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venerdì 19 agosto 2011

Estate 2011: lui in canottiera, noi in mutande

da www.messaggero.it
L'estate 2011 non è certo una grande estate, ma anche quest'anno ci sono alcune icone che sopravvivono alle tempeste. Certo, ci manca la bandana di Berlusconi, ma la canottiera di Bossi non ci è stata risparmiata nemmeno quest'anno, anche se in Cadore tira una brutta aria anche per i leghisti: nelle difficoltà di un paese in crisi, essere di lotta e pure di governo è sempre più difficile e l'incoerenza affiora a pelo d'acqua come gli scogli denudati dalla bassa marea.
Bossi sarà anche in canottiera in questa estate 2011, ma lo spettacolo triste di questo agosto afoso e bizzarro è che noi siamo in mutande e c'è qualche rischio che ci tolgano anche quelle nell'indifferenza di una classe politica che fatica a fare un ragionamento complessivo su un paese che ha bisogno di rigore e sviluppo, di sicurezza e speranze. La manovra sembra colpire i soliti che già danno tanto e difettare di equità come se nessuno capisca quale sia il mondo reale. Un esempio: si parla di abolire le pensioni di anzianità, ma qualcuno si è mai chiesto quanti anni di lavoro dovrà fare un operaio o un muratore che ha iniziato a faticare subito dopo la scuola dell'obbligo? Fatti due calcoli avremo casi di gente che si avvicinerà ai 50 anni di contribuzione, in lavori non proprio rilassanti. E' giusto?
A quale principio di equità poi faremo appello giustificando questa scelta davanti a piani industriali (ad esempio nel settore del credito) che mandano in pensione dipendenti a poco più di 55 anni di età, per non parlare di prepensionamenti a 48, 50 anni giustificati da stati di crisi spesso indotti artificialmente per rimettere in riga costi del lavoro troppo borderline?

A quale principio di equità faremo appello davanti a parlamentari che con 10 anni di attività politica lucrano un vitalizio di 3 mila euro o, se in carica per una sola legislatura, si assicurano comunque un assegno di duemila euro (pensione che la maggior parte degli italiani non vede nemmeno dopo 35 anni di fabbrica)?
Non basta una canottiera per avvicinare la politica alla gente, perchè ormai se la politica è in canottiera gli elettori sono letteralmente in mutande, aspettando ormai da troppo tempo di vedere tutti contribuire, in proporzione al proprio reddito come vuole la Costituzione, alla vita e al benessere di questo Paese. In base a quale principio di equità la manovra non contiene misure serie e drastiche per battere l'evasione fiscale (diminuendo ulteriormente gli obblighi di tracciabilità, rendendo non solo impossibile, ma anche poco conveniente il nero)?  Perchè si continua a far finta di nulla davanti a redditi troppo irrisori per essere veri? Il ministro-commercialista Giulio Tremonti forse dovrebbe farsi domande come queste per acquistare credibilità.
In quest'Italia c'è, insomma, qualcuno che rischia di pagare tutto anche per i furbi e chi continua a far finta di nulla. Questi ultimi saranno pure in canottiera, ma gli altri rischiano di non avere più nemmeno le mutande.

martedì 16 agosto 2011

Ferragosto di nani

I momenti di crisi, un tempo imponevano i governi di Unità nazionale, le larghe intese, le convergenze. Oggi l'estate ha portato un ferragosto di nani e ballerine, una politica senza stile e senza freni inibitori. Sentire ieri a Ponte di Legno Bossi dare del nano di Venezia a Renato Brunetta spiegandogli, in un discorso di alta politica, che non doveva "rompere i coglioni sulle pensioni" è il segno di un dibattito forse mai caduto così in basso. Che Brunetta non sia un mostro di simpatia è risaputo, che non goda di grande seguito pure, che le pensioni vadano difese e le risorse cercate altrove siamo tutti d'accordo, ma lo stile in politica è essenziale, è lo stile di una nazione. Lo stile non è ipocrisia (si possono dire le stesse cose senza trascendere), lo stile è sostanza, è uno degli aspetti dell'autorevolezza di un Paese.
In passato avete mai sentito un Berlinguer dare del nano in pubblico a Fanfani? O qualche parlamentare dare del ciccione a Spadolini? Ora ci si insulta tra ministri in un momento in cui la coesione d'intenti e di progetti dovrebbe essere totale.
Così il teatrino della politica diventa un circo e il ferragosto una festa per nani e ballerine. L'ultimo sguaiato passo di danza prima della fine...

