martedì 15 febbraio 2011
Diossina, uova e trasparenza
Bresciaoggi, il giornale per cui lavoro, oggi ci racconta attraverso un dettagliato servizio di Pietro Gorlani, di una indagine dell'Asl che ha evidenziato la presenza di diossina nelle uova deposte dalle galline allevate in cascine nei pressi di alcuni impianti industriali. L'indagine sanitaria è stata commissionata a livello regionale proprio per valutare la portata dei fattori di rischio per la salute in presenza di impianti impattanti come le fonderie che costellano la provincia di Brescia. I primi dati della ricerca sono inquietanti: nelle uova sono stati trovati livelli di diossina abbondantemente superiori ai limiti di legge, tanto da spingere le autorità veterinarie a dire stop al consumo di uova, a chiedere l'abbattimento delle galline e a impostare nuovi accertamenti a partire dalle analisi del sangue sugli abitanti di quelle cascine.
Nella provincia che ospita un sito di bonifica nazionale alla periferia della città capoluogo come il sito della Caffaro, non stupisce sapere che non ci sono solo le cascine alla periferia di Brescia ad essere state messe in ginocchio dalle contaminazioni di Pcb, ma anche molti siti rurali che convivono da anni con la presenza di attività industriali impattanti dal punto di vista ambientale. Per ora la ricerca interessa cinque siti, ma è lecito chiedersi quanto situazioni del genere siano replicabili in altrettanti paesi di una delle province più industrializzate d'Italia. Quel che stupisce non è tanto la situazione ambientale sulla quale l'indagine ha finito per dare delle conferme a quanti da tempo denunciano - spesso inascoltati - scenari apocalittici, ma - ancora una volta - la scarsa trasparenza con cui il tema è stato trattato. Un argomento, per chi come me si occupa di comunicazione, centrale in qualsiasi rapporto tra istituzioni e cittadini.
Mi spiego: i prelievi sono stati effettuati a ottobre, le misure interdittive nei confronti degli agricoltori sono arrivate a gennaio, ma a metà febbraio (circostanza verificata ieri) nessuno aveva ancora avvertito i sindaci (autorità sanitarie di un Comune) delle zone interessate alla contaminazione da diossina: il rapporto continua ad essere riservato e qualcuno si prenderà anche la briga di bacchettare i giornalisti spiegando che con la pubblicazione di quei dati riservati si fa solo allarmismo. Una lezioncina che in anni di professione abbiamo sentito tante volte, sin da quando, ad esempio, si parlò sui giornali, nel silenzio e nella latitanza istituzionale, delle contaminazioni Ogm nei campi di mais della Bassa, del latte alla diossina in alcune aziende agricole dell'hinterland cittadino, della contaminazione da Pcb attorno all'industria chimica Caffaro, caso che si guadagnò addirittura la prima pagina di Repubblica. Resto convinto che la trasparenza su notizie come queste non sia solo una buona prassi, ma un dovere istituzionale di chi, in questo caso l'Asl, ha la responsabilità della salute pubblica; così come rimango dell'opinione che il miglior modo per evitare derive allarmiste sia quello di governare la notizia sin dal suo sviluppo. Il silenzio equivale solo a nascondere la cenere sotto il tappeto e ad alimentare il sospetto che non si voglia affrontare un tema tanto scottante e difficile con la determinazione necessaria: insomma, meglio far finta di nulla per non disturbare il manovratore, per non prendere decisioni impopolari e per non fare troppi slalom tra poteri forti (ad esempio se fosse confermata nelle attività industriali della zona la fonte di contaminazione degli alimenti).
