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domenica 27 febbraio 2011

Yara. Le nostre angosce e quella piccola stella senza più cielo

Yara è morta e in noi, padri e madri, è come se fosse morta quella speranza che aveva continuato ad animare, un po' doping, un po' narcotico, il pensiero che forse poteva non finire così. Hanno trovato Yara affogata nel fango e sono tornati a vivere i mostri che popolano gli angoli bui dei nostri sogni di genitori inquieti e apprensivi. Sono usciti dall'inconscio e hanno incominciato a vagare nei perimetri a noi più famigliari, in quelle strade che tutti vorremmo sicure.
Quel corpo oltraggiato dal tempo ci inquieta, ci disegna scenari di angoscia, ci traccia strade buie lungo le quali non vorremmo mai camminare e, soprattutto, non vorremmo mai far camminare i nostri figli. Qualcuno ha infangato le ali di una farfalla e ha spento una piccola stella, perchè a quell'età non si può essere altro che stelle e farfalle. Capire il perchè e il come è forse meno angosciante di constatare che con Yara, a Brembate come in altre simili scene del crimine, si è smarrita l'umanità e il rispetto, si è fatta pascolare la follia, là dove camminiamo ogni giorno, là dove siamo nati, dove coltiviamo un presenze fatto di certezze e regole condivise e dove vorremmo costruire un futuro carico di aspettative e speranze per chi ci sta accanto. Aspettative e speranze, che la famiglia di Yara ha lasciato ieri all'imbrunire in riva al Brembo. Là dove, cara Yara, qualcuno ti ha voluto piccola stella senza più cielo. Là dove qualcuno ha liberato, in noi padri e madri di questa Italia attonita e affranta, l'angoscia. Là dove qualcuno ha oscurato l'orizzonte. Un cielo che ora ci spaventa, così come la brutalità degli uomini lo ha ridotto. Senza più stelle e senza più farfalle. 

sabato 26 febbraio 2011

Yara è morta: segui le ultime notizie


Il nastro giallo che da mesi accompagnava questo blog per attendere il ritorno di Yara Gambirasio si è improvvisamente tinto di nero oggi pomeriggio. Ecco il drammatico dispaccio di agenzia.

++ YARA: CADAVERE ABBANDONATO IN CAMPO 10 KM DA
BREMBATE ++ (V. YARA: TROVATO IL CADAVERE DELLE 17.24)
(ANSA) - ROMA, 26 FEB - Il cadavere di Yara è stato trovato in una campo
a Ponte San Pietro, ad una decina di chilometri da Brembate.
Il corpo della ragazza, secondo quanto si apprende, era abbandonato in un
campo incolto, tra l’erba alta.

Segui qui le notizie in diretta:

giovedì 24 febbraio 2011

Una donna premier per salvarci dal naufragio

(Picasso: Due donne che corrono sulla spiaggia)
Famiglia Cristiana ha le idee chiare."Impazziti. Così sembreremmo a chi arrivasse d’improvviso tra noi. E così sembriamo alle democrazie occidentali nostre amiche. Usciti dal fascismo, capaci di una formidabile ricostruzione morale e materiale, vincitori sul terrorismo, progrediti con istituzioni fondate su una bella Costituzione, abbiamo preso a demolire la nostra casa: la patria, nell’anniversario dei suoi 150 anni" scriveva ieri sul sito web del settimanale cattolico il magistrato Adriano Sansa. La nostra democrazia si sta sciogliendo osserva ancora il settimanale paolino e conclude: "Stiamo per ottenere un singolarissimo risultato, un primato nella storia: una democrazia che si scioglie, si auto-affonda; una cittadinanza che rinuncia a istituzioni conquistate con fatica e drammatici passaggi perde l’orgoglio di sé e si consegna a un capo. Che la tratterà come ora tratta le donne".
Ma davanti a simili scenari Famiglia Cristiana ha lanciato nei giorni scorsi una proposta: "Una donna a Palazzo Chigi". Secondo Francesco Anfossi che il 17 febbraio ha firmato una nota on line, il paese è ormai pronto per una candidatura femminile. "Non è una battuta - osserva -, è un auspicio, che tra l’altro si fa strada non soltanto nell’opposizione, ma anche negli ambienti della maggioranza (senza troppo alzare la voce per non irritare il sultano). L’avanzata delle donne in politica è un dato ormai assodato a livello europeo. (...) E’ innegabile che la presenza di una rappresentante del gentil sesso servirebbe a uscire dallo spaesamento e a recuperare, non solo sul piano dell’immagine internazionale, il decoro perso nei mesi precedenti e lo squallido spettacolo di mercificazione femminile che è stato fatto a tutti i livelli. “Quando gli uomini creano disordine, arrivano le donne a rimettere a posto le cose”, ha scritto Barbara Palombelli sul “foglio” di Giuliano Ferrara. Aggiungendo che dopo le manifestazioni di piazza del 13 febbraio “un partito al femminile sarebbe l’unico approdo possibile e logico”.
Sono le donne, con la loro concretezza, il loro pragmatismo, la loro pulizia morale, il loro senso della maternità, la loro onestà di fondo, a dimostrarsi migliori degli uomini. Sarebbe una sorta di riscatto per quest’Italia nell’angolo grottesco di un “machismo” imbelle, che ci rende zimbelli agli occhi dell’Europa e del mondo. Una donna a Palazzo Chigi. Parafrasando uno degli slogan delle manifestazioni di domenica: se non ora, quando?".
Famiglia Cristiana ha pure messo a punto un sondaggio con 14 candidate, da Rosy Bindi (lanciata recentemente anche da Vendola) a Letizia Moratti, da Daniela Santanchè a Susanna Camusso, da Emma Marchegaglia a Giulia Buongiorno, da Maristella Gelmini a Laura Boldrini. Una classifica che vede in testa nelle preferenze Rosy Bindi (secondo una tradizione cattolica che molto si identifica con i lettori del settimanale), ma anche Emma Bonino, Emma Marcegaglia e Giulia Buongiorno si difendono bene.
Insomma: le donne ci salveranno dalla deriva? Ci riscatteranno dal degrado? Se è vero cio che diceva De Gasperi, ovvero che "le donne sono più aperte alle ragioni ideali che agli opportunismi", forse un futuro in rosa, per il Paese, potrà essere un futuro migliore di questo presente.





