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venerdì 30 ottobre 2009

Giornalisti e precariato: una storia, una morte, un'indagine


La notizia è stata battuta ieri alle 12.51 dall'agenzia Ansa: Giornalisti: "Morto fotoreporter Antonio Ferretti - Poco dopo aver seguito per lavoro la partita Genoa-Fiorentina". Antonio Ferretti (nella foto tratta da www.waterpoloweb.com) aveva 59 anni e lo hanno trovato alle 4 del mattino nella sua auto posteggiata a lato della Statale 45 che da Genova lo stava portando a casa. Il malore è stato così improvviso e determinato a portarselo via che non è nemmeno riuscito a chiamare i soccorsi. Antonio Ferretti è colui che in gergo giornalistico si chiama "free lance", libero professionista, che nel nostro mestiere, a parte qualche illuminato esempio, più che con libertà, intraprendenza, grande rigore professionale garantiti da un adeguato compenso, fa solo rima con sfruttamento e lavoro nero.
Così la morte di Ferretti è diventata l'occasione per riflettere su cosa voglia dire essere giornalisti "free lance" oggi in Italia. E la riflessione di quanti conoscevano Ferretti è stata amara: «È morto “solo”, come solo era nel suo lavoro e come soli, nonostante ciò che si cerca di fare per il mondo free lance, sono molti colleghi» hanno scritto in una nota Luca Zennaro e Marcello Zinola dell'Assostampa della Liguria.
«Non ci sono molte parole per raccontare una morte bianca del mondo giornalistico di cui pochi parleranno e della quale presto nessuno si ricorderà. Sarà un fatto di cronaca. Appunto di morti bianche sul lavoro - hanno sottolineato - Antonio viveva i ritmi del lavoro autonomo: corri, corri, corri per vivere, per vivere tu e la tua famiglia. Per sopravvivere perché la concorrenza è spietata, perché c’è la crisi e la solidarietà è messa in crisi dal costante depauperamento del pagamento del lavoro autonomo, dalla necessità di lavorare e di farlo anche sottocosto, a prezzi stracciati sino a quando si straccia la vita. Un mondo, quello del fotogiornalismo, che dovrebbe essere a pieno titolo riconosciuto anche dai colleghi giornalisti “classici” e, più in generale, quello del lavoro autonomo per il quale qualcosa è stato fatto, ma molto c’è ancora da fare. Rimanendo nell’alveo della Fnsi, unica strada per cercare di dare piena dignità, non solo professionale, a questo tipo di lavoro giornalistico. Chissà forse per Antonio è giunta solo la sua ora ma sulla sua “ora”, a sentirlo parlare anche ieri sera, pesavano e hanno pesato lo stress dovuto alla mancanza di lavoro, alle difficoltà di tasse e oneri vari ai quali fare fronte ogni giorno: problemi comuni a tutti. Ma da stanotte con un morto in più».
E su questa morte anche la Fnsi (il sindacato dei giornalisti) vuole tentare di aprire, per l'ennessima volta, un tavolo di confronto con gli editori. "La condizione dei precari giornalisti non può più essere affrontato dalle istituzioni e dalla politica a suon di convegni e pompose analisi sociologiche. La scomparsa drammatica del collega Ferretti è l’esemplificazione di quanto la battaglia per la sopravvivenza professionale in questo settore e lo stress, per la forte riduzione del reddito e per la dignità professionale calpestata, siano stati - senza ombra di dubbio - la causa prima di questa vera e propria "morte bianca". Tutto ciò paradossalmente conferma la denuncia ed il senso della lunga battaglia del Sindacato dei giornalisti. Ma non si può però andare avanti così. Le controparti datoriali negano, nella latitanza delle legge, il sacrosanto dovere di garantire compensi equi e diritti sociali certi a questi lavoratori. La politica, dunque, è chiamata ad adottare le misure indispensabili ed urgenti per garantire redditi minimi e coperture sociali degne di questo nome".
Libera professione e precariato, un tema che in questi momenti difficili per l'editoria non andrebbero dimenticati, così come le tante storie finite in una indagine dell'Ordine nazionale dei Giornalisti su questo mondo sommerso e sfruttato.

