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venerdì 30 ottobre 2009

Giornalisti e precariato: una storia, una morte, un'indagine


La notizia è stata battuta ieri alle 12.51 dall'agenzia Ansa: Giornalisti: "Morto fotoreporter Antonio Ferretti - Poco dopo aver seguito per lavoro la partita Genoa-Fiorentina". Antonio Ferretti (nella foto tratta da www.waterpoloweb.com) aveva 59 anni e lo hanno trovato alle 4 del mattino nella sua auto posteggiata a lato della Statale 45 che da Genova lo stava portando a casa. Il malore è stato così improvviso e determinato a portarselo via che non è nemmeno riuscito a chiamare i soccorsi. Antonio Ferretti è colui che in gergo giornalistico si chiama "free lance", libero professionista, che nel nostro mestiere, a parte qualche illuminato esempio, più che con libertà, intraprendenza, grande rigore professionale garantiti da un adeguato compenso, fa solo rima con sfruttamento e lavoro nero.
Così la morte di Ferretti è diventata l'occasione per riflettere su cosa voglia dire essere giornalisti "free lance" oggi in Italia. E la riflessione di quanti conoscevano Ferretti è stata amara: «È morto “solo”, come solo era nel suo lavoro e come soli, nonostante ciò che si cerca di fare per il mondo free lance, sono molti colleghi» hanno scritto in una nota Luca Zennaro e Marcello Zinola dell'Assostampa della Liguria.
«Non ci sono molte parole per raccontare una morte bianca del mondo giornalistico di cui pochi parleranno e della quale presto nessuno si ricorderà. Sarà un fatto di cronaca. Appunto di morti bianche sul lavoro - hanno sottolineato - Antonio viveva i ritmi del lavoro autonomo: corri, corri, corri per vivere, per vivere tu e la tua famiglia. Per sopravvivere perché la concorrenza è spietata, perché c’è la crisi e la solidarietà è messa in crisi dal costante depauperamento del pagamento del lavoro autonomo, dalla necessità di lavorare e di farlo anche sottocosto, a prezzi stracciati sino a quando si straccia la vita. Un mondo, quello del fotogiornalismo, che dovrebbe essere a pieno titolo riconosciuto anche dai colleghi giornalisti “classici” e, più in generale, quello del lavoro autonomo per il quale qualcosa è stato fatto, ma molto c’è ancora da fare. Rimanendo nell’alveo della Fnsi, unica strada per cercare di dare piena dignità, non solo professionale, a questo tipo di lavoro giornalistico. Chissà forse per Antonio è giunta solo la sua ora ma sulla sua “ora”, a sentirlo parlare anche ieri sera, pesavano e hanno pesato lo stress dovuto alla mancanza di lavoro, alle difficoltà di tasse e oneri vari ai quali fare fronte ogni giorno: problemi comuni a tutti. Ma da stanotte con un morto in più».
E su questa morte anche la Fnsi (il sindacato dei giornalisti) vuole tentare di aprire, per l'ennessima volta, un tavolo di confronto con gli editori. "La condizione dei precari giornalisti non può più essere affrontato dalle istituzioni e dalla politica a suon di convegni e pompose analisi sociologiche. La scomparsa drammatica del collega Ferretti è l’esemplificazione di quanto la battaglia per la sopravvivenza professionale in questo settore e lo stress, per la forte riduzione del reddito e per la dignità professionale calpestata, siano stati - senza ombra di dubbio - la causa prima di questa vera e propria "morte bianca". Tutto ciò paradossalmente conferma la denuncia ed il senso della lunga battaglia del Sindacato dei giornalisti. Ma non si può però andare avanti così. Le controparti datoriali negano, nella latitanza delle legge, il sacrosanto dovere di garantire compensi equi e diritti sociali certi a questi lavoratori. La politica, dunque, è chiamata ad adottare le misure indispensabili ed urgenti per garantire redditi minimi e coperture sociali degne di questo nome".
Libera professione e precariato, un tema che in questi momenti difficili per l'editoria non andrebbero dimenticati, così come le tante storie finite in una indagine dell'Ordine nazionale dei Giornalisti su questo mondo sommerso e sfruttato.

ECCO L'INDAGINE:

Quando il giornalista è precario

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