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venerdì 24 giugno 2011

E' successo un 48!

"Io non penso sia importante dirvi come andò a finire la nostra storia. Di sicuro so soltanto che quella fu una giornata fondamentale per la mia vita. Aveva proprio ragione il professor Gagliano quando diceva: "I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Il resto, fa volume..."
Leonardo Pieraccioni, nell'ultima scena del film I laureati (1995)
Stamattina mi sveglio ed è successo un 48, nel senso dell'età. Quella che prima o poi, nel 2011 tocca a chi, come me, è nato nel 1963. E' bello però che nell'anno in cui si festeggiano i 150 anni dall'Unità d'Italia, uno compia proprio 48 anni. Quarantotto come 1848, l'anno dei moti rivoluzionari che sconvolsero l'Europa e l'Italia ancora divisa, l'anno che fu battezzato la Primavera dei popoli , denso come fu di quella voglia di riscatto dalla restaurazione. Coincidenze della storia, ma davanti al Nord Africa e al Medio Oriente in subbuglio nel 2011 in molti hanno riesumato il termine "Primavera dei popoli". Sarà forse un segno del destino?
A ciascuno la sua rivoluzione. E l'Italia? A quando una nuova primavera dei popoli? Noi che abbiamo 48 anni e non abbiamo mai conosciuto Luigi Bisignani ne sentiamo il bisogno. Per noi, ma soprattutto per i nostri figli, coloro che erediteranno ciò che noi avremo saputo costruire. E ciò che abbiamo fatto fino ad ora non mi sembra un granché.
Sì, serve proprio un 48. E noi che siamo nati nell'anno dei grandi ideali e dei grandi sogni che portano la firma dei Kennedy e dei Marthin Luther King, non possiamo che essere sponsor convinti. Perchè, per dirla con Pieraccioni: "I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Il resto, fa volume...".

mercoledì 22 giugno 2011

Carceri: l'estate dei digiuni

E' dura l'estate in carcere. Le condizioni di vita si fanno ancora più disumane, a Brescia come a Palermo. Così l'estate 2011 delle carceri italiane sarà l'estate dei digiuni: digiunano i detenuti, digiunano i famigliari, digiunano i politici. A Brescia, a Canton Mombello (fonte: Notizie radicali), digiunano 11 detenuti  e, a turno, anche i legali dell'Unione camere penali  con un obiettivo dichiarato: digiunare per cambiare.
Digiuna per restituire dignità al sistema penitenziario italiano anche Marco Pannella. Lo fa ormai da due mesi con tutte le conseguenze psico-fisiche del caso. Lo fa nella solita indifferenza per una causa che dovrebbe coinvolgerci tutti, perchè il tema giustizia non può non partire dall'espiazione della pena con una garanzia di umanità e di rieducazione. In un carcere umano, garantire la certezza della pena è più facile e crea meno sensi di colpa ad uno Stato inadempiente.
Pannella digiuna in silenzio e già fioccano gli appelli a farlo desistere. Toccante quello di Adriano Sofri sul Foglio, ma c'è anche chi va oltre come Gianni Gennari su Avvenire o Pierluigi Battista sul Corriere della Sera. La domanda è solo una: il tema delle carcere, del sovraffollamento, delle condizioni di vita nelle celle italiane deve essere solo un tema che riguarda Marco Pannella e i radicali? La domanda è ovviamente retorica, perchè l'umanità delle carceri è - per dirla con Pannella - un tema di democrazia e - aggiungiamo noi - di civiltà. Quella di un Paese che non sta a sud dell'equatore.