ECCO L'INDAGINE:

Quando il giornalista è precario

mercoledì 28 ottobre 2009

Crisi: se piovono lettere di mobilità...

E' uno stillicidio, 100 qui, 50 là, 200 nella grande azienda che era un marchio, una garanzia, del lavoro nella provincia di Brescia. Non c'è giorno che, in redazione, ci si sieda attorno al tavolo per la riunione di mezzogiorno e non si parli dell'ennesima crisi aziendale, dell'ennesima pioggia di lettere di mobilità. La congiuntura sta mettendo a dieta le aziende, le vuole agili e magre per entrare nei pertugi sempre più stretti di un mercato che non si capisce se è tornato a macinare profitti o se ha soltanto lucidato le vetrine che continuano a rimanere vuote. Così la liposuzione delle aziende si chiama mobilità, che sembra il nome di un ballo tradizionale, ma è il baratro nel quale, in questi mesi, stanno entrando centinaia di famiglie che dalla cassa integrazione, il coma farmacologico con il quale si è curato il malato grave, passano direttamente alla espulsione dal mondo del lavoro, come se si passasse dal sonno alla morte senza rendersene troppo conto.
Accompagni il figlio a scuola e senti il giovane ingegnere, in tuta come fosse un baby pensionato, che si sfoga: "Ho sempre pensato che male che vada con la mia laurea un posto da ingegnere a Milano lo trovo subito, ma adesso ci sono gli ex dipendenti Nokia che sono a spasso e anche per noi ingegneri è dura".
Guardi la palazzina vicino a casa tua è ricostruisci le vite di chi ci abita (giovani coppie, famiglie straniere) e scopri che quelli del primo piano, marito e moglie, due figlie, hanno perso il lavoro già da mesi (la loro multinazionale ha chiuso i battenti e si è ritirata in Germania a leccarsi le ferite della crisi del mercato dell'auto); che i vicini di pianerottolo, dopo mesi di lavoro non retribuito, un'agonia, ora con il crollo dell'edilizia è arrivata anche la fine delle certezze; sali al piano di sopra e il copione si ripete. Un disastro.
Cammini per strada con un'amico e questo ti dice: "Vedi quella coppia: lui ha perso il lavoro. Sono arrivati dall'India, sono educati e ben integrati, sono ormai mezzi italiani, ma forse dovranno andarsene se le cose non cambieranno".
Passi in auto nel nuovo centro commerciale, scheletri in cemento che avrebbero dovuto riassorbire i posti di lavoro persi altrove, e vedi negozi aperti qua e là, grandi immobili ancora deserti, poli di intrattenimento che avrebbero dovuto essere attivi da tempo, ma la cui inaugurazione è rinviata di mese in mese.
Ma ci stiamo veramente affrancando dalla crisi, come dicono alla tv? Ti guardi in giro e ti scappa un'imprecazione che suona come un De profundis. Piovono lettere di mobilità, governo...