Intanto le contraddizioni di questa storia portata alla luce da Bresciaoggi hanno il volto di una signora ottantantenne che abita in una delle cascine interessate dagli accertamenti. Il pollaio del vicino nel quale i tecnici dell'Asl avevano prelevato i campioni poi risultate contaminate è deserto dopo che è arrivato l'ordine di sterminare le galline e di non consumare le uova , ma a lei, che da sempre alleva le ovaiole, nessuno ha ancora detto nulla come se le sue uova e i suoi polli fossero inspiegabilmente immuni dallo spettro della diossina. Miracolo di una burocrazia forse un po' troppo ottusa per gestire con efficacia le emergenze.
Nella provincia che ospita un sito di bonifica nazionale alla periferia della città capoluogo come il sito della Caffaro, non stupisce sapere che non ci sono solo le cascine alla periferia di Brescia ad essere state messe in ginocchio dalle contaminazioni di Pcb, ma anche molti siti rurali che convivono da anni con la presenza di attività industriali impattanti dal punto di vista ambientale. Per ora la ricerca interessa cinque siti, ma è lecito chiedersi quanto situazioni del genere siano replicabili in altrettanti paesi di una delle province più industrializzate d'Italia. Quel che stupisce non è tanto la situazione ambientale sulla quale l'indagine ha finito per dare delle conferme a quanti da tempo denunciano - spesso inascoltati - scenari apocalittici, ma - ancora una volta - la scarsa trasparenza con cui il tema è stato trattato. Un argomento, per chi come me si occupa di comunicazione, centrale in qualsiasi rapporto tra istituzioni e cittadini.
Mi spiego: i prelievi sono stati effettuati a ottobre, le misure interdittive nei confronti degli agricoltori sono arrivate a gennaio, ma a metà febbraio (circostanza verificata ieri) nessuno aveva ancora avvertito i sindaci (autorità sanitarie di un Comune) delle zone interessate alla contaminazione da diossina: il rapporto continua ad essere riservato e qualcuno si prenderà anche la briga di bacchettare i giornalisti spiegando che con la pubblicazione di quei dati riservati si fa solo allarmismo. Una lezioncina che in anni di professione abbiamo sentito tante volte, sin da quando, ad esempio, si parlò sui giornali, nel silenzio e nella latitanza istituzionale, delle contaminazioni Ogm nei campi di mais della Bassa, del latte alla diossina in alcune aziende agricole dell'hinterland cittadino, della contaminazione da Pcb attorno all'industria chimica Caffaro, caso che si guadagnò addirittura la prima pagina di Repubblica. Resto convinto che la trasparenza su notizie come queste non sia solo una buona prassi, ma un dovere istituzionale di chi, in questo caso l'Asl, ha la responsabilità della salute pubblica; così come rimango dell'opinione che il miglior modo per evitare derive allarmiste sia quello di governare la notizia sin dal suo sviluppo. Il silenzio equivale solo a nascondere la cenere sotto il tappeto e ad alimentare il sospetto che non si voglia affrontare un tema tanto scottante e difficile con la determinazione necessaria: insomma, meglio far finta di nulla per non disturbare il manovratore, per non prendere decisioni impopolari e per non fare troppi slalom tra poteri forti (ad esempio se fosse confermata nelle attività industriali della zona la fonte di contaminazione degli alimenti).
Intanto le contraddizioni di questa storia portata alla luce da Bresciaoggi hanno il volto di una signora ottantantenne che abita in una delle cascine interessate dagli accertamenti. Il pollaio del vicino nel quale i tecnici dell'Asl avevano prelevato i campioni poi risultate contaminate è deserto dopo che è arrivato l'ordine di sterminare le galline e di non consumare le uova , ma a lei, che da sempre alleva le ovaiole, nessuno ha ancora detto nulla come se le sue uova e i suoi polli fossero inspiegabilmente immuni dallo spettro della diossina. Miracolo di una burocrazia forse un po' troppo ottusa per gestire con efficacia le emergenze.
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2 commenti:
e pensare che ad oggi, 21 settembre, quel silenzio continua... il leghista Marelli ha presentato un'interrogazione in regione. ma anche lì, dopo 50 giorni di ferie, sembrano più interessati ad altre questioni.
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