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giovedì 30 settembre 2010

Le paternità infangate: un libro

Giro qui l'articolo che è comparso oggi su Bresciaoggi. Parla dell'ultimo libro di Roberto Bianchi (nella foto sotto) "La collana di perle finte", che verrà presentato domani, venerdì 1 ottobre, al teatro Sancarlino di Brescia. La storia di una parternità infangata e calunniata, di una figlia ostaggio di una storia d'amore vinita male.

Le paternità infangate di Bianchi
Potrebbe essere un'autobiografia, in realtà è la la sintesi di tante storie in un mondo dove spesso i figli più che condivisi sono contesi, più che amati usati, più che educati alla verità, vestiti di menzogna: come quelle belle collane di perle finte, che fanno charme, ma anche tanta tristezza.«La collana di perle finte» (edizione Arpanet, 176 pagine, 13,50 euro, una versione ebook a 4,50 euro scaricabile dal sito www.arpabook.com) è il titolo del romanzo di Roberto Bianchi, bresciano, 52 anni, fino al '95 grafico - comunicatore, oggi con la voglia matta di raccontare storie di vita quotidiana, storie sue che possono essere le nostre o di chi ci sta accanto.La collana di perle finte è quella sequela di menzogne che finiscono per travolgere un altro Roberto, quello che si racconta nel libro e che di cognome fa Franchi. Lui è uno sciupafemmine, instabile e maledetto, che in una città austera e bigotta che sembra tanto Brescia, ha una figlia, Roberta, con la rampolla di una famiglia il cui blasone sta a metà tra aristocrazia e borghesia.Così non poteva che naufragare presto la convivenza tra Roberto e la ragazza di buona famiglia, così come non poteva che sfociare in una lunga battaglia giudiziaria il contenzioso per l'affidamento della piccola Roberta. Un cammino costellato di «perle finte» fatte di accuse pesanti che hanno ben presto trasformato Roberto e la nuova compagna di vita in sospetti pedofili che avrebbero approfittavato dell'innocenza della piccola. Così il libro finisce, senza turbare troppo, per alternare gli scoramenti e la rabbia dell'imputato, agli atti giudiziari, che sfociano nella più liberatoria e definitiva delle assoluzione: «perchè il fatto non sussite». Ma la pena più dura deve ancora arrivare e finirà per dividere in perpetuo i destini di Roberto e della figlia. È un romanzo, ma sembra una storia vera, una storia come tante, solo scritta con la passione della condivisione. Di quella storia, domani alle 18 al Sancarlino, parleranno fra gli altri l'autore, il direttore editoriale di Arpanet, Paco Simone, e il professor Gian Luigi Berardi, docente di letteratura italiana all'Università di Venezia.
Marco Toresini (da Bresciaoggi del 30 settembre 2010)

Adro: silenzio si lavora

Lo confesso: spero di essere smentito in tempo reale. Spero che mentre scrivo da casa questo post qualcuno, da qualche parte, stia firmando un documento che rompa il silenzio istituzionale, detti la linea, ci dica che continuiamo ad essere uno stato unitario e non una frantumazione di pianeti, o meglio una galassia di tanti piccoli soli. Padani.
Seguo per lavoro la vicenda di Adro e quello che colpisce, comunque la si pensi, è il silenzio istituzionale, quello di chi dovrebbe dettare la linea ad un sindaco imprevedibile come Oscar Lancini, colui che ha tapezzato di simboli leghisti la nuova scuola intitolata a Gianfranco Miglio. L'ultimatum lanciato dal ministro dell'Istruzione Maristella Gelmini rischia di cadere nel vuoto, vuoi per la scarsa e tardiva convinzione con il quale è stato mandato (il ministro si è affrettato a dire dopo aver spedito la lettera "la polemica è chiusa"), vuoi per l'oggettiva scarsa efficacia di un provvedimento simile. Paradossalmente sembra che la Gelmini abbia più titolo per far traslocare in terra neutrale la scuola, che per imporre ad un sindaco di rimuovere i simboli. L'unica via percorribile, dunque, sembra quella di un provvedimento del ministero dell'Interno o del suo rappresentante, il Prefetto. Qualche direttiva per casi similare pare sia già stata emanata in passato e non si capisce, o meglio forse si capisce sin troppo, perchè tanto ritardo in un pronunciamento. Silenzio, stiamo lavorando, rispondono a Brescia in Prefettura. Sarà, ma il rischio è che questo "lasciateci lavorare" finisca per assomigliare troppo al Lancini-pensiero di "sulla scuola abbiamo le idee chiare".  Una grande melina con un unico scopo: sfiancare le proteste per consolidare l'abuso. Come si fa con le case e i garage costruiti senza licenza edilizia: deve passare il tempo e prima o poi arriva un condono.


E già, si dice, che qualcuno pensi al prossimo blitz: quale miglior modo, infatti, per legittimizzare il Sole della Alpi come simbolo territoriale se non farlo finire nel gonfalone del comune accanto ai grappoli d'uva e alla A di Adro? Sole e uva, del resto, si sposano a meraviglia in questa città-stato che sembra diventata la piccola Adro.


CONDIVIDO CON VOI QUESTO CONCORSO...

mercoledì 29 settembre 2010

I politici? In ferriera

Quando da giovane giornalista guardavo fuori dalla finestra della redazione vedevo il lungo serpentone di una colata continua. Del resto, nella città del tondino, in una redazione ricavata dalla vecchia palazzina degli uffici di un ex azienda siderurgica cosa potevi pretendere se non vedere il cortile della Bisider della famiglia Lucchini? Oggi guardo fuori dalla finestra e vedo un centro commerciale: la ferriera non c'è più e tutto intorno le fabbriche sono state smantellate per far posto, nelle intenzioni oggi provate dalla crisi, a ufffici, negozi e abitazioni.
Mi sono ricordato di quella colata continua leggendo oggi sul Corriere il ritorno di Silvia Avallone, scrittice rivelazione dell'estate, a Piombino, alla Lucchini-Severstal dove ha ambientato il suo fortunato libro: Acciaio.
L'occasione era quella di un sopralluogo per il film destinato a tradurre in immagini le avventure di quei giovani di Piombino stretti tra fabbrica, sogni e voglia di fuggire altrove, magari solo all'Elba. Tra treni rotaia, altiforni e cokerie, Silvia Avallone ritrova i volti duri descritti nel libro. Volti spiegazzati dalla fatica, quella vera, per 900/1500 euro al mese. Volti sui quali è passata la crisi che ha costretto, fatto raro, a spegnere i forni altrimenti attivi 24 ore su 24. Silvia Avallone chiude il suo pezzo con una convinzione: "Tornare nella giungla della fabbrica ha rafforzato in me una convinzione. Che questa è l'Italia che vale la pena raccontare".
L'autrice di Acciaio ha raccontato questa storia a pagina 25 del Corriere che oggi dedica cinque pagine (al netto della pubblicità) al discorso che stamane Berlusconi terrà alla Camera, ai giochetti di potere, alla campagna acquisti del Pdl, ai fatidici 316 deputati per ottenere la fiducia. Poi leggi i racconti dalla fabbrica dell'Avallone, scopri che i temi veri sono altri e ti monta il populismo: "I politici - hai voglia di urlare -? In ferriera". Non tanto, almeno una settimana, poi ne riparliamo.