martedì 22 febbraio 2011

La politica degli interessi e quella dei bisogni

Viviamo in un clima politico che ricorda il caos prima di un naufragio, il delirio di onnipotenza di chi governa la nave pronto a sacrificare equipaggio e suppellettili pur di non affondare, la danza macabra di chi è pronto a demolire ciò che tanti hanno costruito.
E' in questo clima di decadenza che Giovanni Cerruti per la Stampa ha intervistato Mino Martinazzoli, un uomo della Prima Repubblica che a 79 anni, nonostante qualche acciacco, ha saputo mantenere la lucidità del saggio, la franchezza di chi racconta una politica diversa, mandata in soffitta nel nome di una modernità della quale dobbiamo attendere ancora buoni frutti.
"Da questo momento (da quando Berlusconi entrò in politica, ndr) - racconta Martinazzoli - la politica non si occuperà più dei bisogni, ma degli interessi: e quando ci sono di mezzo gli interessi vince sempre il più forte". Quella di Martinazzoli, come sempre, è un'analisi spietata e, purtroppo, vera: "Vedo un  declino, non la via d'uscita. Noi, quelli che vengono definiti Prima Repubblica, tra il '92 e il '94 eravamo il bersaglio: i partiti erano vissuti come una cappa, la polemica era contro la partitocrazia, ma si avvertiva che c'era energia per qualcosa di nuovo. Ora c'è un bradisismo continuo. Il paradosso è che oggi, basta pensare alla legge elettorale, abbiamo una partitocrazia ferrea, ma senza partiti. Viviamo in una società liquida e la politica è gassosa: uno fonda un partito e il giorno dopo già si squaglia. Nei nostri c'era dialettica, c'era lo scontro di posizioni. Oggi uno prende e se ne va. Nella Dc sono stato quasi sempre all'opposizione, ma non mi sono mai sognato di andarmene".
La politica così diventa buona per i comici e gli scrittori. "I partiti non rappresentano più, si rappresentano: vanno in tv, dove magari un comico come Crozza fa il tiro al piccione con i rappresentanti del Pd e quelli ridono. Come i borghesi alle commedie di Pirandello: solo che loro andavano a teatro, non facevano politica. La politica in tv ormai la fanno meglio i comici. Ho visto Roberto Benigni a Sanremo e mi sono emozionato. E' stato un bellissimo discorso politico fatto da un comico anche questo è un segno della decadenza. Noi siamo cresciuti avendo riferimenti in intellettuali che erano maestri di autorevolezza. Certe volte, oggi, hai l'impressione che la politica non sia in grado di apprendere qualcosa che la riguardi. E' vero che un Togliatti con gli intellettuali era anche sprezzante, non si faceva certo dettare la linea da un Vittorini. Però è anche vero che non andava alla ricerca di un "Papa straniero", non c'era una Saviano... Insomma, ognuno faceva il suo mestiere".
E la via d'uscita? "Il rischio maggiore adesso è dare l'impressione di delegare la propria politica ad altri: ai giudici, al comico, a Saviano... Così si può cadere in una sorta di abdicazione che determina l'autocensura su certi temi. E' deprimente pensare che siamo condannati a questo, ma è una decadenza che deve finire. Noi non siamo fatti così".

lunedì 21 febbraio 2011

Le case del Pat e il Pd-Tafazzi

Pat  sta per Pio Albergo Trivulzio, una Residenza sanitaria assistita che a Milano, dove è nota con il nome di Baggina, è una istituzione. In questi giorni i vertici del Pat sono al centro della bufera per la gestione del proprio patrimonio immobiliare, case e palazzi donati nei secoli da decine di benefattori che, secondo le contestazioni sulle quali indagano Corte dei conti e Procura sarebbero stati dati in affitto (in alcuni casi anche  alienati) a prezzi di assoluto favore agli amici degli amici (vip, giornalisti, politici). Insomma, un'affittopoli in piena regola che alla vigilia delle elezioni amministrative di Milano ha il vigore della bufera. E così piove anche sul candidato sindaco del Centrosinistra Giuliano Pisapia, avvocato, ex parlamentare di Rifondazione, l'uomo che ha battuto alle primarie Stefano Boeri, architetto, candidato ufficiale dei vertici milanesi del Pd. La compagna di Giuliano Pisapia, Cinzia Sasso, giornalista di Repubblica, è inquilina del Pat. Lo ha detto lei stessa autodenunciandosi in una lettera a Repubblica e spiegando che quella casa era stata affittata ad equo canone nel 1988 da lei, appena arrivata a Milano da Venezia, e dall'ex marito (pure giornalista). Una casa sulle cui tracce erano stati messi dall'allora sindaco Pillitteri, che aveva consigliato loro di fare domanda ad alcuni enti. Dopo la separazione, la giornalista era subentrata nel contratto d'affitto e nel 2008 la locazione non è stata più rinnovata perchè Cinzia Sasso era intenzionata a cambiar casa.
Cinzia Sasso e Giuliano Pisapia
Una scelta - ha spiegato oggi ai giornali Giuliano Pisapia, che in quella casa non ha mai abitato - dettata sia dalla volontà di andare a vivere insieme, sia da una questione di opportunità "perchè - ha aggiunto - se voglio amministrare la città non posso avere la compagna che vive, per quanto in modo legittimo, nella casa di un ente controllato". La casa della coppia, che doveva essere pronta a novembre ha subito dei rallentamenti e non è ancora stata consegnata, ma ora che la battaglia elettorale si è fatta dura, Cinzia Sasso lascerà l'appartamento per un'altra casa entro due settimane.
Ovviamente sul caso-Pisapia si è scatenato il putiferio, quella macchina del fango che lo stesso candidato si è sentito in dovere di denunciare nel suo blog. Ma se appare normale che le opposizioni chiedano al candidato di fare un passo indietro (spostando peraltro il tema del dibattito dalla necessità di una oculata gestione del patrimonio di un ente alla criminalizzazione degli inquilini, finiti nella bufera spesso senza alcuna ragione), meno normale appare che ad alcuni esponenti del centro sinistra utilizzino il caso per vendicarsi della non splendida figura fatta alle primarie. Insomma sul caso Pat nel Pd sembra forte la tentazione di regolare alcuni conti in sospeso con il candidato Pisapia. "Non voglio pensare - osserva oggi sul Corriere Salvatore Veca - che qualcuno utilizzi Affittopoli per ragioni di rivincita su un candidato serio come Giuliano Pisapia del tipo "ecco, meritava di vincere l'altro" e cioè Boeri. Sarebbe una follia. Soprattutto alle porte di una campagna elettorale durissima". Veca parla senza mezzi termini della vocazione Tafazzi del Pd in queste situazioni e i tanti silenzi dello schieramento in questi giorni fanno pensare ad un centro sinistra quasi compiaciuto dell'inciampo del candidato sindaco, quasi scordandosi che è colui che dovrebbe condurre la sinistra alla difficile impresa di conquistare Milano. Davanti a questo triste spettacolo di autolesionismo (segno distintivo di una sinistra allo sbando a Milano come a Roma) il Pd potrebbe ingaggiare come motivatore Gianni Morandi, il cui suo "stiamo uniti", pronunciato mille volte sul palco di Sanremo, rischia di essere il vero tormentone dell'edizione 2011 del festival.

Ps: mi corre l'obbligo, a scanso di equivoci, di fare alcune precisazioni. Mi sono imbattuto in Giuliano Pisapia per ragioni professionali. Ho avuto modo di conoscerlo come avvocato e come parlamentare (è stato presidente della Commissione giustizia) e ho sempre apprezzato la lucidità delle sue proposte in tema di giustizia e di riforme (quasi una rarità di questi tempi) e l'attenzione riservata a temi scottanti come carceri e tossicodipendenze. Per questo motivo Pisapia ha la mia stima anche come candidato sindaco di Milano. Ho lavorato spesso a fianco di Cinzia Sasso (di cui, nella colonna qui a destra ospito da tempo il blog dedicato alle donne che cura su Repubblica.it) e la ritengo una professionista seria dalla quale si ha sempre qualcosa da imparare. Insomma, visto che il Pd latita, mi sento di esprimere ad entrambi la mia solidarietà per questa vicenda.

venerdì 18 febbraio 2011

Benigni e l'Italia che vorrei

Mi sono commosso questa sera sentendo Benigni a Sanremo raccontare l'Inno di Mameli dipingendo l'orgoglio di essere italiani nonostante tutto. Raccontando di quei giovani che hanno rottamato l'Italia degli oppressori lasciandoci la pelle, di quelle donne che hanno fatto l'Italia senza i calendari. Benigni ci ha restituito un po' d'orgoglio, un po' di senso d'appartenenza, un po' di radici, quelle vere, che vanno da Legnano a Palermo, un po' d'allegria di essere italiani nonostante i musi lunghi e preoccupati dei potenti assisi in platea. Bravo, Roberto, e' stata una festa meglio del 17 marzo, un pezzo di bravura che ci riconcilia con la vita e con questa Italia tricolore un po' sbiadita, che forse non ha perso la speranza e la voglia di lottare. Per una rivoluzione di testa e di cuore.