E' USCITO IL NUOVO NUMERO DI ZONA 508, IL GIORNALE DELLE CARCERI DI BRESCIA.
SCARICATELO O LEGGETELO QUI 

ZONA508-GIUGNO2011

martedì 21 giugno 2011

Giornalismo: le parole che non si dicono più

Lamberto Sechi
"Fatti separati dalle opinioni". Una massima che vale oro per un giornalismo rigoroso, al servizio del lettore e non del'editore o del politico di turno (che, talvolta, in quest'Italia zeppa di conflitti d'interesse sono la stessa cosa). Una massima che nell'era dei blog e della stampa schierata pro e contro qualcosa sembra sbiadita dal tempo, cancellata da una pratica deviata di un giornalismo militante.
«La fatica dobbiamo farla noi per non farla fare al lettore. Ciascuno di noi ha i suoi amici ma il giornale non deve avere amici. Se scrivi una cazzata oggi non sarai più credibile domani. Se da un articolo non escono le persone, non ci sarà persona interessata a leggerlo». Un concetto che nel giornalismo di oggi pare stemperato nell'incapacità di raccontare un mondo e le sue storie, presi come siamo da una realtà virtuale che ama cercare il suo profilo migliore con la complicità degli uffici stampa.
«Non si capisce, non si capisce niente, non è chiaro, hai dato troppe cose per scontate, se uno non ha letto tutte le puntate precedenti qui si perde, credi che ogni lettore conosca a memoria la tua opera omnia?». Piccole regole di un giornalismo che ha le idee chiare concetti chiave che abbiamo dimenticato troppo presto e siamo poco capaci di tramandare a chi si affaccia a questa professione spesso con la convinzione di esser nato "imparato", anche se la scuola è quella fatta sui banchi e non sperimentata per strada.
Perchè ho citato queste frasi (prese in prestito dal blog di Alessandro Gilioli "Piovono rane" su l'Espresso.it)? Perchè appartengono al ricordo di un giornalista rigoroso scomparso ieri, lunedì 20 giugno, a 89 anni. Quel giornalista si chiamava Lamberto Sechi fu il padre professionale di tante firme prestigiose del giornalismo italiano, fu l'anima di uno dei grandi settimanali italiani, "Panorama" che con quella frase "i fatti separati dalle opinioni" tracciò una linea che voleva dire rigore e serietà di una professione sempre in tempesta.
Una frase che oggi, in un mondo dove i buoni maestri sono sempre più una rarità, andrebbe stampata sul tesserino dell'Ordine, a memoria di uno stile che spesso abbiamo perso nelle frenesie quotidiane, fra le barricate di una militanza che nessuno ci ha chiesto e che spesso si trasforma in servitù.
Ci vorrebbero ancora spiriti liberi, maestri veri come Lamberto Sechi a ricordarci con quelle frasi quale sia la nostra rotta professionale. Peccato che ce ne siano sempre meno. Una razza in via d'estinzione di cui sentiremo la mancanza in questa professione in cui certe parole e certi concetti non si dicono più.

giovedì 16 giugno 2011

Politica: l'insulto e il rispetto

Il ministro Brunetta insulta i precari come Giorgio Clelio Stracquadanio nell'agosto scorso insultò in diretta tv gli operai che avevano occupato l'Isola dell'Asinara spiegando che aziende come quelle degli operai in lotta era giusto che chiudessero se quelle erano le maestranze. Frasi aberranti come quelle pronunciate l'altro giorno dal ministro della funzione pubblica verso una categoria che sopperisce alle carenze di un sistema che senza i precari sarebbe al collasso marcano una distanza sempre più abissale tra mondo reale e politica. Brunetta in proposito ha anche spiegato che all'ortomercato cercano sempre persone disposte a scaricare le cassette di frutta e verdura. E sul punto consiglierei al ministro di vedere il servizio mandato in onda ieri da Crash il programma-inchiesta di Rai Tre che si è occupato di lavoro clandestino, raccontando pure gli abusi, il lavoro nero, lo sfruttamento delle cooperative dell'ortomercato di Milano. E' questo che Brunetta vuole? E' questa Italia delle irregolarità da terzo mondo che la politica illuminata va cercando?
L'abisso in cui stiamo scivolando mi sembra sempre più fondo...