martedì 28 settembre 2010

Sanità: quando è terra di conquista

Tutto è pronto o quasi. Il 30 giugno una delibera della Regione Lombardia ha dettato le regole per l'aggiornamento degli elenchi dei manager aspiranti alle cariche di direttore generale, direttore sanitario e direttore sociale di Asl, ospedali e istituti di ricerca lombardi. Le domande dovevano essere consegnate entro il 23 di agosto e ora si stanno aggiornando gli elenchi di coloro che ambiscono a dirigere la sanità lombarda.
Ma non sono questi adempimenti burocratici a mettere in fibrillazione i piani alti di ospedali e Asl. Non è nemmeno la curiosità di vedere chi aspira ad un posto da "capo", perchè si sa come funzionano queste cose: la sanità è come il risiko, tutta questione di carri armati e bandierine. E c'è qualcuno che scalpita più di altri in questa partita che in passato ha riservato ai veritici regionali figuracce da barbari che si spartiscono il bottino (ricordate quella conversazione sulle nomine tra politici del Pirellone del gennaio 1995, ascoltata via telefono e trascritta da una giornalista del Corriere e trascritta sul quotidiano con ampio clamore?). Quel qualcuno porta un fazzoletto con il Sole delle Alpi nel taschino della giacca e vuole contare in Sanità quanto il carico di voti mietuto alle ultime regionali gli offre secondo i canoni della buona e sana lotizzazione.
Se la Lega punta i piedi per le Fondazioni bancarie nel nome di una vicinanza al territorio (Tosi docet) figuriamoci se sta alla finestra quando a fine anno si consumerà la battaglia per il rinnovo dei direttori generali di ospedali e Asl lombardi.
Oggi sul Corriere Giuseppe Baiocchi, ex direttore della Padania, distilla un'analisi  sui nuovi spazi che la Lega va cercando. "Il ruolo di rappresentanza riconosciuto dal popolo sovrano - spiega - apre spazi di potere reale e non "parallelo" nell'ambito del complesso sistema di potere pubblico e semi-pubblico  disegnato nella struttura della società dalle leggi e dalle consetudini di un passato non certo recente. E ci sono già avvisaglie nel settore strategico della Sanità. Si stanno già predisponendo i "pacchetti di mischia" di un match di rugby non necessariamente vincolato dalla correttezza sportiva".
Così a Brescia (due Asl, tre aziende ospedaliere) già si dice che oltre all'Azienda ospedaliera di Desenzano dove già ha propri uomini (gran parata leghista la scorsa settimana per l'inaugurazione di alcuni reparti rinnovati), il "Sole delle Alpi" potrebbe sorgere sull'Asl del capoluogo o sull'azienda ospedaliera di Chiari, cittadina retta da un senatore leghista influente come Sandro Mazzatorta. E che dire della Valcamonica (unico esempio in cui l'azienda sanitaria amministra anche quella ospedaliera), tanto cara ai leghisti non solo perchè Umberto Bossi vi passa le vacanze, ma anche perchè la geografia padana  ha elevato da sempre quel territorio al rango di provincia? Qualche poltrona trema, qualche manager si sente con le ore contate e gioca tutte le sue carte.
"E' in corso sotto traccia - spiega ancora Baiocchi - un improvviso riverniciarsi di "verde padano" (l'unico che resta) di manager di terza e quarta fila: chissà se anche per loro vige ancora l'antico apprendistato da attacchini con colla e manifesti, come prova di fedeltà identitaria? O forse la Lega in questi ambiti non ha (come è accaduto ad esempio in Rai) "sederi fidati" a sufficienza per le sedie da occupare?".  Secondo Baiocchi il movimento "da sindacato del territorio è costretto ad interrogarsi su quanto sia produttivo rivendicare e legittimamente piantare bandierine e quanto sia invece indispensabile mantenere la sensibilità giusta per la tenuta del quadro complessivo dell'alleanza".
"Piantare bandierine non ha prezzo", direbbe la pubblicità di una famosa carta di credito. Ma, mire della Lega a parte (la lottizzazione, ahinoi, è da sempre l'anima della politica), viene da chiedersi quale sia la convenienza per il cittadino. Quello stesso cittadino che recentemente si è visto praticamente dimezzare dall'Asl gli ambulatori vaccinali pediatrici con buona pace dei disagi e dei trasferimenti. E nel silenzio colpevole dei manager sanitari di cui si sbandiera la professionalità anche se al vento, spesso, garrisce solo la fede politica. Vera o presunta.