martedì 27 ottobre 2009

Cesare e Giacinto, la vita e il calcio





Cesare Prandelli ha vinto il premio "Giacinto Faccetti - Il bello del calcio". Cesare e Giacinto il calcio e la vita due mondi nei quali si sono mossi da signori e dice bene (sul Corriere di oggi) Gianfelice Facchetti, il figlio del mitico calciatore dell'Inter, quando spiega che il premio non poteva avere assegnazione migliore. "Quando la maggior parte dei suoi colleghi non sapeva fare altro che dare ordini - scrive Facchetti parlando di Prandelli agli esordi da allenatore con le giovanili - e gridare per avere ascolto. Prandelli si rivelava umanamente attento, consapevole di avere di fronte non solo potenziali campioni, ma soprattutto uomini di domani". Già, gli uomini di domani quelli che sanno dire no alla carriera per stare vicino alla famiglia presa a spallate dal destino. Cesare Prandelli lo ha fatto, andandosene dalla Roma per stare con la moglie e combattere con lei la battaglia contro il tumore, ripresentatosi a bussare alla porta della sua vita. "Ed è venuto alla luce, insieme al campione, l'uomo - continua Facchetti junior - Cesare Prandelli con la semplicità e la forza delle persone normali a raccontare con coraggio la fragilità di cui è intessuta la nostra vita. Non c'è nulla di cui stupirsi, forse direbbe lui, niente di eroico nel fare quello che un uomo dovrebbe fare nel nome di un amore lungo una vita".
Quella vita che è come il calcio: entrambi vanno affrontati con intelligenza. Lo diceva Giacinto, lo conferma Cesare



Torna il Grande Fratello, ma la realtà è peggio




Rieccoci alle prese con gli eroi della casa. Quale casa? Quella del Grande Fratello, che domande. Quei ragazzi che sotto l'occhio delle telecamere passeranno anche Natale e Capodanno e chissà chi manderanno dentro quella casa a celebrare la messa di mezzanotte? Non sappiamo come finirà, ma forse il pregio di essere reclusi li risparmierà dalla pandemia, dall'influenza A, che proprio a Natale dovrebbe colpire duro. O forse il virus si farà beffa di tutto e tutti e costringerà la trasmissione ad una chiusura anticipata per malattia, portando all'Influenza A, più notorietà che la peste del Manzoni nei Promessi sposi. Vedremo.
Certo è che ha ragione Aldo Grasso sul Corriere della Sera di oggi quando spiega che ormai la realtà ha superato il reality. "Ancora una volta - scrive - la realtà si fa beffe della fantasia". Se nel 2000, quando la prima edizione del programma fece scandalo per l'invasività delle telecamere, oggi, nove anni e dieci edizioni dopo, il Grande fratello è la nostra vita quotidiana da videosorvegliati e video dipendenti. "Un tempo - continua Grasso - ci si limitava a osservare gli incidenti stradali; adesso vengono filmati con il telefonino e caricati su You tube". E poi in questi tempi in cui il privato, meglio se morboso, diventa pubblico ed è spesso usato come una clava, che importa se la Casa ospita trans, gay, trasgressori professionisti e uomini pronti a confessare il proprio passato. La nostra storia è qui, immortalata da un multavelox, cristallizzata da un prelievo bancomat, video sorvegliata in centro come in periferia. Così "non il reality, ma la realtà ci spinge a credere di vivere nel mito della trasparenza, dentro una casa di vetro; tanto, - conclude Grasso - con la tecnologia, è inutile chiudere le porte".


IL VIDEO DELL'INIZIO DEL GRANDE FRATELLO 10...

ALTRO CHE GRANDE FRATELLO: ECCO COSA TI PUO' CAPITARE SE SVIENI PER STRADA E TI CHIAMI ILARI BLASI IN TOTTI...

lunedì 26 ottobre 2009

La paura dell'Islam e le parole del Cardinale


Viviano i tempi della paura e qualcuno, su questa paura, costruisce fortune politiche e personali. Viviamo tempi da Crociate facili, certo non aiutati da barbe lunghe, moti talebani e rivendicazioni religiose che mal si conciliano con la nostra cultura dei diritti. Insomma, viviamo in tempi non troppo "illuminati" e un raggio di sole, secondo me, l'ha portato ieri, sulle colonne del Corriere della sera il Cardinale Carlo Maria Martini che, nell'appuntamento periodico con le domande dei lettori, parla di Islam, di paure e di reprocità. In tempi in cui anche la setta cattolica dei Pentecostali è un problema se a professarla sono immigrati dell'Africa nera (cfr. protesta della Lega Nord a Concesio, paese della bassa Valtrompia, provincia di Brescia) quello dell'ex Cardinale di Milano è un bel contributo culturale a vincere le nostre paure.