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giovedì 17 febbraio 2011

Piazza Loggia: si poteva fare di più? Forse sì

Una premessa: le sentenze si rispettano, a maggior ragione quelle nei confronti di persone accusate di reati gravi come quelli di Strage e nessuno, credo, in una vicenda complessa come la Strage di Piazza della Loggia, pretendeva condanne a tutti i costi.
Detto questo, scorrendo sommariamente  le  435 pagine delle motivazioni della sentenza, che il 16 novembre scorso mandò assolti i cinque imputati accusati, a vario titolo, della strage di Piazza della loggia a Brescia del 28 maggio 1974 (8 morti, oltre 100 feriti), si ha la sensazione che manchi qualcosa, che forse si poteva fare di più. Non perchè i giudici non abbiano fatto correttamente il loro lavoro, vivisezionando un'indagine complessa, facendo slalom in norme processuali e indirizzi giurisprudenziali che hanno, par di capire, affossato gli sforzi della procura di dare spessore alle collaborazioni e alle nuove prove documentali emerse dagli archivi dei servizi segreti, ma perchè rimane la  sensazione che forse si poteva fare un balzo in avanti, cercando ad esempio di salvare quegli elementi forse non utili a stabilire la responsabilità penali degli imputati, ma importanti per offrire un minimo contributo alla verità storica. Ha ragione Manlio Milani, il presidente dei famigliari delle vittime della Strage, quando si tratta di una sentenza senza contesto storico, elemento imprescindibile in un processo come questo, diventato invece un calderone testimoniale dal quale estrarre ciò che poteva essere utilizzato e ciò che non serviva, ciò che era ritenuto credibile (poco) e ciò che doveva essere considerato delirio testimoniale (ad iniziare dalle dichiarazione del "principe" dei collaboratori Carlo Digilio).
Parlando di risultati schizofrenici dell'inchiesta i giudici si dilungano a spiegare come sia atto di civilità nei confronti degli imputati stabilire una verità processuale sui singoli più che una verità nel suo insieme. Un principio che nessuno sembra mettere in discussioni, ma che esternato così nelle premesse delle motivazioni a me, impressione personalissima, suona quasi come una giustificazione che forse l'approccio all'inchiesta poteva essere diverso. Pur arrivando alle medesime conclusioni, poteva distillare alcune certezze storiche che oggi, a distanza di tanti anni, qualcuno ancora mette in dubbio e, forte di queste conclusioni, continuerà a farlo.
A novembre uscendo da quell'aula con la faccia sgomenta di Manlio Milani impressa nella mente, mi era capitato di scrivere che questa sentenza era l'ennesimo insulto ad una città ferita. Una valutazione forte (anche contestata da qualcuno, tacciandola di scarso garantismo) non tanto dettata da una assoluzione (a mio avviso tutt'altro che imprevedibile), ma dall'impressione che un passo avanti poteva essere fatto verso la verità. Oggi continuo ad essere convinto che non mi sbagliavo, così come continuo ad essere consapevole che l'insulto più grave, lo schiaffo più duro, non arrivi dalla Corte d'Assise, che, pur col motore al minimo, ha fatto il suo lavoro, ma da quanti, ad iniziare dai servitori dello Stato, hanno continuato a tacere e a trincerarsi dietro interessati "non ricordo".

DOCUMENTI: LEGGI O SCARICA LE MOTIVAZIONI
Sentenza Strage Piazza Loggia

mercoledì 16 febbraio 2011

Sanremo visto da Twitter

Ieri, quasi per caso, ho guardato Sanremo in tv seguendo i commenti su twitter. Uno spasso: è stato come seguire le partite in tv con il commento della Gialappa's o di Catersport. Ecco una breve selezione delle migliaia di tweet piovuti nella rete (che ad un certo punto ha creato qualche problema di sovraffollamento, tanto che molti tweet, informa oggi il server, non sono più disponibili).

ASCOLTI:

Marco Costa
minchia che ascolti #sanremo 9 milioni con + del 40 % ..

DUBBI:

Anandamid
Vi informo che ora dormo. Sanremo più prutto di sempre. Sia le canzoni che la conduzione. Pippo Pippo scusa se ho dubitato.
Fabio Germani
Io spero che Morandi non si rimetta in mutande come già fece in passato
Martin Rance
Questa sera né #sanremo né #ballaro , ma cena con amici di una vita e tante risate. Alla faccia della tivvù!
IdeeXscrittori
Idea per un giallo ambientato a Sanremo: chi ha ucciso la musica?
paolo_1313
Sanremo Neurovisione
DanilaPalermo
E' finita!! Ho le lacrime dalla gioia!! Sanremo Cmq la più grande porcheria della serata è stata LA REGIA! Pessima fino alla fine oh!
FabioBesostri
L'ultima volta che ho guardato Sanremo cantavano "Una rosa di sera non diventa mai nera"... e sono diventato grande lo stesso.
RozenLylac
Dopo questo giro di canzoni del 2011, dobbiamo TUTTI delle scuse ai Jalisse.

TATANGELO

Clarinette0610
Dai Tatta, tranquilla. Ti rimane sempre da dire "hovintosanremoa15anni". Fa più figo di dire "hovintosanremoa24anni".
lindaserra
Ma il Bastardo di lady Tata sarebbe Gigi d'Alessio?!
11BigDaddy11
E' arrivata una telefonata a mia nonna:"Sono Giggi signò, o voi ripescate a Annarè o i figli vostri vi dovranno ripescare nel Po"
DaniThany
Anna Tatangelo con quelle orecchie che si ritrova lo aveva già captato che sarebbe stata eliminata.
Sethh83 Patrick
Tatangelo dai che Gigi ti compra il call center e verrai riammessa in gara...#sanremo

CANALIS

11BigDaddy11
La Canalis ha salutato i comaschi, sta crescendo, una volta salutava solo i calciatori analfabeti ma turbominchia

MORANDI E LA CONDUZIONE

alberto_alja Alja
Propongo un referendum per affidare la conduzione del festival alla salma di Bongiorno, per vedere di ridurre i tempi morti.
Riawr R.
Buonanotte a tutti. Vi amo come gianni ama avere la pelle morbida.
Gigathink
Propositi per le prossime puntate del festival: più ospiti, più polemiche e più tette. MOAR

ANNA OXA
alexgiamby
Anna Oxa me l'ero persa,Dal film Avatar con furore #sanremo con un richiamo a Blade Runner
Qualunquista09
La Oxa sembra la vecchia Bertè e la tatangelo sembra la vecchia Oxa

PATTI PRAVO
lucioduccio

..azz intravista patty pravo nello zapping,una via di mezzo tra un alieno e rita levi montalcini