SANITA' UNA PUNTATA DI REPORT SULLA SANITA' LOMBARDA (PARLA ANCHE DI BRESCIA)

lunedì 27 settembre 2010

Se ad Adro i giornalisti sono "persone poco ragionevoli"

Siamo persone poco ragionevoli. Lo ha detto il sindaco di Adro Oscar Lancini questa sera a margine del consiglio comunale. Un consiglio comunale che avrebbe dovuto parlare di bilancio e di qualche altro adempimento tecnico ma che, nelle intenzione delle minoranze avrebbe dovuto virare necessariamente sull'annosa questione dei 700 "Soli delle Alpi" che albeggiano sulla scuola del comune della Franciacorta.
Ad attenderselo anche il pubblico delle grandi occasioni e una frotta di giornalisti, tv, fotografi, con tanto di diretta web sul Corriere.it e con un dopo consiglio in diretta dal portico di Palazzo Dandolo, la sede municipale, su l'Infedele di Gad Lerner. "Persone poco ragionevoli" ha invece sbottato Oscar Lancini da Adro che, lasciato solo dai leader leghisti come sostiene La Stampa, definendolo un caso umano, ieri se l'è presa con i giornalisti lasciando l'aula dopo averli invitati ad andarsene senza, ovviamente, troppo successo.
Dal suo ufficio è uscito solo per essere riportato a casa sotto scorta nel caso i tipi "poco ragionevoli" fossero anche "poco raccomandabili". Il risultato? Consiglio comunale rinviato a domani sera, seduta a porte chiuse causa giornalisti, come se i tipi "poco ragionevoli", le telecamere e i taccuini fossero anche pericolosi destabilizzatori dell'ordine pubblico.
Verrebbe da dire al signor Lancini: "è la stampa, bellezza". Ma noi non siamo Humphrey Bogart.



CRONACHE DA ADRO

giovedì 23 settembre 2010

Cosentino: se la politica si auto assolve... Viva la monarchia

Sfoglio i giornali e rabbrividisco: la maggioranza si è contata e la politica si è autoassolta. La tenuta del Governo Berlusconi ieri si è misurata sul responso che il Parlamento avrebbe dovuto dare sull'utilizzo delle intercettazioni telefoniche indirettamente operate nei confronti dell'ex sottosegretario Nicola Cosentino, finito sotto inchiesta per concorso esterno in associazione camorristica e si è esibita in una autoassoluzione di casta che la dice lunga sullo spessore etico della politica Italia.
Le tenute delle maggioranze di Governo dovrebbero misurarsi sui programmi, invece in questa Italia che pare abbia perso la bussola va alla conta su un fatto che dovrebbe essere pacifico: un politico, come ogni comune cittadino, se finisce indagato va a processo con tutte le prove a carico o a discolpa raccolte durante le indagini, senza che "gli amici della casta" sfilino dal fascicolo processuale i documenti più compromettenti, anche se c'è chi, come fosse un giudice, già si affretta a dire che si tratta di materiale "irrilevante".
E in questo triste spettacolo giornali e giornalisti sembrano più preoccupati di discuisire sulla tenuta della maggioranza che sull'ennesimo scempio etico che si è consumato in Parlamento. Scorro i quotidiani, navigo in internet e vedo come gli approfondimenti sul caso che non siano di taglio geopolitico-gossipparo si contano sulla punta delle dita. E questo non è un buon segno. Un vecchio adagio delle mie parti diceva: "quello è talmente potente che anche quando fa pipì a letto può dire di aver sudato". Ora mi pare che siamo talmente assuefatti a queste storture che, spesso, anche noi giornalisti, davanti ad una classe politica che non perde occasione per fare pipì fuori dal vaso ci chiediamo, spesso autoconvincendoci, che forse... ha solo sudato.
Qualche voce fuori dal coro comunque c'è e segnalo in proposito il "solito" Vittorio Grevi sul Corriere della Sera in un commento dal titolo "Quando la Camera si fa Magistratura". Cito una frase su tutte per far capire il clima: "Ancora una volta, purtroppo, le istanze della autotutela politica hanno avuto la meglio sulle esigenze della legalità". E Grevi è ancora più dettagliato spiegando come il Parlamento non si sia limitato a dire che quelle intercettazioni appartenevano ad un progetto persecutorio nei confronti del politico (elemento su cui si fonda la ratio della norma che porta casi come questi all'esame di Motecitorio), ma è entrato nel merito dell'inchiesta parlando addirittura di "fragilità dell'impianto accusatorio". Addio legalità se i politici si ergono a giudici dei propri sodali. "La Camera si è sostituita all'autorità giudiziaria" spiega in sintesi Vittorio Grevi e basta sfoglia il giornale di qualche pagina per imbattersi nell'ennesimo terremoto giudiziario, in una nuova tangentopoli, in nuovi parlamentari inquisiti. Nel '92 Milano e la Lombardia, oggi Teramo e l'Abruzzo come se il tempo che forgia l'esperienza fosse trascorso invano e se i politici ora fanno anche i giudici, dove andremo a finire? Insomma quasi quasi viene da simpatizzre per la monarchia: proprio Ieri Vittorio Emanuele di Savoia, in passato arrestato e indagato, è stato assolto. Dal giudice per l'udienza preliminare e non certo dal consiglio della corona.




martedì 21 settembre 2010

Ciao Sandra...

Ore 13.40: l'Ansa ha appena battuto la notizia della morte di Sandra Mondaini e già qualcuno dice che è morta con lei la Tv che non c'è più. A noi che siamo dei sentimentali ci piace ricordare quanto poco tempo sia passato dalla dipartita di Raimondo Vianello. Le vere coppie si giudicano dal loro saper vivere in simbiosi, l'uno specchio dell'altra. E l'immagine di Sandra si era annebbiata cinque mesi fa quando aveva salutato il suo Raimondo. Forse era scritto che dovesse finire così presto. Ora ci piace ricordarli così, Raimondo e Sandra come in un uno dei tanti spettacoli insieme. Forse Sandra non è morta è tornata a vivere con il suo Raimondo...









Adro: l'inno di Mameli e la Padania

La telenovela dei simboli del Sole delle Alpi continua e ora il sindaco Oscar Lancini, forte dell'autonomia che gli riconosce il suo movimento, deve decidere in proprio se toglierli o lasciarli sulla scuola intitolata a "Gianfranco Miglio". Par di capire che non sarà Umberto Bossi a togliergli le castagne dal fuoco, così come nessun altro dei vertici del suo partito (ieri proprio a chi scrive il deputato Davide Caparini ha spiegato - leggi su Bresciaoggi - che agli amministratori viene lasciata massima indipendenza), tenendo conto che la difficile situazione politica nazionale, la vasta eco avuta dalla pensata del sindaco Lancini e l'alto rischio di frattura tra amminstrazione comunale e vertici istituzionali dello Stato, non depongono per un appoggio totale e incondizionato alle scelte del comune della Franciacorta.
Forse oggi sapremo il Lancini-pensiero, ma in attesa il vulcanico sindaco di Adro ha spiegato in un video i motivi delle sue scelte, il suo rapporto con la Gelmini e la sua idea di Padania in crescita. Lo allego qui sotto insieme ad un video che ho ricevuto e caricato su You Tube sulla manifestazione di sabato contro i simboli: l'Inno di Mameli cantato dai manifestanti nel cuore di Adro (Padania).



sabato 18 settembre 2010

Metti una cella in piazza per capire il carcere


Una cella in piazza per capire il carcere. L'iniziativa, già sperimentata in altre città italiane (la foto qui sopra è relativa alla cella allestita a Padova), a Brescia è stata organizzata dall'associziazione carcere e territorio in collaborazione con il Garante per i detenuti, l'appuntamento è in piazza della Loggia per domani e lunedì. Di seguito l'articolo comparso per annunciare l'iniziativa su Bresciaoggi di ieri.