Brunetta e i precari



Stracquadanio e i cassintegrati

martedì 14 giugno 2011

Un, due, tre... quorum. Democrazia è partecipazione

Era dal '95 che in Italia non si arrivava al quorum in un referendum. Era da quasi dieci anni che anche su temi importanti prevaleva il partito del non voto, dell'astensione come metodo politico, come sotterfugio per lucrare a proprio favore chi, l'astensionista cronico, ai seggi non va a prescindere.
L'arma del quorum come strumento di lotta referendaria l'hanno utilizzata in molti, dai governi alla Chiesa (l'invito all'astensione sui referendum della fecondazione assistita, ad esempio), dalle lobby (accadde con la Caccia) ai movimenti di opinione, facendo scempio, a mio avviso, di un principio che va coltivato sempre, quello della "democrazia come partecipazione". Il cinque per cento di coloro che hanno votato no al referendum sul nucleare rappresentano una nobile minoranza di chi, pur pensandola diversamente, non ha abdicato al proprio ruolo di cittadino, non ha firmato alcuna delega in bianco alla politica.
Giocare sull'astensionismo, significa nobilitare un comportamento che su altri fronti, ad esempio nelle consultazioni politiche nazionali e nelle amministrative, rappresenta rischiosi campanelli dall'allarme sulla distanza tra il cittadino e la classe dirigente, fra il "popolo" e la politica. Aver invertito la rotta, dunque, al di là di ogni interpretazione contingente (pro o contro il governo Berlusconi) rappresenta un'importante salto di qualità della società civile, una rinata voglia di scelte dal basso. "E' il primo passo verso la legalità nel nostro Paese - osserva  Emma Bonino - e nelle nostre istituzioni: si riconquista uno strumento che tutti i partiti, negli ultimi 30 anni, hanno provato a distruggere". E lo hanno fatto usando un'espressione di antipolitica qual è l'astensionismo come strumento di lotta politica, un gioco pericoloso che piano piano finisce per logorare la democrazia. Ben venga, quindi, questa rinata voglia di partecipazione con l'avvertenza che c'è ancora molto da lavorare, il tarlo dell'astensionismo è tutt'altro che debellato. Vive è vegeta ancora in ampie zone d'Italia, al Nord come al Sud.



sabato 11 giugno 2011

Ultimo giorno di scuola, sognando un mondo meraviglioso

Ieri è stato l'ultimo giorno di scuola. Mio figlio Luca, 11 anni ad agosto, è tornato a casa stringendo fra le mani il saluto del dirigente scolastico, Carlo Valotti, per i ragazzi che, ultimata la quinta elementare, a settembre inizieranno una nuova esperienza alle scuole medie.
L'invito del dirigente scolastico è quello di far tesoro di ciò che si è imparato per volare alto, per avere il coraggio di continuare a dare il meglio, con passione. Ho provato ad immaginare il mondo che attenderà questi ragazzi, alle sfide pesanti da raccogliere, alle ingratitudini che, nonostante l'impegno, dovranno metabolizzare, alla consapevolezza che forse vale la pena vivere da protagonisti del proprio destino piuttosto che subire quello che altri hanno costruito per te.
La lettera del direttore didattico si chiude con la traduzione del testo di "What a wonderful world", "Che mondo meraviglioso". Un bel viatico per il cittadino, l'uomo e la donna che verranno. Felici avventure...


Vedo alberi verdi, anche rose rosse
Le vedo sbocciare per me e per te
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

Vedo cieli blu e nuvole bianche
Il benedetto giorno luminoso, la sacra notte scura
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

I colori dell'arcobaleno, così belli nel cielo
Sono anche nelle facce della gente che passa
Vedo amici stringersi la mano, chiedendo "come va?"
Stanno davvero dicendo "Ti amo"