BELEN
cirowolf

Il capezzolo di Belen non sfugge al FULLHD!!!
bellazia73
la tetta di belen era da contratto senno' che se la so Presa affa'

MAX PEZZALI
Minguzz

Pare abbiano avvistato Max Pezzali aggirarsi nel campo Rom allestito alle porte di San Remo
robydublin
Evvai! Van der Stross qualificato. Purtroppo anche Pezzali, speriamo gli ritrovino la valigia perche' giacca/camicia sono atroci

LUCA E PAOLO
killerangel73

SANREMO? NO: SAN LUCA E PAOLO! - UN MORANDI CON I TEMPI DA ALZHEIMER, BELEN E CANALIS CHE NON SANNO FARE NULLA E LO FA
daniepi
Tutti esaltati per Luca e Paolo a Sanremo: a me il pezzo sembra ben poco incisivo e appena appena divertente. Non è Elio, ecco
valuskina
Dopo Crozza a Ballaro', Luca e Paolo espugnano Sanremo..MA CHE GODURIA INFINITA!!!!!LA LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE

martedì 15 febbraio 2011

Diossina, uova e trasparenza

Bresciaoggi, il giornale per cui lavoro, oggi ci racconta attraverso un dettagliato servizio di Pietro Gorlani, di una indagine dell'Asl che ha evidenziato la presenza di diossina nelle uova deposte dalle galline allevate in cascine nei pressi di alcuni impianti industriali. L'indagine sanitaria è stata commissionata a livello regionale proprio per valutare la portata dei fattori di rischio per la salute in presenza di impianti impattanti come le fonderie che costellano la provincia di Brescia. I primi dati della ricerca sono inquietanti: nelle uova sono stati trovati livelli di diossina abbondantemente superiori ai limiti di legge, tanto da spingere le autorità veterinarie a dire stop al consumo di uova, a chiedere l'abbattimento delle galline e a impostare nuovi accertamenti a partire dalle analisi del sangue sugli abitanti di quelle cascine.
Nella provincia che ospita un sito di bonifica nazionale alla periferia della città capoluogo come il sito della Caffaro, non stupisce sapere che non ci sono solo le cascine alla periferia di Brescia ad essere state messe in ginocchio dalle contaminazioni di Pcb, ma anche molti siti rurali che convivono da anni con la presenza di attività industriali impattanti dal punto di vista ambientale. Per ora la ricerca interessa cinque siti, ma è lecito chiedersi quanto situazioni del genere siano replicabili in altrettanti paesi di una delle province più industrializzate d'Italia. Quel che stupisce non è tanto la situazione ambientale sulla quale l'indagine ha finito per dare delle conferme a quanti da tempo denunciano - spesso inascoltati - scenari apocalittici, ma - ancora una volta - la scarsa trasparenza con cui il tema è stato trattato. Un argomento, per chi come me si occupa di comunicazione, centrale in qualsiasi rapporto tra istituzioni e cittadini.
Mi spiego: i prelievi sono stati effettuati a ottobre, le misure interdittive nei confronti degli agricoltori sono arrivate a gennaio, ma a metà febbraio (circostanza verificata ieri) nessuno aveva ancora avvertito i sindaci (autorità sanitarie di un Comune) delle zone interessate alla contaminazione da diossina: il rapporto continua ad essere riservato e qualcuno si prenderà anche la briga di bacchettare i giornalisti spiegando che con la pubblicazione di quei dati riservati si fa solo allarmismo. Una lezioncina che in anni di professione abbiamo sentito tante volte, sin da quando, ad esempio, si parlò sui giornali, nel silenzio e nella latitanza istituzionale, delle contaminazioni Ogm nei campi di mais della Bassa, del latte alla diossina in alcune aziende agricole dell'hinterland cittadino, della contaminazione da Pcb attorno all'industria chimica Caffaro, caso che si guadagnò addirittura la prima pagina di Repubblica. Resto convinto che la trasparenza su notizie come queste non sia solo una buona prassi, ma un dovere istituzionale di chi, in questo caso l'Asl, ha la responsabilità della salute pubblica; così come rimango dell'opinione che il miglior modo per evitare derive allarmiste sia quello di governare la notizia sin dal suo sviluppo. Il silenzio equivale solo a nascondere la cenere sotto il tappeto e ad alimentare il sospetto che non si voglia affrontare un tema tanto scottante e difficile con la determinazione necessaria: insomma, meglio far finta di nulla per non disturbare il manovratore, per non prendere decisioni impopolari e per non fare troppi slalom tra poteri forti (ad esempio se fosse confermata nelle attività industriali della zona la fonte di contaminazione degli alimenti).
Intanto le contraddizioni di questa storia portata alla luce da Bresciaoggi hanno il volto di una signora ottantantenne che abita in una delle cascine interessate dagli accertamenti. Il pollaio del vicino nel quale i tecnici dell'Asl avevano prelevato i campioni poi risultate contaminate è deserto dopo che è arrivato l'ordine di sterminare le galline e di non consumare le uova , ma a lei, che da sempre alleva le ovaiole, nessuno ha ancora detto nulla come se le sue uova e i suoi polli fossero inspiegabilmente immuni dallo spettro della diossina. Miracolo di una burocrazia forse un po' troppo ottusa per gestire con efficacia le emergenze.

venerdì 11 febbraio 2011

Tom e Kevin, un'altra grande storia di sport. Cercando di scordare Riccò

Tom Water (in piedi) e Kevin Jordan dopo l'intervento (da www.latimes.com)
Questa vicenda mi è stata segnalata da un amico (Ivano Rebustini) su Facebook e mi sembra il naturale seguito del post di ieri su Riccardo Riccò ed Emiliano Mondonico. Due storie in antitesi tra loro: una, quella del ciclista Riccò (che ha rischiato la vita per un'autoemotrasfusione, pratica di doping), che sembra una corsa verso l'autodistruzione; l'altra, quella dell'allenatore Emiliano Mondonico (di nuovo in panchina a tempi record nonostante l'operazione di tumore), carica di speranza e voglia di vivere.
Ieri la rete e i giornali hanno raccontato un'altra storia da incorniciare: quella di Tom Walter, allenatore della squadra di baseball del college di Wake Forrest, che ha donato un rene a Kevin Jordan, matricola e giovane promessa del baseball, sofferente di una insufficienza renale che lo ha presto costretto alla dialisi in attesa di un trapianto. Il donatore, però, non era reperibile fra i famigliari per incompatibilità, affinità biologica, invece, trovata, scherzi del destino, in Tom Walter, che non ha esitato un istante pensando a cosa avrebbe dovuto fare.
"Quando reclutiamo i nostri ragazzi – ha spiegato Walter – parliamo di appartenenza a una famiglia e della necessità di fare sacrifici. Ma la cosa è reciproca, e noi la prendiamo molto seriamente. Dite che sono stato coraggioso? Mai quanto Kevin, che provava comunque a seguire i corsi nonostante la malattia. Ora io e lui siamo legati per sempre. Ora l’importante è che lui non debba più essere attaccato a una macchina per la dialisi e che io possa tornare a correre e a giocare con i miei ragazzi. Se poi dovesse addirittura riuscire a tornare a giocare, beh, allora sarebbe una grandissima storia. Ma, per ora, voglio soltanto che possa tornare ad avere una vita normale e a essere un normale studente di college".
E' un individuo unico, dicono di coach Walter in quell'angolo di Stati Uniti, e qualcuno qui in Italia ha già dedicato questa storia a Riccardo Riccò, anche lui atleta a rischio dialisi, ma per sudditanza nei confronti di uno sport malato e non per un destino ingrato. Pedala, Riccardo, pedala: la gara della vita è tutta un'altra salita. Parola di coach Walter.