Lettere al Cardinal Martini:
Cinque Motivi per non Temere l' Islam Conosco non poche persone di religione islamica che sono sinceri cercatori di Dio e non chiedono che di trovare un lavoro La mancanza di reciprocità non è una ragione per negare a coloro che vengono da noi i diritti che ammettiamo per tutti

Fin dall' inizio di questa corrispondenza ho ricevuto non poche lettere centrate su questo tema: l' Islam (si potrebbe anche dire «la paura dell' Islam»). Vorrei anzitutto esporre qualche considerazione generale, che inquadra il problema.
1). Distinguo tra una religione in astratto (con l' insieme delle sue credenze, norme, tradizioni e consuetudini) dal modo concreto con cui la religione viene vissuta. Questa seconda realtà è decisiva per ciascuno. I fondamentalisti partono da una religione non vissuta, ma pensata.
2). Conosco non poche persone di religione islamica che sono sinceri cercatori di Dio e che, venendo tra noi, non chiedono che di trovare un po' di lavoro e di farsi strada a poco a poco nella società, pensando soprattutto alla propria famiglia. Essi vivono quei valori che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto all' Islam (Documento Sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, n.3) come l' adorazione dell' unico Dio, misericordioso e compassionevole, e la sottomissione a Lui.
3). I fondamentalisti (che ci sono un po' ovunque) esigono un' applicazione stretta della legge coranica nella società civile, non distinguendo la religione dalla società. Essi vorrebbero naturalmente attuare questo anche in Europa.
4). Si chiede dunque all' Occidente di esercitare un discernimento che smascheri gli estremisti e faccia capire che non v' è posto per essi in una società che vuol essere democratica e pluralista. Ciò esige che noi crediamo in questi valori e li viviamo sul serio! Ogni irresponsabilità del nostro mondo occidentale è un favore fatto ai fondamentalisti.
5). In ogni modo va sottolineato che non esiste un solo Islam, ma ci sono in esso varie correnti e obbedienze. Gli estremisti non rappresentano che una voce tra le tante, anche se oggi è la più forte e giustamente può incutere timore. Ed ora qualche risposta alle varie lettere. Non ho letto il Corano per intero, ma solo alcune parti di esso. Tuttavia mi sono informato presso persone competenti, sia in Europa come nei Paesi Arabi. Sarebbe bello ottenere la reciprocità in tutto, che cioè anche in questi Paesi si lasciasse piena libertà religiosa. Bisogna continuare a far presente tale nostra esigenza, ma la mancanza di reciprocità non è una ragione per negare a coloro che vengono da noi i diritti che ammettiamo per tutti. Occorre però che si esiga anche da essi la piena osservanza delle nostre regole e il rispetto per i nostri valori. Dobbiamo credere nella democrazia e agire di conseguenza. È vero che il dialogo con l' Islam non è facile, anche perché, mancando una autorità centrale, non si può sapere chi lo rappresenti adeguatamente. Tuttavia tale dialogo rimane importante, anche a livello religioso. Non è un tradimento di Gesù Cristo, ma una obbedienza alla sua volontà. Perciò i Papi si sono molto impegnati per farlo progredire. Avremo non un inferno in terra, ma certamente molte difficoltà se teniamo gli immigrati islamici in un ghetto, creando così le premesse per esiti violenti.
Martini Carlo Maria