Sento bambini che piangono, li vedo crescere
Impareranno molto più di quanto io saprò mai
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso
Sì, fra me e me penso, che mondo meraviglioso
Oh sì

venerdì 10 giugno 2011

La pazza idea di Pisapia: metti una direttrice di carceri alla sicurezza

Questo pomeriggio sarà lo stesso Giuliano Pisapia, neosindaco di Milano, a dire se siano fondate le indiscrezioni di alcuni giornali che indicano in Lucia Castellano, direttrice del carcere di Bollate, come prossimo assessore alla Sicurezza di Milano (altri, minoritari, invece la vorrebbero con deleghe alla casa e demanio). Se così fosse un direttore di Carceri come Lucia Castellano sarebbe sicuramente una (insieme probabilmente al ridimensionamento pesante degli appetiti dei partiti sull'esecutivo) delle più importanti novità della giunta di Giuliano Pisapia.
Perchè? Perchè sui temi della sicurezza la giunta Pisapia avrebbe un approccio completamente diverso rispetto al passato e rispetto a tante giunte di destra o di sinistra.
Mi spiego: in molti comini hanno scelto l'assessore alla sicurezza come si sceglie un super poliziotto (in proposito si è fatto un largo uso di questori in pensione, generali dei carabinieri a riposo e uomini politici con il pallino dell'ordine e della disciplina e l'ambizione della visibilità ad ogni costo). In quest'ottica le proposte sulla sicurezza di una municipalità si sono tradotte in veri e propri provvedimenti di polizia di taglio repressivo: ordinanze coprifuoco, regolamenti di sicurezza urbana molto rigidi anche contro comportamenti che non sono potenzialmente criminogeni (dal gioco nei parchi, agli assembramenti in genere). Altrettanto frequentemente gli assessori hanno messo la divisa e partecipato attivamente all'attività dei vigili urbani sempre più diretta e indirizzata verso un ruolo di polizia. Tutti comportamenti in tema di sicurezza che talvolta sono anche stati censurati da organi giurisdizionali perchè travalicavano le competenze attribuite ad una amministrazione comunale su questi temi.
Ora, alla luce delle esperienze passate, un approccio esclusivamente poliziesco ai temi della sicurezza di una città è effettivamente efficace? I numeri sul punto dicono cose contrastanti e di lettura ambivalente, i fatti ci spiegano come, ad esempio, il pugno di ferro usato a Milano contro i nomadi non abbia risparmiato la  città dalla tragedia che ha visto morire un operaio di 28 anni travolto da un'auto, in fuga dopo una spaccata in tabaccheria, con a bordo alcuni nomadi minorenni.

Lucia Castellano
Non è arrivato il momento di tentare un approccio diverso?  Detto che le regole vanno rispettate, detto che la repressione e il compito di contrasto della criminalità piccola e grande è assolto con competenza, esperienza e collaudata capacità dagli organi di polizia tradizionali, non vale la pena investire sulla costruzione di un nuovo patto di legalità che si dipani tra educazione e rimozione delle criticità?
Chi conosce l'esperienza di Lucia Castellano a Bollate, i suoi libri, le sue idee improntate sull'umanità e la responsabilità, sa che potrebbe essere un buon assessore alla sicurezza. Bollate, inteso come carcere, è una città complessa, un domicilio coatto per delinquenti veri, ma non è un ghetto, l'inferno dal quale non si risorgerà mai. Bollate, lo dicono i dati, è, per tanti detenuti, un laboratorio per costruirsi una nuova vita, fatta anche di una presa di coscienza dei propri sbagli e di un rinnovato senso di legalità. Il tutto si concretizza in una esperienza che riduce le recidive al minimo, tanto che non vale per Bollata ciò che altrove è una triste realtà: il carcere è un luogo criminogeno, un posto dal quale si esce più delinquenti di come si è entrati.
E' una sfida complessa quella che Lucia Castellano ha intrapreso con successo a Bollate («Non è facile convincere a lavorare per 700 euro al mese chi, in un solo giorno di spaccio, ne guadagnava 1000. Ma la vera sfida è nostra: la cultura del carcere è ancora troppo autoreferenziale», ha detto la direttrice in un'intervista a La Stampa). Una sfida e un modello che potrebbe avere successo anche sperimentati in una città senza muri e sbarre come Milano. Parlare di sicurezza non esclusivamente in termini repressivi, ma in termini educativi e propositivi può essere la nuova sfida di una città che non mette il filo spinato attorno ai ghetti, ma li rende artefici del proprio destino, offre loro gli strumenti giusti affinchè sappiano costruirsi un futuro migliore, sappiano autoimmunizzarsi dai rischi criminali che da sempre si coltivano in seno.
Del resto, perchè non iniziare a fare dalla città, quello che esperienze illuminate come Bollate fanno solo alla fine di un percorso a tappe caratterizzato dall'espulsione dal tessuto sociale, da reati, processi e condanne? Potrebbe essere l'uovo di Colombo, anche se in termini di propaganda paga di più la paura e la repressione; potrebbe essere il segno più concreto di quel nuovo che avanza che ha il volto di Giuliano Pisapia. Le prossime ore e i prossimi giorni diranno se questa "pazza idea" avrà un futuro. Altrimenti, ne siamo consapevoli, sarà l'ennesima occasione persa.