lunedì 8 agosto 2011

Suor Giuliana e la ricetta della crisi

In questi giorni difficili sfogliando i giornali ho visto l'immagine e ho letto una storia che mi suonava famigliare. Ho letto di Suor Giuliana Galli (nella foto a sinistra), sorella della Piccola casa della Divina provvidenza, il Cottolengo, di Torino, da qualche anno ai vertici della Compagnia di San Paolo, maggiore azionista di un colosso bancario qual è il gruppo Intesa-San Paolo. In questi giorni sorella banca (come era stata battezzata ai tempi del suo insediamento nel salotto buono della finanza torinese) è tornata alla ribalta delle cronache per il semplice ma incisivo commento al rally borsistico di queste ore: «A questo punto non ci resta che pregare». Per Massimo Gramellini era l'unica che in tanta confusione aveva chiara una strategia, per altri dietro quelle preghiere c'è la necessità di spronare chi guida la nave in burrasca a fare di più per il bene comune.
Leggevo l'analisi umana di suor Giuliana e qualcosa, nelle sue parole, mi suonava famigliare, leggevo il suo curriculum e mi rendevo conto di aver conosciuto, quasi in un'altra vita, quella suora oggi 70enne. Ero uno studente con molti amici che avevano condiviso un'esperienza forte nelle estati calde che ci riservava la nostra gioventù: settimane trascorse indossando un camice bianco fra le corsie e i padiglioni del Cottolengo di Torino. Racconti entusiasti di fatiche quotidiane che davano un senso alla vita, che aiutavano a crescere, a condividere le difficoltà con persone che nonostante arrivassero da una vita avara, avevano tanto da dare.
Pur non avendo mai vissuto quell'esperienza di volontariato in prima persona amavo riempire le mie giornate estive dei racconti degli amici, dei bilanci entusiasti di quelle settimane che ti facevano sentire utili agli altri. E ad arricchire quei racconti di solidarietà vera c'erano spesso le riflessioni di suor Giuliana, una suora allora giovane e dinamica che si occupava di coordinare le volontarie che vivevano l'esperienza del Cottolengo. Negli inverni nebbiosi della provincia spesso era lei, in trasferta, a raccontare con trasporto cosa voleva dire mettersi al servizio degli altri.
Ora ho scoperto che quella suor Giuliana, descritta come una piccola eroina e confidente dalle sue giovani volontarie trent'anni fa, oggi è una suora-banchiera, quella "sorella banca" che esorta alla preghiera e all'impegno per salvare il titanic dalla bufera della speculazione. Mi sono documentato: ho raccolto opinioni, scritti su questa religiosa prestata alla stanza dei bottoni. Ho ritrovato quello spirito di suora cottolenghina  che mi aveva affascinato da giovane. E con lei ho ritrovato la speranza che, forse, la legge del cuore può vincere sull'aridità dei diagrammi e dei grandi numeri. Piazza Affari forse non è il Cottolengo, ma in un momento così difficile resta solo la Provvidenza. A Milano come a Torino.

martedì 2 agosto 2011

Bologna, i nomi e le storie


I fatti della nostra storia, anche quelli più tragici e drammatici, diventati negli anni, macigni difficili da metabolizzare, sono innanzitutto storie di persone. Ecco perchè, ricordando la Strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, voglio ricordare soprattutto i nomi delle 85 vittime. Gente normale, giovani, donne, padri e madri di famiglia: inseguivano in una stazione la voglia di vacanza e hanno trovato la morte alle 10,25. Scorriamo i loro nomi, leggiamoli come fosse una preghiera laica. La preghiera che nutre la memoria, una memoria che si anima di nomi e storie e che vorremmo non fosse più popolata di fantasmi senza requie. A Brescia come a Bologna, a Milano come nelle tante stragi dimenticate.