da Pagina 19
(25 ottobre 2009) - Corriere della Sera

giovedì 22 ottobre 2009

Posto fisso e verginità postume

Rivalutare oggi il pregio del posto fisso è come per una escort predicare la verginità come la prima fra le virtù. Avevo seguito per lavoro il G8 di Genova, fronte no global, e in molti, allora, predicavano una cosa semplice: globalizziamo sì l'economia, ma anche i diritti. Eppure in quella occasione i no global furono caricati dalla polizia tanta era l'attenzione verso proposte di quel tipo.
Parlare di posto fisso oggi è come cantare un inno sacro ad un rave party. Che dire ad una ricercatrice sulla quarantina, single per necessità, che dopo una sfilza di contratti a termine rischia il posto? Che dire ad un precario della scuola "tagliato" dalla riforma dopo anni di onorato servizio? Che dire ad un giovane che dopo anni di lavoro a tempo determinato si vede offrire come ultima elemosina un contratto "week-end" (lavoro nel fine settimana)? Dove stanno la stabilità e la sicurezza?
Oggi più che posto fisso bisognerebbe difendere "il posto" in quanto tale. Con le aziende che recapitano lettere di mobilità come se piovesse sarebbe già una bella conquista. Come una conquista altrettanto bella sarebbe non dover più assistere a storie come quelle raccontate domenica scorsa, 18 ottobre, dalla trasmissione Report: piccole aziende artigiane fornitrici di salotti alla Francia, strangolate dalla concorrenza sleale di aziende italo-cinesi al lavoro senza regole (contratti part-time in realtà da 12 ore al giorno). Altro che posto fisso, qui bisogna tornare all'etica della produzione, ad un'economia virtuosa.

REPORT: UNA POLTRONA PER DUE CLICCA QUI PER LEGGERE LA STORIA

REPORT: UNA POLTRONA PER DUE CLICCA QUI PER VEDERE IL VIDEO

mercoledì 21 ottobre 2009

Vittorio Feltri e il mago delle vendite

Vittorio Feltri - bisogna dargli atto - è un mago dei giornali, uno che sa come risanare bilanci spesso asfittici: ha fatto di Libero un giornale in grado di insidiare altri blasonati quotidiani di area ed ora, passato a Il Giornale, forse riesce nel miracolo di risanarne i bilanci raddoppiando le vendite rispetto alla gestione di Mario Giordano, almeno stanno ad alcune recenti notizie di agenzia. Feltri e la sua squadra portano nuovi lettori al Giornale (poche illusioni, si tratta di migrazioni da una testata all'altra, non di italiani che improvvisamente si scoprono affezzionati alla carta stampata) ma che prezzo, in termini di credibilità e autorevolezza, deve pagare il giornalismo italiano, che già non è forte di suo?
In proposito vi invito a leggere questo appello a Stefano Zurlo, cronista del Giornale, autore degli articoli sul giudice Mesiano, da parte del collega Alessandro Gilioli, blogger di "Piovono rane", blog dell'Espresso. Un appello che fa riflettere.
Altra lettura edificante è quella da questo post di Luca Telese (giornalista già conduttore di Tetris su La7) in cui spiega perchè è passato da Il Giornale a Il Fatto dopo l'arrivo di Feltri.