Aggiornamento: Nel pomeriggio dell'11 giugno Giuliano Pisapia ha scelto la sua giunta (leggi qui le deleghe) a Lucia Castellano non è andata la sicurezza, ma le deleghe alla casa, al demanio e ai lavori pubblici. Fra le prime dichiarazioni di intenti, l'ormai ex direttrice del carcere di Bollate ha spiegato che le case popolari non devono essere necessariamente dei ghetti, che le periferie non devono trasformarsi in carceri per chi le abita. Una tesi da sottoscrivere.
L'assessorato alla sicurezza è andato a Marco Granelli, un giovane che ha lavorato molto nei quartieri, con il volontariato. Cambia il nome dell'assessore, ma non il principio ispiratore che vuole un concetto di sicurezza che parta, innanzitutto da una cittadinanza attiva che rimuova i disagi, da una comunità che grazie alla coesione affronti e risolva le criticità. La sicurezza è un processo da costruire insieme, con meno divise, forse, ma più educazione e maggiore consapevolezza dei doveri da parte di tutti.

Lucia Castellano parla di sicurezza e buongoverno



Clicca qui per accedere alla seconda parte dell'intervento.

giovedì 9 giugno 2011

Calcio, scommesse e il pericolo mafie

Nell'estate dello scandalo del calcio - scommesse, Libera, associazione fondata da don Luigi Ciotti contro le mafie e per diffondere la cultura della legalità, torna a lanciare un interessante spunto di riflessione sul mondo del pallone e sul rischio di infiltrazioni mafiose.
Lo fa con un dossier aggiornato che raccoglie e fa opera di sintesi di una serie di spunti investigativi che negli anni hanno caratterizzato le inchieste condotte dalla magistratura italiana, indagini sulla criminalità organizzata nelle quali ha fatto capolino, ora il controllo delle scommesse, ora le mire su una società di calcio, ora la spinta su questo o quel giocatore, giovane, talentuoso e da promozionare, ora la gestione della rete del doping. Un fenomeno che attraversa il calcio ad ogni latitudine e in ogni categoria, un fenomeno che ha un unico scopo, fare denaro, riciclare soldi sporchi, utilizzare metodi mafiosi per "raccomandare" nuovi talenti e addomesticare partite.
Il tutto su un sistema assetato di soldi e fragile al punto da essere particolarmente permeabile all'ingresso di capitali di dubbia provenienza (sul punto non c'è bisogno di scomodare la criminalità organizzata, bastano gli avventurieri nostrani, capaci di penare in grande, ma, in un'ultima istanza, dispensatori di dissesti). Un binomio che fa del calcio un mondo sul quale dovrebbero concentrarsi con maggiore incisività le attenzioni degli organi di controllo.
"Oggi i clan - osservano a Libera - guardano al mondo del calcio, controllano il calcio scommesse, condizionano le partite, usano il calcio per cimentare legami della politica, riciclano soldi. Le inchieste della magistratura, le intercettazioni telefoniche, la cronaca quotidiana dimostrano come anche nel football è presente un alfabeto dell'illegalità tutto italiano, con pertinenze anche straniere: 'ndrangheta, camorra, cosa nostra, sacra corona unita e mafia tutte attive ed operative nel corrompere quella che sembrava apparentemente un'isola felice e che viene interpretata come un enorme affare. E oggi piu' che mai gestiscono il calcio scommesse, condizionano le partite, usano lo sport per cementare legami della politica, riciclano soldi. E' necessario rompere i silenzi, avere il coraggio della denuncia seria e documentata ricordando le tante piccole squadre e realtà locali che non hanno perso la trasparenza e la lealtà nel loro agire quotidiano. Le mafie usano il calcio giovanile per arruolare nuova manovalanza. Possedere una squadra di calcio rappresenta in tante realtà un fiore all'occhiello, una testimonianza di prestigio e soprattutto strumento di controllo del territorio".
In questa ennesima estate tribolata del calcio italiano, quindi, la lettura del dossier di Libera rappresenta uno spunto di riflessione che non va lasciato cadere nel vuoto, una base di partenza per dare al mondo del calcio quella trasparenza gestionale e quella permeabilità alla criminalità organizzata che altri settori della nostra economia hanno saputo costruire negli anni.