Strage della Stazione di Bologna
a Bologna, 2 agosto 1980, 85 morti e 200 feriti:



1. Antonella CECI , anni 19
2. Angela MARINO, anni 23
3. Leo Luca MARINO, anni 24
4. Domenica MARINO, anni 26
5. Errica FRIGERIO in DIOMEDE FRESA, anni 57
6. Vito DIOMEDE FRESA anni 62
7. Cesare Francesco DIOMEDE FRESA, anni 14
8. Anna Maria BOSIO in MAURI, anni 28
9. Carlo MAURI, anni 32
10. Luca MAURI, anni 6
11. Eckhardt MADER, anni 14
12. Margret ROHRS in MADER, anni 39
13. Kai MADER, anni 8
14. Sonia BURRI, anni 7
15. Patrizia MESSINEO, anni 18
16. Silvana SERRAVALLI in BARBERA, anni 34
17. Manuela GALLON, anni 11
18. Natalia AGOSTINI in GALLON, anni 40
19. Maria Antonella TROLESE, anni 16
20. Anna Maria SALVAGNINI in TROLESE, anni 51
21. Roberto DE MARCHI, anni 21
22. Elisabetta MANEA ved. DE MARCHI, anni 60
23. Eleonora GERACI IN VACCARO, anni 46
24. Vittorio VACCARO, anni 24
25. Velia CARLI IN LAURO, anni 50
26. Salvatore LAURO, anni 57
27. Paolo ZECCHI, anni 23
28. Viviana BUGAMELLI in ZECCHI, anni 23
29. Catherine HELEN MITCHELL, anni 22
30. John ANDREI KOLPINSKI, anni 22
31. Angela FRESU, anni 3
32. Maria FRESU, anni 24
33. loredana MOLINA in SACRATI, anni 44
34. Angelica TARSI, anni 72
35. Katia BERTASI, anni 34
36. Mirella FORNASARI, anni 36
37. Euridia BERGIANTI, anni 49
38. Nilla NATALI, anni 25
39. Franca DALL'OLIO, anni 20
40. Rita VERDE, anni 23
41. Flavia CASADEI, anni 18
42. Giuseppe PATRUNO, anni 18
43. Rossella MARCEDDU, anni 19
44. Davide CAPRIOLI, anni 20
45. Vito ALES, anni 20
46. Iwao SEKIGUCHI, anni 20
47. Brigitte DROUHARD, anni 21
48. Roberto PROCELLI, anni 21
49. Mauro ALGANON, anni 22
50. Maria Angela MARANGON, anni 22
51. Verdiana BIVONA, anni 22
52. Francesco GOMEZ MARTINEZ, anni 23
53. Mauro DI VITTORIO, anni 24
54. Sergio SECCI, anni 24
55. Roberto GAIOLA, anni 25
56. Angelo PRIORE, anni 26
57. Onofrio ZAPPALÀ, anni 27
58. Pio Carmine REMOLLINO, anni 31
59. Gaetano RODA, anni 31
60. Antonio DI PAOLA, anni 32
61. Mirco CASTELLARO, anni 33
62. Nazzareno BASSO, anni 33
63. Vincenzo PETTENI, anni 34
64. Salvatore SEMINARA, anni 34
65. Carla GOZZI, anni 36
66. Umberto LUGLI, anni 38
67. Fausto VENTURI, anni 38
68. Argeo BONORA, anni 42
69. Francesco BETTI, anni 44
70. Mario SICA, anni 44
71. Pier Francesco LAURENTI, anni 44
72. Paolino BIANCHI, anni 50
73. Vincenzina SALA in ZANETTI, anni 50
74. Berta EBNER, anni 50
75. Vincenzo LANCONELLI, anni 51
76. Lina FERRETTI in MANNOCCI, anni 53
77. Romeo RUOZI, anni 54
78. Amorveno MARZAGALLI, anni 54
79. Antonio Francesco LASCALA, anni 56
80. Rosina BARBARO in MONTANI, anni 58
81. Irene BRETON in BOUDOUBAN, anni 61
82. Pietro GALASSI, anni 66
83. Lidia OLLA in CARDILLO, anni 67
84. Maria IDRIA AVATI, anni 80
85. Antonio MONTANARI, anni 86