giovedì 10 febbraio 2011

Sport, speranza e autodistruzione

Qualche giornale ha impaginato le due storie insieme, quasi fossero le facce di una stessa medaglia, quella di uno sport fatto dagli uomini più che dagli atleti, con le loro miserie ed gli epici slanci verso nuovi traguardi. Qualche quotidiano ha messo le due storie nella pagina a fronte di quella che racconta la scomparsa di un mito inarrivabile come Cesare Rubini, che martedì 8 febbraio ha detto addio al mondo a 87 anni, un saluto da leggenda vivente dello sport essendo l'unico atleta al mondo ad essere inserito nelle Hall of fame  di due sport: pallanuoto e pallacanestro.
Sport, speranza e autodistruzioni, questo raccontano le pagine che ospitano le storie di Riccardo Riccò, il giovane ciclista modenese di 27 anni che ha rischiato la vita per una infezione dopo un'autoemotrasfusione, una pratica considerata doping che lui - ha spiegato i medici - ha praticato in solitudine conservando il sangue in frigo per venticinque giorni, tra il latte e gli omogenizzati del figlio piccolo, e quella di Emiliano Mondonico 63 anni, allenatore dell'Albinoleffe, squadra bergamasca di serie B, operato all'addome per rimuovere una massa tumorale e pronto a tornare in panchina a poche settimane dall'intervento. Uno che sta attaccato allo sport che è la sua vita anche quando tutto sembra remargli contro; l'altro che sembra buttare  via la sua vita insieme allo sport che tante soddisfazioni gli aveva dato in passato. Uno, Mondonico che abbraccia la speranza come se si scendesse in campo per la partita della vita; l'altro, Riccò, che imbocca l'ultimo giro, quello dell'autodstruzione  del corpo e della carriera come fosse la tappa decisiva del Tour.
E a pensarci bene entrambi sono recidivi: Riccò non scorderà mai l'arresto del 2008 al Giro di Francia proprio per le sue relazioni pericolose con le sostanze proibite; Mondonico ha rivissuto gli incubi di un male contro il quale aveva già combattuto anni fa. Ma uno, Mondonico, ha affrontato la ricaduta con la caparbietà di chi può perdere una partita ma lotta e spera fino ai play-out; l'altro, Riccò, ci si è rituffato dentro con l'incapacità di chi non ha saputo fare tesoro dei propri sbagli, testimone negativo di quella parte di ciclismo che non sa affrancarsi da pratiche illecite e dannose, che nutre con la chimica la voglia di successo."Quello di Riccardo Riccò - osserva Repubblica - è il dramma di un ciclismo che non sa o non può uscire dalla spirale della farmacia proibita".
Quella di Mondonico è la speranza di uno sport che aiuta a vivere e a superare le difficoltà, che mantiene vivi. "Tutto è stato positivo, come il grande affetto che il popolo del calcio mi ha riservato. Il calcio che è la mia vita - sottolinea Mondonico, più magro di dieci chili, ma rassicurante come un supereroe -. Devo solo ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicini e dato affetto. Grazie, grazie per tutto questo affetto e lealtà. Quando di notte giri da solo e pensi cosa hai nella pancia non è facile andare avanti. Ma a volte basta una pacca sulla spalla per capire che non sei da solo". La storia di Mondonico mi ricorda quella di un caparbio allenatore bresciano che qualche anno fa, dopo un intervento chirurgico per un tumore (il male che lo portò via qualche mese), si presentò a bordo campo in ambulanza per stare vicino alla sua squadra di dilettanti: dal portellone aperto di quell'ambulanza a bordo campo passava la speranza e la voglia di vivere; in campo quello sguardo anche se sofferente era il miglior doping per la voglia di vincere. Un doping omeopatico che mai nessuno potrà mettere fuori legge, un sublimatore di energie che fa bene al cuore e alla mente anche se, forse, non potrà mai cambiare il destino di un uomo. Chissà quante cose avrebbe da insegnare Mondonico a Riccò. L'allenatore lottatore all'atleta che si è bruciato le ali.

mercoledì 9 febbraio 2011

Crocifissi e identità

La Lega nord torna a proporre il crocifisso obbligatorio in tutti i luoghi pubblici della Lombardia (prevista anche una sanzione per i tragressori dai 120 ai 1.200 euro). La proposta arriva direttamente dal figlio del "capo", Renzo Bossi (primo firmatario il bresciano Alessandro Marelli). Fermo restando la libertà di ciascuno di proporre ciò che politicamente preferisce, mi colpisce, da cattolico, la "ratio" della norma (ovvero la ragione, la motivazione sulla quale deve fondarsi ogni regola giuridica). Interpellato dal Corriere della Sera, Renzo Bossi spiega così i motivi dell'obbligatorietà del crocifisso negli uffici pubblici (per ora quelli regionali, poi si vedrà).
"Al di là della fede religiosa - spiega - il crocifisso rappresente un tradizionale simbolo europeo. E in un momento in cui l'identità dei popoli è minacciata dagli integralismi da un lato e da una globalizzazione estrema dall'altro è fondamentale difendere le proprie radici storiche e culturali. La Lega da sempre è un baluardo di identità e quindi difenderemo sempre il simbolo identitario del crocifisso".
Parole che da cattolico mi lasciano l'amaro in bocca. Perchè? Perchè il crocifisso non è un simbolo, è una testimonianza, non è un complemento d'arredo è un progetto di vita per tanti cattolici. Chiamarlo simbolo di un'identità, ergerlo a baluardo delle proprie radice "al di là della fede religiosa" è mercificare un valore importante per un credente. In pratica si fa diventare il crocifisso un valore laico e questo, paradossalmente, finisce per essere offensivo per la Chiesa stessa. Spiegava Raniero La Valle, giornalista ed intellettuale cattolico, ai tempi della sentenza di Strasburgo che ne vietava l'uso nelle aule: "dico la verità: se il Crocefisso diventasse la bandiera di un’identità, di un nazionalismo, di un razzismo, di una lotta religiosa (...) e cessasse di essere la memoria di un Dio che si è fatto uomo, per rendere gli uomini divini, e che “avendo amato i suoi fino alla fine” ha accettato dai suoi carnefici la sorte delle vittime, e continua a salire su tutti i patiboli innalzati dal potere, dal danaro e dalla guerra, allora io non vorrei più vedere un crocefisso in vita mia".
"Il Crocifisso (con a “C” maiuscola) è sintesi e testimonianza suprema dell’amore di Dio e del
suo vangelo di salvezza per l’umanità - osservava tempo fa padre Marcello Storgato -. (...) Il crocifisso con la ‘c’ minuscola, quello appeso alle pareti - in luoghi pubblici - non so quanto possa essere seriamente assunto come ‘il riconoscimento dei principi del cattolicesimo’. Almeno a vedere dallo strato di polvere che lo ricopre e dalla rete di ragno che spesso l’avvolge! Capita quando il Crocifisso diventa semplice ‘segno culturale’".
Che il crocefisso, nella proposta leghista, sia un semplice segno culturale come la "rosa camuna" o, per citare il sindaco di Adro, "il Sole delle Alpi", lo dimostra il fatto che diventa, nella proposta di legge,  fungibile, cioè interscambiabile con qualsiasi altra icona cattolica "l'immagine della Vergine o di un santo particolarmente amato dal territorio di riferimento". Il crocifisso come una pagina di calendario: oggi tocca al Cristo in croce, domani a padre Pio, domani alla Madonna Immacolata e via di salvaguardia delle radici cristiane. Un tema che forse avrebbe bisogno di un po' meno di disinvoltura e un po' più di coerenza. "La difesa dei valori cristiani passa prima di tutto dai comportamenti" si è già affrettato a commentare qualcuno davanti alla proposta di legge targata Carroccio. L'identità, ne sono convinto, sta più nei fatti che nei simboli.