martedì 20 ottobre 2009

La piazza, la passione e i difetti di democrazia



Premessa: a Orzinuovi, paese della provincia di Brescia in cui abito da sempre, c'è una piazza lunga trecento metri, "corteggiata" dai portici, sulla quale si affacciano chiesa e municipio. Insomma un cuore pulsante della comunità, testimone di congressi eucaristici negli anni '50, rastrellamenti e colonne in ritirata al tramonto della Repubblica sociale di Salò, comizi accessi e partecipati nel '48, persino una carica di polizia per sedare lo scontro tra destra e sinistra nei caldi anni '70.
Alcune sere fa ho rivisto quella piazza riaccendersi di passione politica, vociare fino a tardi in una fredda notte di quasi inverno, agitarsi, gridare e, perchè no, mandarsi anche un po' a vaffa...
Ho visto anche un consiglio comunale con il pubblico seduto sulle scale, i carabinieri schierati come alla partita di calcio, ma qui, in alta definizione, c'era solo il gusto ritrovato del confronto su un tema che ha diviso la comunità (basti dire che alle ultime elezioni comunali un migliaio di consensi sono migrati dallo schieramento di centro destra in carica - e vincitore a mani basse di Europee e Provinciali - ad una lista civica che, contro ogni previsione della vigilia, si è imposta per due voti di scarto). Qual era questo tema: l'oratorio e la proposta di realizzarlo tutto nuovo nel campo sportivo ormai in fase di dismissione per la costruzione di un nuovo stadio. Qualcuno (la parrocchia in testa) è favorevole a questa proposta, altri (a partire dalla nuova amministrazione) vorrebbero valutare soluzioni alternative per non pregiudicare una delle ultime aree pubbliche rimaste nel cuore del paese.
Su questo tema, la piazza è tornata ad animarsi come non faceva da anni, la gente è tornata a confrontarsi come ai tempi d'oro in cui la politica non era una delega in bianco e la coscienza non era così lobotomizzata da far passare per persecuzione ciò che è semplice giustizia. Bene, quando la passione si sente la comunità è viva, riconquista spazi anche fisici altrimenti terra di colonizzazione altrui: socializzare per strada e in piazza è sicuramente più efficace di una "ronda civica" per riappropriarsi di un territorio.
Ho assistito alle discussioni anche accese con l'entusiamo di chi assiste ad una rinascita, ma non ho potuto fare a meno di notare come siano cambiati i linguaggi del confronto, come il tema non abbia più sfumature (o è bianco o è nero), come il tentativo di articolare un discorso sia diventato sinonimo di inconcludente politichese, dove la critica viene sempre etichettata politicamente (meglio se estremizzata negli stereotipi classici "comunista" - "fascista"), dove persino la dignità di intervento viene rilasciata solo sei si ha una patente di appartenenza (il teorema è: perchè parli se non vieni nemmeno all'oratorio?) e anche chi si è conquistato questa patente di appartenenza sul campo se solleva qualche perplessità viene messo all'angolo. Insomma la passione si sente ma è come pane senza lievito, quel lievito che si chiama democrazia e disponibilità a sentire le ragioni altrui, accogliendole come un arricchimento e non respingendole con un insulto. E spiace constatare che queste lacune siano forti in realtà educative dove la capacità di pensare "plurale" dovrebbe essere coltivata come prima fra le virtù.

lunedì 19 ottobre 2009

Calzini turchesi e giornalismo in mutande (turchesi?)




Mi sono distratto un attimo (nel senso che per una settimana non ho messo post in questo armadio delle parole) e mi ritrovo con in mano un paio di calzini turchesi. Il segno non della stravaganza di un giudice, ma di un giornalismo ormai in mutande (turchesi pure quelle?) e - è il caso di dirlo - fatto un po' con i piedi. Ho visto e rivisto quel servizio di "intelligence" sul giudice Mesiano, reo di una stravaganza mortale come quella di portare i calzini turchesi, e sono arrivato alla conclusione che il giornalismo italiano forse ha bisogno di una "rifondazione", forse ha bisogno di tornare a parlare di notizie lasciando stare i calzini turchesi. La vera stravaganza, in realtà, in questa triste ennesima storia di delitto mediatico su commissione è un'altra: nella medesima puntata di Mattino 5, Alessandro Sallusti, vice direttore del Giornale, spiega che più grave che portare calzini turchesi è per il giudice Mesiano aver rinviato di un anno una causa civile per una lite condominiale. Sallusti non sa, o forse fa finta di non sapere, che non è Mesiano il fannullone scansafatiche che lavora solo quando si tratta di condannare la Fininvest, ma quelli sono i tempi della giustizia (civile e penale) in Italia. Sallusti non sa, o fa finta di non sapere, che i processi vanno a rilento perchè non ci sono soldi per pagare gli straordinari ai dipendenti e le trascrizioni alle società che si occupano di verbalizzare le udienze penali. Sallusti sa, ma fa finta di non sapere, che, invece, grazie a queste storture buona parte dei processi penali si concludono con la prescrizione e questo accadrà anche per quelli del Premier, resuscitati dal no al Lodo Alfano della Consulta. Sallusti sa anche, ma fa finta di non sapere, che fino ad ora per risolvere i problemi della giustizia si è intervenuto solo sui problemi di una persona e non su quelli degli italiani che, appunto, devono attendere anni per una lite condominiale.
E il giornalismo italiano? Troppo abbagliato da un paio di calzini turchesi.