lunedì 1 agosto 2011

D'Avanzo e la lezione del giornalismo di strada

Un direttore che mi ha insegnato molto, Piero Agostini, tanto da diventare un'icona di questo blog (scrolla la colonna qui a destra), diceva sempre a noi giovani giornalisti di provincia, quando il fatto di cronaca locale diventava evento nazionale e in redazione si materializzavano i Gianantonio Stella (Corriere), i Piero Colaprico (Repubblica), i Pino Corrias e i Pierangelo Sapegno (Stampa), i Renato Pezzini (Messaggero): "guardate come lavorano e imparate".
Così metabolizzavamo le grandi attese, le grandi scarpinate dal tribunale alla questura, dalla scena del crimine alla caserma, dalla procura allo studio dell'avvocato. Pigliavamo qualche insulto, ma imparavamo a non mollare mai, senza orari ma con tanto entusiasmo. E quando capitava di dare qualche "buco" al giornale nazionale (noi che a Brescia lavoravamo tutti i giorni e avevamo fonti talvolta insospettabili) arrivava la stretta di mano calorosa del competitor agguerrito ma onesto, il tributo del compagno di strada "famoso", concorrente leale, maestro quanto basta ma senza tirarsela troppo.
Ho ripensato a quegli anni leggendo i ricordi di Giuseppe D'Avanzo, giornalista di Repubblica, uomo di inchieste severe e scottanti, professionista di strada, nonostante qualifiche da editorialista e vice direttore. D'Avanzo, morto sabato per un infarto, era considerato uno dei maggiori giornalisti d'inchiesta italiani. "Mancherà a tutti" ha twittato sabato il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, che ha affidato il ricordo del giornalista napoletano (con un passato professionale anche al Corriere) ad un altro mostro sacro del giornalismo italiano d'indagine, Giovanni Bianconi. E' leggendo il suo affettuoso tributo ad un amico ho ritrovato l'essenza di un giornalismo che è fatica, che è giudizio critico, che - per colpa anche nostra - si insegna sempre meno.
"Una sera d' autunno di tanti anni fa - ricorda Bianconi, citando un caso che qualche notte in bianco è costata anche a me - ci ritrovammo insieme al palazzo del Viminale, ministero dell' Interno, il corridoio dove si affacciano gli uffici dei vertici della polizia. Era in corso il sequestro dell' industriale Giuseppe Soffiantini (imprenditore tessile di Manerbio, ndr), e gli investigatori pensavano di aver localizzato nei boschi della Toscana dov' era tenuto l' ostaggio. Era tardi, avevamo già consegnato l' articolo di giornata, ma bisognava saperne di più per quelli dell' indomani. A mezzanotte passata la nostra «fonte», prima di spegnere le luci e andare a casa, ci confidò che nelle ore successive avrebbero tentato un blitz. Io e Peppe ci guardammo in faccia. «Andiamo?», disse lui. «Ma lo vedi che ora è?», provai a dire. «Embè?». Poco dopo eravamo sull' autostrada, dove incrociammo le colonne di macchine della polizia che si avvicinavano al luogo dell' operazione. Arrivammo prima dell' alba, ma non servì a nulla. Il tentativo di liberare il sequestrato andò a vuoto, e aver passato la notte in bianco per giungere che era ancora buio in un posto dove non vedemmo accadere niente, fu perfettamente inutile. «Però abbiamo fatto bene», disse lui con un sorrisetto, quando ormai era giorno pieno, allungandosi sul sedile della macchina con un giornale sul viso, per dormire qualche quarto d' ora. Aveva ragione. Quel tentativo notturno, fatto sulle forze, fu inutile. Ma poteva non esserlo, e dunque bisognava provarci. È una delle regole di questo lavoro: non lasciare nulla di intentato - nemmeno le iniziative più astruse - per inseguire un fatto, raccogliere qualche dettaglio in più. E in questo Giuseppe D' Avanzo è stato davvero un maestro".