lunedì 7 febbraio 2011

Chi non ruba è un cretino

Nei giorni scorsi Adriano Celentano ha spedito al Corriere il testo di un suo dialogo con Beppe Grillo. Un dialogo fra due spiriti contro che si incrociano spesso (andate al Bolognese, ristorante di Marina di Bibbona, la località dove Beppe Grillo ha la casa al mare, e troverete una foto che li immortale attorno ad un tavolo) e che oggi si prende un intera pagina del quotidiano di via Solferino. Nel dialogo si parla di sogni svaniti e di bisogni della gente, dell'esperienza politica del movimento del comico Beppe e delle battaglie contro il cemento del cantante Adriano. Si parla anche di una politica malata e di un'Italia che si ammala con lei, un'Italia in bancarotta che non ha bisogno di un leader credibile e onesto, ma di un curatore fallimentare. E Adriano Celentano chiude con una parabola: «Poniamo il caso che tu sia il mio datore di lavoro. Oggi, giorno di sabato, nel riscuotere la paga mi accorgo che per errore mi hai dato 5 euro in più del dovuto. Se faccio finta di niente e tiro dritto, dentro di me mi vergogno anche se si tratta di una miseria. La mia coscienza subito mi direbbe che se già comincio a rubare le cose che neanche mi servono, figuriamoci cosa farò quando il bottino sarà molto più grande e desiderabile. Gesù, quindi, ci sta semplicemente dicendo che per praticare l'arte dell'onesto cittadino come anche quella del ladro è necessario un certo allenamento. Per cui se fin da piccoli ci alleniamo a rubare, non dobbiamo meravigliarci se poi da grandi, si forma in noi la malsana idea che CHI NON RUBA è un CRETINO».
Un'amara verità alla quale noi italiani, dopo lo stupore iniziale, forse ci stiamo rassegnando, stanchi di indignarci e di essere derisi come visionari. Come un Adriano Celentano e un Beppe Grillo qualsiasi.

Invida: tra Soldati e i tronisti

Cito dall'intervista a Vittorio Missoni pubblicata oggi dal Corriere (in occasione dell'uscita del libro autobiografico che celebra i suoi novanta anni): «"Ma Brera è stato il mio cantore, leggi qua... ha scritto cose da non credere". Tira fuori un foglio con un articolo del «Guerin Sportivo». Ricorda le bevute di Pernod, con Brera, alle otto del mattino alla «Gazzetta», ricorda le cene del giovedì all'Osteria Riccione: "Il bicchiere di vino era sempre metà pieno». C'erano, tra gli altri, Giovanni Arpino e Mario Soldati, che "a scopa non era poi così bravo come credeva". C'è un sacco di vita nel sorriso di Missoni, incontri, caffè, balere, avventure, amici, «piacevoli compagnie», soubrettine, ragazze: Lucia Bosè, commessa in una pasticceria vicino alla Madonnina, quando lo vide disse che gli mancavano solo le ali per essere un angelo».
Leggo e provo un senso di invidia per quelle frequentazioni che danno spessore alla vita, per quelle occasioni di crescita intellettuale che oggi si fanno sempre più rare. A noi, in questa società tanto distratta, può capitare al massimo di fotografare con il telefonino un tronista di uomini e donne, altro che partita a carte con Mario Soldati...



venerdì 4 febbraio 2011

Il federalismo? Così com'è è irricevibile

Che fosse un pasticcio lo si era capito subito. Che il pasticcio fosse smascherato con tanta velocità forse se lo aspettavano in pochi: il presidente Giorgio Napolitano ha spiegato che il decreto sul federalismo così come è stato emanato è irricevibile. "Non sussistono le condizioni per procedere all'emanazione del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale - si legge in una nota del Colle - Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in relazione al preeannunciato invio, ai fini della emanazione ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione, del testo del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale, approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri nella seduta di ieri sera, come risulta dal relativo comunicato, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in cui rileva che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4 dall'art. 2 della legge n. 42 del 2009 che sanciscono l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari. Pertanto, il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del
Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo".
Una brutta figura e un conflitto istituzionale che con un po' di senno si poteva evitare.



Stranezze di una repubblica (con la erre minuscola)


I grandi della politica e i giuristi hanno sempre sostenuto che una legge più è epocale e più va condivisa, più è epocale e più deve essere lungimirante, costruita per i posteri, in grado di saper interpretare le mutazioni future: deve guardare al futuro e non alle contingenze del presente. I grandi della politica e i giuristi hanno anche sempre sostenuto che un politico, se non viene perseguito per le sue opinioni, ma per reati comuni, non deve sfuggire ai giudici, la sua innocenza deve dimostrarla davanti a loro e non autoassolversi in parlamento.
Stranezze di una repubblica. La nostra.
1) Ieri la commissione bicamerale sulle riforme è finita in pari sul progetto di federalismo fiscale. Fine poco gloriosa di una riforma epocale, vittima di qualche calcolo politico, ma anche di quale perplessità di sostanza (vedi i dubbi dei comuni e i tentativi di mediazione del ministro Calderoli)? No, il governo va avanti e promulga il decreto contro il Parlamento: addio condivisione di una riforma epocale, addio lungimiranza, visto che l'unico motivo del blitz è staccare un bonus a favore della Lega in un governo traballante.
2)La Camera dice no alla perquisizione nell'ufficio del commercialista di Silvio Berlusconi, che il presidente del consiglio ha indicato come sua pertinenza. La perquisizione è un chiaro gesto di intimidazione? No, la procura sta lavorando, fino a prova contraria, su reati comuni come concussione e prostituzione minorile. Il no dei deputati ha il sapore della difesa di una casta.
3)Il Senato si prepara a convertire in legge italiana la Convenzione di Lanzarote dell'Unione Europea. Una convenzione che fa fronte comune contro reati come pedopornografia, prostituzione minorile, riduzione in schiavitù. Per rendere più incisiva l'offensiva giudiziaria contro questi reati la Convenzione prevede (come già per i reati di mafia) che siano le meglio attrezzate procure delle città sedi di Corte d'appello (i capoluoghi di regione più Brescia e Catania, per intenderci) ad occuparsi della materia. Già ad ottobre, però, la Camera dei deputati aveva tentato senza successo di modificare la norma restituendo ai pm dei tribunali (le cosidette procure circondariali) la competenza per questi reati. Ora il Senato torna alla carica riproponendo quell'emendamento. Il dubbio sorge spontaneo: non sarà perchè, se fosse accolta la modifica, ad indagare sul premier per prostituzione minorile non sarebbe più legittimata la procura distrettuale di Milano, ma quella circondariale di Monza? Chi propone l'emendamento sostiene che è solo per rendere più incisive le indagini su questi reati odiosi che rischiano di perdersi nei meandri degli uffici delle grandi procure. Il dubbio, però, resta.
Stranezze di una repubblica. Con la erre rigorosamente minuscola

giovedì 3 febbraio 2011

Regime di cuori o jolanda alla riscossa?