«L'ingresso e, soprattutto, l'uscita sono liberi». Detta così può sembrare una semplice informazione di servizio, ma se il luogo è la cella di un carcere l'indicazione ha il suo perchè.

Siete mai stati in carcere? Avete mai visitato una cella? Avete mai immaginato come si vive un'intera giornata in quattro metri per quattro, o poco più, in compagnia di altre persone che non vi siete scelti come compagni di avventura? Domenica e lunedì il carcere, per iniziativa del Garante dei detenuti e dell'Associazione carcere e territorio, con il patrocinio del Comune di Brescia approda in piazza Loggia. È qui, nel cuore della città, che verrà ricostruita una cella con dimensioni che riproducono quelle di un carcere, così come l'arredamento e le sbarre alle finestre. I visitatori capiranno così cosa vuol dire sovraffollamento, quanto sia difficile vivere quotidianamente , 22 ore su 24, all'interno di una cella dove spesso la porta è chiusa e lo spazio vitale è ridotto al minimo (tanto che bisogna mangiare a turni perchè il pavimento non può ospitare tutti in piedi contemporaneamente).
L'iniziativa è già stata sperimentata con successo in altre città italiane, da Ancona a Padova, e ha rappresentato l'occasione per avvicinare la società civile al difficile lavoro di avere un carcere più umano e una pena realmente educativa come vuole la Costituzione.
M.TOR.
ECCO LA CELLA IN PIAZZA ALLESTITA AD ANCONA

venerdì 17 settembre 2010

Adro: quella mensa non ammette deroghe, solo intolleranze...

Non so se esista l'intolleranza alimentare alla carne di maiale, certo è che per essere presa in considerazione dovrà essere certificata da un medico. Lo dice il nuovo regolamento della mensa scolastica di Adro, la cittadina nell'occhio del ciclone per il Sole delle Alpi con il quale il sindaco ha infarcito arredi e suppellettili della nuova scuola; il centro in provincia di Brescia che nell'aprile scorso era balzato agli onori delle cronache per aver tenuto a digiuno i bambini delle famiglie morose, tanto che un imprenditore mise mano al portafoglio per sanare quella situazione finendo per essere attaccato come colui che aiutava "i furbetti".
I nuovi gestori della mensa (un gruppo di genitori vicini al sindaco Oscar Lancini, che ha fatto di tutto per mettere alla porta la vecchia associazione che gestiva volontariamente da oltre 30 anni la struttura, rea di aver tacciato come razziste le prese di posizione di quei concitati giorni di aprile) sono riusciti nell'impresa di garantire gli stessi prezzi, molto concorrenziali, praticati lo scorso anno scolastico, ma dalle deroghe ai menù sono sparite le ragioni di tipo religioso. Le diete speciali, infatti, sono ammesse solo per intolleranze certificate da un medico. Punto.
Ha avuto così concreta attuazione quanto aveva anticipato il sindaco nelle scorse settimane garantendo sì il servizio mensa, ma senza menù religiosi: se il piatto del giorno prevede carne di maiale i musulmani o si adattano o saltano il pranzo. Paradossalmente, visto che ora la mensa va pagata in anticipio con l'acquisto dei buoni pasto mensili (altro elemento nuovo rispetto al passato in modo da estirpare alla radice il problema dei morosi) potrebbe anche capitare che una famiglia musulmana paghi un servizio anche se talvolta non potrà usufruirne senza commettere, per dirla alla cattolica, un "peccato":
Una scelta anacronistica, oltre che di doveroso rispetto per le convinzioni religiose altrui,  visto che ormai non c'è mensa aziendale o scolastica che non preveda menù specifici o diete speciali. Penso a quello che accade ad Adro e guardo la circolare sul servizio mensa consegnata a mio figlio nei giorni scorsi: basta un'autocertificazione per accedere a diete speciali giustificate da motivi religiosi, etnici o ideologici, comprendendo esplicitamente in quest'ultima categoria anche i figli di famiglie vegetariane. Agevolazioni che esistono da anni, anche quando il paese in cui abito era governato da un sindaco della Lega Nord. Perchè? Perchè, nella provincia che per prima nei contratti integrativi di lavoro ha incominciato a discutere anche su giorni festivi diversificati in virtù della religione, è una regola di buon senso e di rispetto. Perchè le battaglie ideologiche e le guerre di religione non si fanno sulla pelle dei bambini e sui diritti fondamentali delle persone come quelli di professare la  propria religione e di seguire i precetti che questa impone.
Ma il buon senso, pare, abbia traslocato da tempo da Adro. E, purtroppo, l'intolleranza ammessa in questa mensa non sembra solo quella alimentare.

giovedì 16 settembre 2010

Adro: pane al pane e silenzi istituzionali

A volte basta poco: parole asciutte, zero esibizioni linguistiche, zero piroette giustificative. Ha i piedi ben saldati per terra questa mattina l'intervento di Giangiacomo Schiavi sul Corriere della Sera parlando dei simboli leghisti sulla scuola di Adro. Il vice direttore del quotidiano milanese, che ad aprile intervistò il benefattore adrense che offrì il suo contributo per ripianare i debiti della mensa finita nella bufera, è chiaro, limpido e lapidario in due colonne di taglio basso nella pagina dei commenti.
Parlando di "estremismo un po' folk di un sindaco che ha sbagliato" spiega: "Una scuola pubblica con un marchio di partito è inaccettabile. Punto. Non è accanimento dire che il timbro della Lega impresso sui banchi è un errore: stare zitti, per comodità, menefreghismo o indifferenza, portando rasoterra la soglia dell’accettazione, è molto peggio. Per questo chi ha un ruolo istituzionale si deve adoperare per tirare fuori Adro da un’attenzione che sta diventando morbosa. Che certe autorità non intervengano per dire che quei simboli sono fuori luogo e vanno in qualche modo rimossi è preoccupante: vuol dire che si può tranquillamente passare il confine della neutralità anche nei luoghi in cui la propaganda politica deve restare fuori dalla porta".
Ma l'Italia va così: dire pane al pane ad un sindaco che l'ha fatta fuori dal vaso può sembrare un'impresa anche a chi ne ha l'autorità e il grado per farlo. Che Paese strano quello in cui si è convinti che chi ha la maggioranza forse un po' di ragione ce l'ha, anche se è solo - per dirla con Schiavi - estremismo folk di un sindaco che ora "sfiora il limite del ridicolo nel cercare di giustificare qualcosa che il buon senso rende ingiustificabile".