Un maestro umile ma mai appagato, come deve essere un giornalista con i gradi conquistati sulla strada. Ne parlavo ieri in redazione: avrei voluto ritargliare il pezzo di Bianconi e affiggerlo in bacheca, fra i turni di chiusura e i comunicati sindacali, affinchè lo leggessimo tutti, noi "vecchi" un po' sfiancati dalla routine, un po' distratti dalla banalità del quotidiano, come i giovani che pensano al giornalismo come a un lavoro con i suoi ritmi e i suoi orari e non ad una professione con i suoi talenti da far fruttare e una vocazione da coltivare.
Ha ragione forse Piero Colaprico quando su Repubblica ha scritto che: "I più giovani, quelli che credono di apprendere le notizie soprattutto da Internet, forse collegano D'Avanzo all'ultima stagione dello scandalo-Berlusconi. Alle sue "Dieci domande" sulla relazione tra il premier e la minorenne napoletana Noemi Letizia, che hanno fatto il giro del mondo, riprodotte da migliaia di media. E poi alle sue "Dieci bugie", scaturite dalle indagini, anche in strada, sui rapporti tra Berlusconi, Ruby Rubacuori e le altre ragazze che frequentavano le feste di Arcore. Ma D'Avanzo era uno che, come si dice, "non guardava in faccia nessuno" e dagli anni Ottanta, tra scoop da prima pagina e inchieste, ha modificato - e sul serio - uno stile giornalistico. Era l'unico a potere e sapere mescolare la cronaca, costruita e impreziosita da notizie esclusive, con i suoi commenti, le analisi, le "visioni". Eppure, decennio dopo decennio di fatiche e di strade - il tempo del giornalista che ama la cronaca è sempre intenso - D'Avanzo era rimasto esigente con se stesso, con le notizie, con la qualità nella scrittura degli articoli. "Quando funzionano, devono fiorire", diceva Giuseppe D'Avanzo, 58 anni da compiere, una quercia di giornalista, e di persona".
Fatiche e strade, gesti e condotte che dovremmo riscoprire e far riscoprire con umiltà per far rinascere la passione. La passione per un giornalismo vero, genuino, onesto e mai sottomesso, che non dimentica i fondamentali che tutti dovremmo avere nel dna. Come li aveva Giuseppe D'Avanzo.
Uno che "da opinionista affermato - conclude Bianconi sul Corriere - continuava a battere questure, tribunali e studi di avvocati alla ricerca di dettagli che potessero dare un senso alla storia che voleva raccontare, o alla tesi che intendeva sostenere. Come un cronista alle prime armi. Fino a scherzarci su, per esempio quando ci ritrovammo nella sala d' attesa di una stazione dei carabinieri dell'hinterland napoletano, per rincorrere le orme di chi aveva ammazzato e bruciato il cadavere di un ragazzino di nove anni. Si stava facendo tardi e noi stavamo ancora aspettando, stanchi e un po' sfiduciati. «E pensare che io ho un contratto da editorialista», disse prendendosi in giro. Ma bisognava stare lì. Poteva servire. E servì".



I LINK

LEGGI IL RICORDO DI GIOVANNI BIANCONI SUL CORRIERE

QUELLO DI PIERO COLAPRICO SU REPUBBLICA

IL RACCONTO DI ROBERTO SAVIANO

IL TRIBUTO DI GIANLUCA DI FEO (L'ESPRESSO)

L'EDITORIALE DI EZIO MAURO

FEDERICO GEREMICCA SU LA STAMPA

DONATELLA STASIO SUL "SOLE 24 ORE"