La mafia nel pallone

Comunicazione di servizio: il blog è ottimizzato per cellulari

Breve comunicazione di servizio. Da oggi questo blog (grazie alla nuova applicazione messa a disposizione dalla piattaforma blogger) è ottimizzato per i cellulari e quindi meglio leggibile anche sugli smartphone di ultima generazione. Se vi interessa....

martedì 7 giugno 2011

Santoro, la Rai e la voglia di suicidio


Santoro se ne va dalla Rai con un viatico da 2,3 milioni di euro che fa gridare allo scandalo. Ma lo scandalo, in anni in cui certi emolumenti (dal calcio alla finanza, dal mondo dello spettacolo ai pochi grandi nomi del giornalismo) sono fuori dalla realtà di un'economia di guerra, non è la liquidazione di Santoro, ma averla pagata per liberarsi di una persona che fa guadagnare altrettanto in termini di introiti pubblicitari ad un'azienda che, almeno su una rete, rischia il tracollo di ascolti.
Dove sta la convenienza? Dove sta la buona amministrazione che si chiede ad una realtà che si finanzia anche con il canone che ho sempre regolarmente pagato? Da finanziatore della Rai che sa far di conto resto basito da questa voglia di suicidio con buona pace dei soldi pubblici. E qui non c'entra essere di destra o essere di sinistra è un becero, semplice, discorso di audience e di conti, giudicando Santoro alla stregua di "X factor" o dell'Isola dei famosi, macchine che producono ascolti e, di conseguenza, buone entrate pubblicitarie. Qualità che altri hanno mostrato di non avere e non è colpa di nessuno, se non degli stessi interessati, se altre sperimentazioni di opposta tendenza politica sono naufragate appena preso il mare aperto per carenza di ascolti.
Personalmente se mi interesseranno Annozero e i programmi di Santoro continuerò a seguirli su qualche altra rete che ha compreso le potenzialità del personaggio. Mi resta il rammarico per un'azienda che finanzio ogni anno da buon cittadino e che vedo, ogni giorno di più, votata al suicidio per compiacere i potenti.