martedì 14 settembre 2010

Giornali: quando se ne va un direttore

Si sono svolti oggi a Roma i funerali di Pietro Calabrese, 66 anni giornalista, romano d'adozione, direttore negli anni di Messaggero, Panorama, Gazzetta dello Sport. Non ho mai avuto occasione di conoscerlo di persona, anche se ho collaborato per anni al Messaggero. L'ho conosciuto attraverso le parole di chi gli aveva lavorato a fianco, nei ricordi della sua squadra come si chiamavano i giornalisti che dal Messaggero, in questi anni sono approdati a tanti nuove avventure professionali (dalla direzione di Sette del Corriere, alla firme di punte giornalismo di inchiesta del medesimo quotidiano). Una di questi colleghi, Fiorenza Sarzanini, ha scritto nel suo ricordo per il Corriere parole toccanti.  "Si arrabbiava - ha raccontato - se non stavi attento quando parlava, era capace di gridare se un articolo non era come lo aveva immaginato e di commuoverti con gli elogi se avevi capito che cosa aveva in testa. Lo diceva sempre: "I lettori si devono emozionare". Lui sapeva farlo bene. Anche quando scriveva analisi politiche riusciva a non essere noioso o banale. Il Messaggero, quotidiano di Roma, è stato per anni la sua casa, lì ha creato la sua squadra: i «ragazzi» che non l' hanno mai abbandonato e alla fine sono diventati un pezzetto della sua famiglia. Adesso sono un po' attempati, hanno preso strade diverse. Però non si sono persi. E a lui piaceva quando si riusciva a stare tutti insieme per mangiare oppure soltanto per fare quattro chiacchiere. Era orgoglioso quando poteva vantarsi perché «adesso siete tutti in carriera e molti di voi fanno i direttori». Pietro era così, non ti abbandonava mai".
Parole e ricordi che fanno bene al giornalismo, troppo spesso orfano di buoni maestri, un po' padri, un po' padroni, ma sempre professionisti trasparenti. Sembra ieri, ma Fiorenza Sarzanini racconta di atmosfere antiche, di dinamiche ormai rare delle quali resta spesso solo tanta nostalgia. Come quella che si leggeva negli occhi di quei ragazzi d'un tempo che oggi a Roma hanno portato sulle spalle la bara del loro maestro.

Se un Sordi qualunque va alla Biennale...

Puntatina a Venezia nei giorni scorsi, solito giro tra le calli e, già che c'eravamo, passaggio all'Arsenale dove è in corso la Biennale di Architettura. "People meet in architecture" è il titolo della rassegna di quest'anno, ma negli spledidi spazi dell'Arsenale mi sono sentito un po' troppo "people" per apprezzare fino in fondo il percorso allestito da Kazuyo Sejima, la nuova direttrice della mostra. Così tra un padiglione e l'altro ridevamo con mia moglie ripensando al film "Dove vai in vacanza" (1978) e all'episodio "Le vacanze intelligenti" dove i coniugi Remo e Augusta Proietti (Alberto Sordi e Anna Loghi) approdano alla biennale d'arte del 1978 sulla scia del viaggio culturale pianificato dai figli prossimi alla laurea con il proposito di elevare l'intelletto dei genitori "fruttaroli", più abituati al litorale di Ostia e alle lasagne sulla spiaggia che ai sofismi delle avanguardie.



Abbiamo riso come dei Sordi qualunque, spiegando ai ragazzi, un po' interdetti davanti a qualche allestimento troppo concettuale, che no, non dovevamo farci riconoscere: eravamo "coatti" in incognito. Ci siamo divertiti, crogiolati nella nostra sana incompetenza, e, uscendo, ci siamo consolati pensando che - dopotutto - anche quei sussiegosi architetti con un velo di abbronzatura e le scarpe da yacht si son fatti la barca progettando anonime villette a schiera per dei Sordi qualunque come noi...

lunedì 13 settembre 2010

Adro, ancora Adro: basta!

Ho passato la giornata ad ascoltare le notizie in arrivo da Adro. Sì ancora Adro, quello della mensa negata (a proposito appena posso cerco di capire i nuovi della mensa gestione-Lancini per metterli a confronto con quelli super concorrenziali praticati dai genitori volontari invisi al Comune) che ora ha costruito una scuola disseminata dal simbolo del sole delle alpi tanto caro alla Lega Nord. Che tristezza, neanche nei paesi più rossi dell'Emilia e della Toscana si era arrivato a tanto. Basta, per favore. Un po' di pietà. Sia visto da destra, che da sinistra non mi sembra un grande spettacolo e forse, a giudicare dallo scarso appoggio dato dal Carroccio alla cosa (le dichiarazioni leghiste sono arrivate con il contagocce) nemmeno i compagni del sindaco paiono molto attratti da questo eccesso di zelo E forse, come già successo per la mensa, gli abitanti di Adro (la cittadina che prima di Gianfranco Miglio aveva deciso, proprio nel nome delle radici, di intitolare la scuola ai fratelli Dandolo, eroi locali del Risorgimento) meritano forse altro. Ma questa ormai è l'Italia, povera di spirito e stremata come forse non lo è mai stata...