Le donne tornano a riflettere sulle loro conquiste (oggi ne parlano tanti giornali) e chi per quelle conquiste ha lottato in altre epoche si accorge che non ha eredi, che  non è stata in grado di passare il testimone alle figlie, che forse hanno dato quelle conquiste, quella parità strappata con i denti, come dati acquisiti troppo in fretta. Regime di cuori o jolanda alla riscossa, per usare due metafore mutuate da Elio e le storie tese e Luciana Littizzetto?
Dopo le affollate feste di Arcore alla corte del sultano, le donne si sono accorte che è meglio tornare ad affollare le piazze per non riscoprirsi dopo anni di battaglie semplici "realtà orizzontali". Mi sa che ancora una volta le donne sapranno darci una lezione, sapranno svegliarci da un torpore che ci ha addormentato al ritmo del bunga-bunga.



mercoledì 2 febbraio 2011

L'Italia non è un paese per intelligenti?


"L'Italia non è un paese per intelligenti"
Michela De Paoli
vincitrice di 1 milione di euro a
"Chi vuol essere milionario"

Leggendo il giornale di questa mattina (mercoledì 2 febbraio) annoto: "L'Italia non è un paese per intellegenti". A scriverlo è Michela De Paoli, la casalinga di Pavia, che giovedì scorso ha vinto un milione di euro al quiz televisivo "Chi vuol esser milionario" condotto da Gerry Scotti. Michela, che è arrivata alla maxi vincita senza mai chiedere aiuti,  ha scritto una lettera al Corriere che è anche una testimonianza pacata e desolante di come vanno le cose in Italia ai tempi del bunga-bunga.
Michela De Paoli
"Una casalinga che vince un milione di euro - scrive Michela, 43 anni, una laurea in tasca carica di aspettative per il futuro - al «Milionario», magari avrebbe fatto notizia in qualsiasi Paese. Ma nella nostra Italia, oggi, a fare notizia dovrebbe essere soprattutto il fatto che quella casalinga, che poi sarei io, non lo è per scelta, ma per necessità. Preferisco dire che sono casalinga solo perché suona meglio che disoccupata, ma la casalinghitudine non fa per me. Sento che potrei dare qualcosa a questa società. Ma, fino ad oggi, non ne ho avuto l’occasione. O non me l’hanno data. Per questo non dovete stupirvi se, mentre la prima cosa che salta in mente a chi vince una somma come quella che ho vinto io è, di solito, «finalmente smetterò di lavorare», io un lavoro mi auguro invece di iniziare a farlo".
Ma Michela non si fa illusioni: il motore con cui si avanza in questo Paese è un altro e sembra stare un po' più sotto del collo, sul quale dovrebbe poggiare ciò che fa di una persona un individuo di qualità. "L’Italia non è un Paese per intelligenti - continua Michela, consapevole di non avere il fisico da velina -. E’, piuttosto, un Paese culturalmente allo sbando, dove quasi tutti pensano solo ad apparire, dove l’apparenza conta più dell’intelligenza, come anche recenti vicende, stando almeno a quel che ne scrivono i giornali, sembrerebbero dimostrare. Non so se quella sia l’immagine reale del Paese, di sicuro è quella che passa. Dunque, meglio bella e scema che intelligente senza il fisico? Francamente, non me lo sono mai chiesta. Certo, qualche volta mi sono detta: tornassi indietro, farei la parrucchiera".
Tommaso Padoa Schioppa
Parole amare, ma sfoglio lo stesso giornale e leggo il direttore del quotidiano di via Solferino, Ferruccio De Bortoli, che commenta la commemorazione, all'Università Bocconi, di Tommaso Padoa Schioppa, l'economista scomparso a Roma il 18 dicembre scorso. La commemorazione, alla presenza del presidente Giorgio Napolitano, è stata per De Bortoli "l'occasione per provare un sentimento che spesso colpevolmente tratteniamo: l'orgoglio di essere italiani. E' assai raro ascoltare dalla voce di prestigiosi protagonisti del processo di unità europea o della finanza mondiale omaggi così lusinghieri al ruolo che gli italiani hanno svolto nel rendere possibile la moneta unica o nello scrivere le regole dei mercati. Un contributo insostituibile d'intelligenza, umanità e cultura che ha avvicinato governi e popoli, costruito ponti dalle architetture ambiziose, invisibili solo ai nostri occhi, colpiti da improvvisa miopia storica".
Continuo a sfogliare il giornale e trovo un'arzilla vecchietta classe 1922 di nome Margherita Hack che ha deciso di spiegare, lei astrofisica di fama mondiale, le stelle ai bambini in un programma tv su un canale per i più piccoli (Deakids). Di intelligenza ce n'è tanta in questa donna che all'acume ha affiancato una combattività invidiabile anche a 88 anni. "La divulgazione è importante - spiega la Hack - perchè c'è tanta disinformazione".
Margherita Hack
Chiudi il giornale e mediti su questi tre incontri virtuali per concludere che forse c'è ancora un po' di speranza per questa Italia, "L'orgoglio può apparire un peccato di presunzione, un'ingenuità da sognatori - osserva De Bortoli -. Ma questo è il momento in cui ne abbiamo più bisogno. E speriamo che la prossima occasione pubblica nella quale si possa essere orgogliosi del proprio Paese non coincida con il ricordo di un italiano che non c'è più". E, in effetti, l'Italia di oggi non sarà un paese per intelligenti, ma forse la nostra storia ci dice che il futuro potrebbe essere diverso. Sembra crederci anche Michela, la "casalinga" laureata e milionaria: "La mia rivincita di oggi, arrivata dopo tante porte sbattute in faccia, sarà un esempio per loro, una speranza? Chissà. A me, in fondo, basterebbe che quel che mi è successo spingesse tante mamme a dire ai loro figli: studia, che così un giorno vincerai al Milionario".
Chiudi il giornale e ti alzi rinfrancato. Almeno un po'...

Margherita Hack: intelligenza e ironia

martedì 1 febbraio 2011

Moschee: ma siamo sicuri che è solo questione di ordine pubblico?

