter: PeaceReporter - video

martedì 9 novembre 2010

La lezione della gru: videoblog senza commento

(Gli scontri a Brescia dalla Fotogallery di Skytg24)
Posto qui senza alcun commento alcuni video su quello che è successo a Brescia ieri sotto la gru di via San Faustino sulla quale sono ancora asserragliati alcuni cittadini stranieri. Se volete potete anche cliccare qui e guardare le foto proposte da Bresciaoggi sul suo sito. Questi video, lo dico subito per evitare fraintendimenti, sono dell'emittente antagonista Ctv, che ha una visione di parte della vicenda e gli eventuali commenti e giudizi contenuti nei video non mi appartengono. Ma un video è un video (ne esistono di analoghi passati dai Tg, posto questi per praticità informatica), parla da solo e racconta di tensioni, cariche e manganellate, anche di qualche tentativo di non far lavorare dei colleghi giornalisti che stavano facendo solo il loro mestiere. Scene che forse Brescia poteva risparmiarsi. E anche da queste immagini qualche lezione da sotto la gru la possiamo trarre. Io ho tratto la mia, fatemi sapere la vostra. Buona visione.

 











lunedì 8 novembre 2010

La lezione della gru e quel colpo di teatro che ancora non c'è


Questo pomeriggio (lo so, avrei potuto utilizzare meglio questo giorno di ferie, ma - che volete - per uno come me è il richiamo della foresta) sono stato in via San Faustino a Brescia  (avete letto i miei tweet?) dove alcuni immigrati sono da poco meno di dieci giorni saliti su una gru rivendicando il permesso di soggiorno dopo aver pagato per istruire una pratica costata parecchie centinaia di euro. Questa mattina polizia e carabinieri hanno sgomberato il presidio che sosteneva gli immigrati abbarbicati sulla torre con cariche e arresti arrivando al risultato di un pomeriggio di contrapposizione aspra con i manifestanti in via San Faustino e gli asserragliati sulla gru che minacciano di buttarsi di sotto e dicono che faranno lo sciopero della fame se a dar loro da mangiare sarà la questura (detto per inciso la Lega ha già detto di prendere per fame e per sete quel manipolo di rivoltosi). Sono stato in via San Faustino, cuore storico e multirazziale di Brescia, perchè volevo capire. Ho trovato una città finita in un culo di sacco come il tappo che un cordone di poliziotti e di blindati ha creato a difesa della gru della discordia con i suoi scomodi abitanti. Ho trovato una città che non sa più che pesci pigliare per venire fuori da una situazione paradossale e rischiosa, da una storia che si è talmente avvitata su se stessa che rischia di diventare infinita, con tutti i rischi di emulazione che già si registrano qua e la per l'Italia.
Conversando con alcune persone che avevano seguito il caso sin dall'inizio, non ho potuto fare a meno di leggere un certo sconforto per come la questione è stata gestita sin dalle prime battute. Non basta il pugno di ferro se il risultato finale sono sei persone su una gru che tengono in scacco una città (è il risultato che si voleva sbancando il presidio che questi avevano allestito in un giardinetto o vietando una manifestazione, dandole di fatto diritto di scorazzare senza preavviso per la città?), non bastano le dichiarazioni di principio sulla legalità se poi di fatto ci si mette in condizioni di non poterla garantire perchè si è fatto un tal casino (le foto di gente manganellata davanti alla chiesa di San Faustino, non sono una bella immagine di ripristino della legalità e non fa bene alla nostra democrazia) che ora si fatica ad intravedere la luce in fondo al tunnel.
L'ordine pubblico è una scienza difficile, un'alchimia fatti di passi avanti e concessioni, un gioco sottile nel quale si sa dove si vuole arrivare, dicevano i vecchi poliziotti e gli uomini dello Stato. "Ecco - mi spiega in via San Faustino uno dei protagonisti delle trattative di questi giorni - la verità che a Brescia non ho mai incontrato  come in questi anni interlocutori così poco autorevoli. Così tanto asserviti alla politica". Già, la politica. In via San Faustino ieri non si è consumata una questione di ordine pubblico, ma una questione prettamente politica (un po' nell'interesse di tutte le parti in causa, per la verità). Su quella gru non sventolano solo gli striscioni di chi chiede più diritti, ma soffia anche il vento della campagna elettorale prossima futura. Un vento di quelli che non piacciono nemmeno ai velisti, di quelli bizzarri e nervosi che rischiano di spezzare vele e alberi.
Che fare ora. Osvaldo Squassina, ex segretario della Fiom di Brescia, ex consigliere  regionale (un altro che non ha resistito a fare una capatina in via San Faustino) allarga le braccia con la faccia di chi, in tanti anni di trattative sindacali, una situazione così non l'ha mai vista. "Mi sembra che siano stati fatti tanti sbagli - osserva - ci vorrebbe ora l'impegno di persone autorevoli e terze e di qualche esponente del Governo". Un'idea la azzarda anche: "E se i direttori dei quotidiani locali chiamassero Maroni e chiedessero nel nome della città e della necessità di restituirle serenità, di incontrare i ragazzi sulla gru? Non vorrebbe dire concedere automaticamente loro il permesso di soggiorno, ma ascoltarli facendo loro una proposta alla quale è difficile dire di no rimanendo appesi a quella gru".
Osvaldo Squassina si sta godendo la pensione, ma la tempra del trattativista non l'ha persa affatto e il colpo di  teatro potrebbe avere un suo perchè. Già: è proprio un peccato che Brescia non abbia più i mediatori autorevoli e  preparati di un tempo.