sabato 10 ottobre 2009

Le buone notizie

Barack Obama premio nobel per la Pace 2009. Dopo la decisione della Consulta sul Lodo Alfano, un'altra buona notizia. Due in una settimana. Non capiteranno più sette giorni così. Gustiamoci la domenica...

giovedì 8 ottobre 2009

La sfiga? Pare sia di sinistra

Massimo Gramellini incisivo e ironico come sempre

Buongiorno
8/10/2009 -
Le disgrazie sono di sinistra
Dopo il proclama del Capo, il quadro è finalmente chiaro. I magistrati sono di sinistra, e questo già si sapeva. La tv pubblica, eccetto Topo Gigio, è di sinistra. Il 72% dei giornali è di sinistra (non il 71 e nemmeno il 73: il 72, l’ha detto Lui). La Corte Costituzionale è di sinistra, il Quirinale è di sinistra, gli arbitri in genere sono di sinistra, e anche i vigili che danno le multe sono di sinistra, i professori che rifilano 4 a mio figlio sono di sinistra, il vicino di casa che appesta il pianerottolo con la sua frittura è di sinistra, la signora che mi ha scippato il parcheggio è di sinistra, come la Regina di Biancaneve, Veronica Lario e la Costituzione: tutte di sinistra.

La sveglia alle sette è di sinistra, la barba da radere è di sinistra, il caffè amaro è di sinistra, i calzini bucati e gli ingorghi al semaforo sono di sinistra, il capufficio odioso è di sinistra, la moglie che mi ricorda le commissioni da fare è di estrema sinistra. Il Superenalotto è di sinistra, altrimenti vincerei. Gli stranieri, i comici, i miliardari e i gatti neri sono di sinistra. Le escort sono di sinistra, ma solo quelle che chiacchierano, naturalmente. Cavour era di sinistra, come Montanelli e Barbarossa, del resto. Fini è di sinistra e pure le previsioni del tempo, se segnalano pioggia. Persino io, quando non digerisco la peperonata, divento di sinistra. Da noi l’unica disgrazia che non sia di sinistra è la sinistra.

P.S. Viva l’Italia, viva Berlusconi! (anche questo l’ha detto Lui).

Massimo Gramellini
da La Stampa

"La legge è uguale per tutti". Una bella lezione di democrazia


"Scrivere una Costituzione è come costruire una casa, la casa comune degli italiani. E una casa non la si costruisce se non dalle sue fondamenta. Dobbiamo dire quali sono le fondamenta della convivenza degli italiani" (Aldo Moro, discorso alla Costituente)