lunedì 6 giugno 2011

Tettamanzi-Pisapia: la strana coppia

L'allarme è stato lanciato, per Milano si aggira una strana coppia: il cardinale e l'avvocato, il comunista e il porporato. Qui, secondo alcuni, il rosso si fonde, la tonalità diventa unica; l'asse palazzo Marino-Arcivescovado, Piazza della Scala-Piazza Fontana quasi un'inquietante segno del destino che, tracciato su una cartina, turba quasi fosse una delle scene più drammatiche e cruente di "Angeli e Demoni" di Dan Brown. Esoterismo e poteri occulti in questa Milano che fonde l'abito talare e la fascia tricolore? Mah...
Di sicuro c'è chi legge una certa comunanza tra le parole del cardinal Tettamanzi e il neosindaco Pisapia, come se il primo fosse l'ispiratore del secondo, o, peggio, il cardinale succube del sindaco. A lanciare l'allarme, con un duro attacco all'arcivescovo, il Giornale per mano di Mario Giordano. Il titolo del suo commento pubblicato nei giorni scorsi è esplicito "E Tettamanzi benedice il compagno Pisapia" e racconta che allo Stadio di San Siro in occasione dell'incontro con i cresimandi dell'Arcidiocesi il cardinale, giunto ormai a fine mandato, non abbia avuto remore per lanciarsi in un comizio davanti a 50 mila ragazzini. Il cardinale di Renate si è bevuto il cervello? Basta una ricerca in internet, però, per capire che non si è trattato di un comizio, ma di parole pronunciate a margine della festa su sollecitazione dei giornalisti che avevano chiesto un giudizio sulla folla scesa in piazza dopo la vittoria di Pisapia. Il cardinale aveva detto che le piazze piene dovrebbero essere la normalità in una città che vuole parlare e partecipare e la nuova amministrazione civica deve sapere ascoltare la città. Concetti peraltro ribaditi domenica sul Corriere della sera in un colloquio con Giangiacomo Schiavi in cui Tettamanzi è tornato a ricordare che Milano deve riconquistare la propria umanità, deve saper parlare senza  angosce di moschea e nomadi. "C'è bisogno di testimonianze - ha spiegato - fatte di onestà, schiettezza, pulizia morale".
Non è basta la difesa di Avvenire  per far cessare le polemiche, tanto che oggi è Madgi Cristiano Allam a dettare la linea rivendicando il diritto dovere di criticare l'asse Tettamanzi-Pisapia che, sono parole testuali, è "dannosa al punto da farci precipitare nel suicidio della nostra civiltà", tanto da annientare le nostre radici, il messaggio evangelico sacrificandolo all'ideologia massonica. Mi sembra che in queste parole ci sia un' inquietante propensione al delirio e una strumentalizzazione che non fa onore a chi la scrive. A meno, è lecito pensare, che non persegua una finalità precisa: lanciare segnali forti a chi in questi giorni sta scegliendo il successore al soglio di Ambrogio, affinchè, dopo Tettamanzi e Carlo Maria Martini, arrivi un esponente che rompa l'idillio fra la chiesa ambrosiana e Pisapia (che evoca il cattocomunismo) e che ridia all'anima cattolica del Centro destra (con un prelato vicino a Cl?) una sponda su cui contare, un po' di quel cristiano conforto che non si nega alle vedove.
La nostra speranza è che Dio illumini quella scelta e nell'attesa sapete cosa ha detto veramente il cardinale ai cresimandi? Cliccando qui trovate il testo integrale del suo intervento ispirato alla parabola del Buon Samaritano. Del discorso a me piace ricordare un passaggio importante, che dovrebbe dettare la linea educativa anche a noi genitori: "Cancelliamo dunque la superficialità, la pigrizia, il disimpegno, la paura del sacrificio, l’egoismo, la prepotenza sugli altri - ha spiegato il cardinale ai ragazzi -. Diamo spazio invece al senso del dovere – ogni giorno! –, alla generosità verso chi ha bisogno, al dono di noi stessi. Non prestiamo fede a chi ci promette una vita comoda e facile per essere felici! No! L’unico modo per essere veramente felici è di seguire Gesù imparando ad amare come lui ci ha amati!".
Un'esortazione ottima per i cattolici, ma buona anche per i laici. Se poi ispirerà la linea di governo di una città come Milano, che ama definirsi capitale morale della Penisola, quale cattolico non ne gioirebbe?

venerdì 3 giugno 2011

Costituzione: contributi per riflettere


Oggi è una giornata strana, la festa della Repubblica finita a ridosso di un fine settimana significa solo una cosa: ponte. Per chi si gode un po' di relax ecco alcuni contributi di riflessione sulla costituzione italiana... Giusto perchè la festa non trascorra invano.









giovedì 2 giugno 2011

Due giugno: basta la parola...

"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.



Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.


È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
(articoli 1, 2 e 3 della Costitutuzione italiana)
Due giugno 2011: basta la parola, quella della nostra Costituzione. Buona festa della Repubblica a tutti....