venerdì 10 settembre 2010

L'italiano all'oratorio: la torre di Babele e lo Spirtito Santo

Le cronache ci informano "All'oratorio scatta il divieto di parlare le lingue straniere". Siamo a Pontoglio in provincia di Brescia e la decisione è maturata tra il parroco don Angelo Mosca e il curato dell'oratorio don Massimo Regazzoli. "Noi crediamo - dicono - che per integrarsi  bisogna anzitutto rispettare regole e consuetudini del Paese ospitante, a partire dalla lingua, oltre alla buona educazione. Secondo i dettami cristiani del Vangelo, noi all'Oratorio accogliamo tutti, indipendentemente dal colore della pelle e dalla religione. Ma non possiamo più tollerare i gruppetti di stranieri che parlano ognuno il proprio idioma, incomprensibile per gli italiani e per le altre etnie. L'episodio biblico della torre di Babele viene alla mente".
Chi non accetta le regole, dunque, è fuori perchè l'italiano deve essere il ponte che unisce attorno all'idea di oratorio. Ho letto l'articolo e ho sorriso pensando all'ex parroco di questo paese dell'Ovest bresciano, don Angelo Chiappa, vulcanico prete bresciano, ormai 70enne, che aveva salutato i suoi parrocchiani un paio di anni fa per motivi di salute (oggi si dedica alla pastorale dei migranti) con un messaggio polemico nei confronti dell'amministrazione civile che aveva escluso gli stranieri dai bonus bebè. Leggo e penso al lavoro prezioso di tanti preti che erano migrati in Svizzera e in Germania con i loro fedeli facendo della lingua delle origini il prezioso elemento in cui veniva custodita un'identità, una fede, un orgoglio.
Leggo e rimango perplesso dal divieto che assomiglia molto all'obbligo, inventato in un comune non molto distante dal Pontoglio, Trenzano, e cassato dalla magistratura, in cui si imponeva alle associazioni di utilizzare la lingua italiana nelle loro riunioni. Leggo e penso che l'italiano è per antonomasia la lingua dell'integrazione, la lingua che mette in comunicazione tutti, il passo necessario per il dialogo (tanto che anche nelle moschee si parla italiano per far comunicare il Musulmano del magreb con il pachistano o il senegalese), imporlo con bolla papale, vietando, di conseguenza, l'uso lingua madre ha il senso della costrizione inutile, del rifiuto, ha il senso dell'integrazione imposta, più che facilitata, del divieto acefalo che non fa onore ad una comunità educante come quella di un oratorio.
A Pontoglio hanno evocato l'episodio biblico della Torre di Babele dove Dio confuse le lingue degli uomini (credo secondo l'interpretazione che vuole in quel gesto la punizione contro la superbia umana di voler costruire una torre talmente alta da toccare il cielo, e non secondo l'accezione che le lingue furono confuse per spingere gli uomini a popolare la Terra e ad arricchirla) quasi a giustificare l'imposizione di un unico idioma all'Oratorio. Sarebbe stato più naturale però aspettarsi che i sacerdoti evocasero invece della Torre di Babele lo Spirito santo, che, sceso sugli Apostoli, diede loro (Atti 2, 1-11)  la facoltà di farsi comprendere da tutte le lingue del mondo.
Ma forse in questo oratorio bresciano, scusate la battuta, ad uno Spirito Santo così potrebbero anche chiedere il permesso di soggiorno.


giovedì 9 settembre 2010

L'Italia dei "se l'andava cercando"

Non so cosa volesse effettivamente dire Giulio Andreotti parlando di Giorgio Ambrosoli ai microfoni de "La storia siamo noi" che stasera, giovedì 9 settembre, ricorderà l'avvocato milanese che l'11 luglio 1979 fu ucciso da un sicario mandato da Michele Sindona per far tacere chi si stava occupando con rigore della liquidazione della sua Banca privata italiana, crocevia di affari poco puliti. Perchè è stato ucciso Ambrosoli, gli è stato chesto? "Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando" ha rispoato.
Non so se Andreotti sia stato frainteso come si è affrettato a dire spiegando, davanti alle polemiche e al ricordo di chi lo voleva più vicino a Sindona che all'eroe borghese decritto da Corrado Stajano: "Sono molto dispiaciuto che una mia espressione di gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli. Intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto".
Certo è che in quel "se l'andava cercando" sta tutta la stranezza di un'Italia che ha simpatia per il disonesto e sospetto per il probo. Certo, probabilmente scopriremo che anche Angelo Vassallo il sindaco di Pollica, ucciso in un agguato da killer misteriosi "se l'andava cercando" per salvare quell'angolo incantato di Cilento. Forse se "l'andavano cercando" anche il Generale Carlo Alberto della Chiesa, Falcone e Borsellino, Peppino Impastato, e tutte quelle persone hanno una sola stella polare: l'onesta e la coerenza. Come Giorgio Ambrosoli "un uomo - scrive il figlio Umberto nel libro "Qualunque cosa succeda" - che credeva nel significato e nel valore della propria libertà e responsabilità al punto di subordinare a queste anche tranquillità e sicurezza". Già, lui se l'era cercata e per questa Italia, che dal '79 ad oggi sembra non aver imparato nulla, un "eroe borghese" vale meno di un tronista, un onesto  di un uomo della cricca.





lunedì 6 settembre 2010

Vallanzasca e le vittime. L'uomo del reato e quello della pena...

«Mi chiedete se ho sbagliato? Sarei un cretino se dicessi il contrario. Qualche ragazzo che incontro mi dice che sono un mito. Rispondo loro che un mito che si fa 40 anni di galera è un mito idiota, e che di miti non devono averne, perché i miti sono pieni di debolezze».
Renato Vallanzasca