Oggi il vicesindaco di Brescia Fabio Rolfi torna a parlare di centri culturali islamici (leggi moschee) spiegando come siano troppe per Brescia quattro realtà islamiche (due già esistenti e altrettante in procinto di diventare realtà). «Ma Brescia ha già due centri islamici - ricorda Rolfi a Bresciaoggi - e una città di 190 mila abitanti non può permettersene quattro! Brescia non può non porsi il problema di cosa avviene nei centri islamici e nelle moschee e non può non chiedersi quali finalità abbiano gli Imam che arrivano dall'estero in occasione delle festività». Al di là dei proclami, l'amministratore leghista pone un problema serio: quello che un tema che coinvolge principi costituzionali come la libertà religiosa non può essere lasciato alla discrezione dei comuni che, utilizzando i mezzi che hanno (normalmente di tipo urbanistico) finiscono per essere quasi regolarmente censurati dai giudici amministrativi e ordinari. Non è peregrina, dunque la richiesta, che sia lo Stato a dettare le regole per l'apertura di nuovi centri di culto e le norme che devono regolarne la vita. Detto questo Fabio Rolfi spiega che siamo davanti ad: «una silenziosa conquista del territorio, di fronte alla quale non si può far finta di niente o restare inerti, per doversene magari pentire fra 4-5 anni, quando sarà ormai troppo tardi».
Fabio Rolfi
Una considerazione che fa sorridere pensando alla notizia riportata oggi dal Corriere della sera in prima pagina di cento predicatori che hanno invaso il metrò di Milano per far proseliti. Così va il mondo, con buona pace di Fabio Rolfi, e il tema religioso va di pari passo con una società che diventa multirazziale. Perchè allora continuare a considerare la religione un tema di ordine pubblico (facendo peraltro di tutto l'Islam un fascio, fingendo di ignorare che c'è Islam e Islam)? Non sarebbe meglio cambiare passo governando il fenomeno invece di contrastarlo? Forse capiremmo, ad esempio, che alcuni centri islamici contrastati da certe amministrazioni locali sono attivamente impegnati in un percorso di dialogo interreligioso in organismi che da tempo, lontano dai riflettori, cercano di far "parlare" le religioni e di integrarle nella società. E' il modo migliore per evitare le derive integraliste. Continuare a considerare i centri islamici come il terreno di coltura di terrorismo vuol dire far finta di non sapere che la prevenzione migliore non è favorire la clandestinità delle proposte, ma regolamentarle in modo che si possa meglio controllarle (non dimentichiamo che le inchieste di terrorismo - destinate peraltro ad alterne fortune giudiziarie - sono spesso nate da controlli e intercettazioni all'interno delle moschee regolari).
Tempo fa mi è capitato di moderare un dibattito organizzato da una parrocchia tra un sacerdote e uno degli esponenti più discussi dell'Islamismo italiano Hazma Roberto Piccardo. Contrariamente ai timori della vigilia, ne è nato un dibattito molto proficuo, carico di contenuti nel quale traspariva la voglia di dialogo da entrambe le parti. Una voglia di dialogo con il mondo occidentale che - particolare che mi ha molto colpito - è arrivato dalle nuove generazioni, da ragazze con il velo che hanno chiesto fiducia e hanno dato la loro disponibilità a costruire insieme una nuova società multireligiosa. E proprio corretto, dunque, considerare l'Islam e le sue manifestazioni un problema di ordine pubblico costringendo chi vuole integrarsi di fatto alla clandestinità delle idee?

Cosa serve alla Giustizia?


Cosa serve alla Giustizia italiana? E' la domanda che si sono fatti in molti all'indomani dell'inaugurazione dell'anno giudiziario e dopo l'ennesimo lamento sui mali di Corti e tribunali italiani. Un lamento ormai replicato all'infinito, tanto da apparire stucchevole per quanto si perpetua negli anni senza che nessuno, seriamente e al di là dei proclami, metta mano ad un comparto in cui oltre il 70 per cento dei reati finisce con l'impunità, vuoi per la mancanza di un sospettato, vuoi per l'inesorabile prescrizione evento tutt'altro che raro.
Viene da chiedersi quale sia la ricetta per fare uscire la giustizia italiana dal pantano per incarnare quelle parole di Cesare Beccaria che qualcuno ha invocato per discorrere delle vere priorità della giustizia: "Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi".
Serve inannzitutto una giustizia che abbia le risorse necessarie per riacquistare efficienza (difficile recuperare efficienza se non si hanno soldi per pagare le straordinarie al personale, per la carta delle fotocopiatrici per un sistema informatico che sia finalmente moderno), che possa avere più magistrati e più personale di cancelleria, che possa finalmente superare alcuni vincoli corporativi e campanilistici che continuano a garantire sopravvivenza a uffici giudiziari periferici che andrebbero chiusi per recuperare risorse da tributare, a chi per mole di lavoro e numeri di pendenze, è sull'orlo del collasso.
L'efficienza della giustizia poi si recupera anche con una oculata politica delle norme che snelliscano procedure troppo ferragginose (in sede civile come in campo penale) e che finalmente portino a compimento un percorso di depenalizzazione che renda le norme più efficaci (talvolta è meglio una multa salata che un processo penale che non arriverà mai a compimento) e il sistema più snello (invece la produzione di norme penali e in continuo e ingiustificato aumento).
"E’ necessario intervenire sul meccanismo della giustizia, divenuto farraginoso a causa di una mole spropositata di procedimenti giudiziari. Questa gargantuesca crescita della domanda giudiziaria non è stata causata da un’innata litigiosità del popolo italiano (per quanto la cosa sia nazional-popolare), ma perché il processo è divenuto una vera e propria corsa ad ostacoli verso la prescrizione, dove vince l’atleta con avvocati (ridotti ad azzeccagarbugli manzoniani) più abili. Il Dum Pendet, Rendet è complice della degenerazione del sistema. Tale status quo deve essere sovvertito radicalmente, promuovendo misure capaci di semplificare e accelerare il processo penale, sfrondando la giungla di Riti del processo civile, incentivando il dibattito stragiudiziale tra le parti; in altre parole, bisogna dedicarsi alla politica della ragionevole durata del processo, senza steccati ideologici" si legge, ad esempio, ad opera di Michele Dubini su Libertiamo.it, voce dei finiani che fanno capo a Benedetto della Vedova.
E le riforme in che senso vanno? In senso contrario, ovviamente, non intervenendo sugli ingranaggi della giustizia, rimuovendo le incrostazioni, snellendo le procedure, investendo su tecnologia e modernità, ma cercando di incidere sull'assetto ordinamentale sull'equilibrio dei poteri. Una riforma che di questi tempi sembra più punitiva che innovativa, dato che il primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, ha spiegato all'apertura dell'anno giudiziario: «L' inefficienza del sistema giustizia - ha chiarito - non dipende dall' assetto ordinamentale e dall' equilibrio dei poteri delineato dalla Costituzione, concretamente realizzato a partire dell' istituzione della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura. Questi organi hanno costituito e costituiscono componenti fondamentali per la connotazione della Repubblica come stato costituzionale di diritto. Il modello italiano costituisce un punto di riferimento nel mondo».
La proposta del governo sintetizza Giovanni Bianconi sul Corriere sembra voler tornare ad un modello gerarchico piramidale in stile napoleonico invece del modello, spiega ancora Lupo: «orizzontale, caratterizzato dalla pari dignità di tutte le funzioni, dal governo autonomo della iurisdizione, dall' indipendenza del pubblico ministero dall' influenza del potere esecutivo, principio di cui è garante il Csm. Il principio di legalità - continua l'alto magistrato -, in un sistema fondato sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, non può essere salvaguardato se non attraverso l' obbligatorietà dell' azione penale, principio che costituisce "il punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale"».
Insomma sì alla riforma ma su un piano che metta in campo risorse nuove, che lavori sulle procedure e sulla razionalizzazione delle norme e non su quella sete di impunità che sembra trasparire da ogni passo del Governo (dal depauperamento del ruolo del pm, ridotto quasi a semplice funzionario come fosse un prefetto, e i prefetti di questi tempi non brillano certo per autorevolezza e indipendenza, alle pseudoriforme come quelle sulle intercettazioni telefoniche e sul processo breve).