"La legge è uguale per tutti". E' un principio quello ribadito ieri dalla Corte Costituzionale che si è pronunciata sul Lodo Alfano che riconcilia con questa Italia che spesso si fatica a capire. Con questi italiani (alcuni ovviamente) che nel '92, ai tempi di mani pulite, applaudivano ai titoli di Vittorio Feltri "Hanno preso il cinghialone" (il riferimento era ai primi guai giudiziari di Bettino Craxi) e ora parlano di giustizia ad orologeria, dipingendo di rosso persino le toghe dei giudici costituzionali.
"La legge è uguale per tutti" e "La Costituzione si riforma con leggi costituzionali". Mi sembrano principi di buon senso e avrei faticato a pensare un organo garante come la Consulta che annacqua gli enunciati di una delle Costituzioni migliori del mondo per legittimare una legge malfatta perchè animata da un solo obiettivo: salvare il primo ministro da alcuni processi in corso (che, comunque vadano, saranno prescritti presto).
Povera l'Italia che davanti ad una sentenza di cui dovremmo andare orgogliosi per i principi che difende deraglia attaccando tutto e tutti, mettendo di mezzo un popolo che ha sì deciso e legittimamente in un certo modo ma non per questo bisogna usarlo come una clava per demolire i principi dello Stato. Qui forse ha ragione Mino Martinazzoli nel suo ultimo libro ("Uno strano democristiano" - Rizzoli) quando citando Aldo Moro spiega "la maggioranza governa non perchè ha ragione, ma ha ragione di governare perchè è maggioranza. E soprattutto, è importante ricordare che nessuna maggioranza parlamentare, per quanto grande che sia, potrebbe violare quei principi sanciti dalla Costituzione repubblicana". Pillole di democrazia che dovrebbero preservare il nostro instabile cuore di italiani dalle fibrillazioni. Saggezza democratica che ieri sera ha distillato anche Rosy Bindi a "Porta a Porta" a fianco di Pierferdinando Casini. Il ragionamento di entrambi ha messo all'angolo le obiezioni di Angelo Alfano e Roberto Castelli, Ministri della giustizia, attuale ed ex, di Centro destra, ancora una volta ancorate all'assioma giudici-comunisti. "Fate una riforma della giustizia che garantisca processi rapidi e imparziali e se sarà sensata la voteremo" hanno spiegato gli esponenti dell'opposizione. La risposta l'ho letta oggi sui giornali: Berlusconi ha detto che andrà a Milano e si difenderà nei processi che lo vedono imputato; a Roma intanto qualcuno sta già pensando ad un decreto che blocchi di fatto i procedimenti.
Povera Italia senza statisti, povera costituzione e poveri custodi stritolati in una nazione che sembra aver perso il senso della vita democratica.


martedì 6 ottobre 2009

Giornalismo: a Ferrara è internazionale

Ferrara, lo scorso fine settimana, ha ospitato giornalisti da tutto il mondo nell'ambito del Festival internazionale del giornalismo. Ecco alcuni contributi filmati.







lunedì 5 ottobre 2009

In marcia per la Pace


Nel giorno in cui si ricordava Gandhi è partita la marcia mondiale per la Pace e la nonviolenza. L'intento è quello di unire la Nuova Zelanda (2 ottobre 2009) all'Argentina (2 gennaio 2010) per un mondo senza guerre. Cinque le richieste che sono partite da Wellington con i primi marciatori nonviolenti diretti a Punta de Vacas: il disarmo nucleare a livello mondiale; il ritiro immediato delle truppe d'invasione dai territori occupati; la riduzione progressiva e proporzionale degli armamenti convenzionali; la firma di trattati di non aggressione tra paesi e la rinuncia dei governi a utilizzare la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti.
La marcia, che riunisce premi Nobel e associazioni umanitarie da tutto il mondo, ha momenti di condivisione in ogni provincia (anche a Brescia)e sembra di tornare allo spirito di Aldo Capitini, il gandhiano di Perugia che il 24 settembre 1961 diede vita alla prima Marcia della Pace Perugia-Assisi manifesto del movimento pacifista italiano.
Ma nel 2009 ha ancora senso marciare per la pace? Domanda più che legittima, ma se - per usare lo slogan della manifestazione - "Ci siamo innamorati della parola Pace" la risposta sta nelle cose: al cuor non si comanda.





giovedì 1 ottobre 2009

Prezzi, cala la benzina, cala l'inflazione


Se calano i carburanti cala anche l'inflazione. Ce lo dicono gli esperti di statistica che a Brescia si occupano di rilevare i prezzi al consumo per conto dell'Istat e che ci danno una buona notizia: a settembre inflazione a -0,4% su agosto 2009 e un leggero più 0,2% rispetto all'anno scorso. Il trend - dicono sempre all'ufficio statistica del comune di Brescia - è, per l'undicesimo mese consecutivo, deflattivo. Speriamo bene.

Ecco come sempre tutti i dati su Brescia con i prodotti che aumentano e quelli in calo (fra questi i carburanti, che ci avevano fatto penare in agosto, e gli alimentari).

Inflazione a Brescia Settembre 2009