Tutte le volte che varchi le porte di un carcere ti capita di pensare: qui abita l'uomo della pena, colui che sconta per ciò che ha fatto. E talvolta quel "ciò che ha fatto" rivive, oltre il muro, nelle lacrime di una vedova, nella ferita mai rimarginata di una figlia, di una madre, di un famigliare che si è visto privato di un affetto, che si è visto la vita dilaniata da un dolore che può tramortire.
Quando incroci i tuoi occhi con quelli dell'uomo della pena non puoi fare a meno di pensare all'uomo del reato, a quello che è stato, a quello che ha fatto. E se l'uomo della pena si chiama Renato Vallanzasca, l'uomo del reato sembra immortale, nel senso che ogni cosa faccia l'uomo della pena, c'è accanto a lui lo spettro dell'uomo del reato, seminatore di lutti, di morti e di lacrime. Difficile spiegare come scriveva Beccaria che "l'uomo della pena è diverso dall'uomo del peccato", che chi ha un passato criminale possa vivere un presente con la voglia di costruire qualcosa di onesto. Difficile quando quel passato diventa un libro e pure un film da red carpet, di quelli ai quali la Mostra di Venezia  tributa lodi e critiche, applausi e fischi, ma pur sempre quell'immortalità che fa di una storia tragica un mito.
Che dire se l'uomo della pena (il "bel Renè" di un romanzo criminale all'ombra della Madonnina e fra le nebbie di Lombardia) prende il sopravvento su quello della pena (un signore su d'età, classe 1950, con poco smalto un lavoro esterno in una cooperativa e una notte in carcere giusto per non scordarsi 4 ergastoli e 260 anni complessivi di reclusione)? Che dire davanti alle proteste di chi a quel nome associa quello di uno sterminatore tanto da sentirsi in dovere di protestare per quel tappeto rosso tributato a Vallanzasca "mito" del cinema. "Rispettate le vittime" chiedono i famigliari e il rispetto, insistono, si tributa con il silenzio non lucrando sulle disgrazie con un film e un libro. Michele Placido, che il film lo ha diretto, risponde che Vallanzasca è ancora in carcere e tra i politici c'è di peggio  .
Una bella provocazione che sa di marketing avanzato, mentre lo stesso ex bandito della Comasina spiega che comprende l'incazzatura dei famigliari: è giusto che siano arrabbiati. E' l'uomo della pena che combatte contro il mito dell'uomo del reato; è il vuoto di un destino che non potrà mai ridare ciò che è stato tolto, colmare un affetto lasciato orfano; è la frustrazione di una legge e di uno Stato che non hanno mai saputo e voluto trovare una giustizia giusta per le vittime di un reato.
Che fare, dunque? Un giorno una ragazza in cella per aver ucciso il padre (un padre padrone, raccontavano le cronache, un colpo di coltello vibrato in uno stato di profonda prostrazione, riferirono i periti, che non evitarono però la condanna sia pur contenuta) mi raccontò che alcuni tg nazionali e trasmissioni tv l'avevano cercata per un'intervista dopo che gli amici avevano raccolto centinaia di firme per chiedere la grazia al presidente della Repubblica. Me lo disse aggiungendo che non aveva alcuna intenzione di finire davanti ad una telecamera: "Perchè dovrei andare in tv? Dopo tutto non ho fatto una bella cosa, ho ucciso mio padre, non c'è nulla di cui andare orgogliosa in televisione".
Oggi quella ragazza è tornata a casa, lavora e vuole essere dimenticata: incarna la donna della pena che sta vincendo la sua battaglia su quella del reato. Par di capire che per Renato Vallanzasca il cammino sia ancora lungo, ma la strada c'è: bisogna solo decidersi a percorrerla. 

  





venerdì 3 settembre 2010

Politica: largo ai giovani. Vota il sondaggio


"I politici sono come i pannolini: bisogna cambiarli spesso, e per lo stesso motivo"
Robin William in "'L'uomo dell'anno" (2007)

Matteo Renzi, sindaco di Firenze del Pd, ci è andato giù duro con il suo partito: un partito di sbadigli dove "è ora di rottamare i vecchi dirigenti". Polemizza, lui classe 1975, e chiede l'applicazione dello statuto del Pd. "Lo statuto del Pd parla chiaro - spiega -, anche se ovviamente è rimasto inapplicato: dopo tre mandati parlamentari, giù dalla giostra. Se davvero si va alle elezioni anticipate, anche se personalmente ci credo poco, alla prima assemblea nazionale per le candidature vado alla tribuna e lancio il seguente ordine del giorno: facciamo riscoprire il piacere della semplice militanza ai nostri parlamentari che hanno varcato la soglia delle tre legislature. E, potendo, anche a Di Pietro, un altro che da 20 anni pontifica su tutto, e abbiamo visto i risultati".
Lui, che faceva il liceo quando Berlusconi andò la prima volta al governo, ieri in una radio ha spiegato che alle primarie non avrebbe votato Bersani perchè lo ritiene inadatto alla sfida e perchè, dopo aver partecipato a tante competizioni, si è stufato: non vuole solo partecipare, ma anche vincere. Insomma largo ai giovani nel Pd, e mentre Bersani bofonchia un "ci vuole affetto alla ditta", in molti si chiedono: in politica cosa conta?
Essere giovani, avere delle belle idee o avere esperienza?
Questo blog, sul tema, ha lanciato due sondaggi che trovate qui a destra. Il primo serio, l'altro più ironico. Il primo proiettato verso il futuro, l'altro inchiodato alla realtà dove i giovani sono funzionali solo se sono fighi o se portano la quarta di reggiseno.
Come la penso io? Che le idee, quelle buone, in politica non hanno età, che si può essere vecchi fuori e giovani dentro. Conta costruire il consenso sulle idee e non sugli uomini, che è giusto che cambino perchè non si sentano troppo monarchi. E i giovani? Beh, dalle nostre parti votano Lega e Pdl, ma questa è un'altra storia. Un altro degli ampi pascoli lasciati liberi da un centro sinistra che incede con una rotta incerta in un mare in burrasca...



"Ecco, io preferisco uomini brillanti ed estrosi, anche se un po' mascalzoni, a uomini grigi, noiosi, ma onesti. Perché, alla fine, il grigiore, la noia, e anche l'eccessiva onestà, faranno senz'altro più danni al Paese".
Nanni Moretti, ministro Botero, in Il portaborse (1991)

giovedì 2 settembre 2010

Il funerale della mensa di Adro: game over

Ricordate la storia della mensa di Adro, la storia di quel paese della provincia di Brescia dove il sindaco leghista Oscar Lancini aveva deciso di mettere a pane e acqua i ragazzi delle famiglie che non potevano pagare? Ricordate quell'imprenditore che diede una lezione a tutti mettendo di tasca propria i soldi dei morosi e che, invece, di essere ringraziato, si trovò lapidato sulla pubblica piazza dai concittadini, alcuni dei quali minacciarono la morosità di massa, perchè tanta generosità finiva per favorire i furbetti, ovviamente extracomunitari?
Ricordate quell'associazione di genitori che gestendo la mensa a prezzo più che concorrenziale aveva sbarrato la strada al sindaco e alle sue truppe bollando come razziste le proteste?
Curiosando in questo blog troverete tutti i passi della vicenda e delle polemiche nate nell'aprile scorso e oggi in queste righe celebriamo un funerale. Il funerale della mensa di Adro, almeno così come era stata concepita fino ad ora. Dopo 36 anni di onorata attività (ci informa Bresciaoggi), l'associazione genitori si scioglie, lascia la gestione della mensa dopo mesi in cui il sindaco, che aveva tentato il colpo di mano cercando di pilotare l'elezione di un direttivo "amico" fuori dalle regole statutarie (ma pronto, il direttivo, a gestire i conti in banca), ha risposto con il silenzio e l'indifferenza a richieste come il rinnovo della convenzione per la gestione della mensa, che intanto aveva traslocato nel nuovo polo scolastico. Così, logorati da una lotta politica che non gli appartiene i genitori  hanno deciso di sciogliere l'associazione, affidando il bilancio ad un liquidatore che avrà il compito anche di costituire un fondo di solidarietà per chi la mensa, nuova gestione, non potrà pagarla: l'ennesima lezione di sensibilità agli amministratori che si accompagna alla decisione di concedere in comodato d'uso le attrezzature della mensa a chi gestirà per il proggimo anno scolastico la distribuzione dei pasti.
Già, chi gestirà la distribuzione dei pasti? Il sindaco per non parla, anche se in passato si disse pronto ad un menù tutto padano, lasciando intendere che chi non gradiva la carne di maiale poteva starsene a casa.
Ma il tema è anche un altro: a che prezzo?
Sono andato a rileggermi un post in cui facevo due conti su quanto fosse conveniente la mensa di Adro che garantiva pasti cucinati al momento e non vettovaglie in catering come nella maggior parte degli istituti scolastici. Ecco il risultato: ad Adro la mensa costava, grazie al contributo dei genitori volontari, 3,90 euro a pasto con riduzione del 50% per il secondo e terzo figlio e rette diversificate in funzione dei redditi delle famiglie; io, per esempio, pagavo il pasto di mio figlio (cibo in catering che arrivava in furgone da un centro cottura) 4,50 euro, con riduzione del 50% per il fratello maggiore che usufruiva dello stesso servizio. Prezzi altamente concorrenziali, rispetto alla media, che vorremmo vedere garantiti anche per il prossimo anno da un amministratore oculato e attento come quello di Adro, che si dice forte del consenso popolare (tanto da metterlo anche in una memoria difensiva nel contenzioso che lo ha visto soccombere per i bonus bebè e il fondo affitti negati agli extracomunitari). Altrimenti le battaglie all'ombra del sole delle Alpi del sindaco Lancini gli avranno sì fatto conquistare punti nel firmamento degli amministratori leghisti, ma saranno pagate da tutte le famiglie di Adro.
E se così fosse il "gamer over" di questa poco edificante storia sarebbe ancora più amaro.


La lettera del benefattore di Adro
Caricato da Apcom-Video. - I nuovi video di oggi.

mercoledì 1 settembre 2010

Mentana ha fatto boom

Mentana e il suo telegiornale hanno fatto boom: lo dicono i dati sugli ascolti. Speriamo che duri: le voci professionali serie e libere non sono mai troppe.


DA APCOM
Ieri l`edizione delle 20 del TgLa7, condotta dal direttore Enrico Mentana, ha confermato gli ottimi dati ottenuti lunedì: il telegiornale della sera, infatti, ha fatto registrare il 6,64 di share media con quasi 1.300.000 di spettatori (1.294.933, con un picco di 1.500.000 alle 20.13 che vale il 7,56 di share) e 2.300.000 di contatti.
In mattinata il Tg delle 7.30 ha consolidato gli ascolti, ottenendo una share media del 7,07 e 284.000 spettatori (con un picco dell`8,62 di share alle 7.37). Molto bene anche 'Omnibus', seguito da 259.300 persone per il 6,05 di share, con quasi 1.400.000 di contatti e un picco massimo di ascolto del 9,05 di share alle 8.43. Quasi mezzo milione di spettatori (483.781 con più di un milione di contatti) per il TgLa7 delle 13.30, che si è attestato al 2,94 di share media.
'In Onda', in access prime time, che ha registrato 4,86 di share e 1.115.965 spettatori, con 2.800.000 di contatti (2.830.746). Il programma ha toccato un picco di ascolto di più di 1.300.000 di telespettatori
(1.364.712) che corrisponde a un picco di share del 5,91 (alle 20.54). Bene anche la prima serata con i due episodi di 'Medical Investigation': nel complesso 3,81 di share media e quasi 870.000 spettatori (3,20 con quasi 760.000 persone il primo e 4,42 con quasi 1.000.000 di spettatori il secondo, che ha toccato un picco di 1.100.000 per il 5,45 di share). In seconda serata, Leverage ha totalizzato il 3,72 di share con un ascolto medio di 640.000 spettatori e più di 1.800.000 di contatti (2.830.746). Il telefilm ha toccato un picco di ascolto di più di 844.000 di telespettatori (844.340) e un picco di share del 4.29. Grazie anche a questi risultati, La7 ha ottenuto il 3,57 nel totale-giornata. La fascia pre-serale (18:00-20:30) ha ottenuto il 4,32, il 4,04 in prime time e il 3,30 in seconda serata.

Gheddafi: la Libia più italiana o l'Italia più libica?

Che desolazione. Dopo il Gheddafi show mi chiedo se sia la Libia diventata più occidentale, grazie all'ospitalità interessata (per via degli affari) dell'Italia, o se sia l'Italia che stia diventando un po' Libia. Del resto mi chiedo quale sia la differenza tra le hostess invitate alle lezioni coraniche del leader libico e le frequentatrici di Palazzo Grazioli di cui raccontano giornali e inchieste giudiziarie; tra le amazzoni del colonnello e le giovani, vallette, igieniste dentali e via discorrendo, che amano scortare il presidente del Consiglio.
Comunque sia mi pare che l'Italia abbia fatto la figura di chi non invita alla moderazione l'ospite che mette i piedi sul tavolo del salotto, che mangia con le mani e magari fa pure le puzzette. Abbiamo fatto la figura dei subalterni, davanti al dilagare di un leader i cui eccessi sono noti e prevedibili. Ma del resto, che pretendere da un paese come l'Italia in cui il proprio leader è noto al mondo per fare le corna nelle foto ufficiali, per fare "cucu" alle colleghe dell'Unione europea, che dice abbronzato al primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. Insomma: lo stile non si improvvisa.