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giovedì 29 luglio 2010

Giornalisti, politici, conferenze stampa e rispetto

«I giornalisti fanno i giornalisti: pongono domande alle quali è possibile non rispondere». Lo ha detto oggi Enzo Icopino, il presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti dopo la tribolata conferenza stampa del coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e gli attacchi e gli insulti ad una giornalista dell'Unità, Claudia Fusani. Uno spettacolo triste, al quale, come spesso succede ha partecipato anche qualche collega (in questo caso il direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, amico di Verdini).
Entrerà mai nel dna dei politici italiani di ogni colore e posizione politica il tema del rispetto per i giornalisti e, di riflesso, per il cittadino elettore. Mi chiedo cosa succederebbe in Italia davanti ad inchieste come quelle proposte recentemente dal Washington post sulla rete top secret americana costituita dopo gli attentati dell'11 settembre o sulla pubblicazione di centinaia di documenti riservati del Pentagono dal sito Wikileaks.com.
Certo, il rispetto tanti giornalisti italiani forse lo hanno perso da tempo e non fanno molto per riconquistarselo, ma i politici, forse, ne hanno avuto sempre troppo poco per il giornalisti e per la gente. Con buona pace del popolo elettore.

La conferenza stampa

mercoledì 28 luglio 2010

Wikileaks, la potenza della rete e l'assicurazione sulla vita del giornalismo

Giornalismo-scientifico e info-vandalismo. I commentatori si dividono  su wikileaks.org e sul suo fondatore il 39enne Julian Assange (nella foto), australiano di nascita apolide per necessità di sopravvivenza, rappresentante del giornalismo senza fissa dimora come impone l'idea di una rete libera da condizionamenti e divieti. Wikileaks, sito specializzato nel raccogliere e pubblicare documenti segreti di ogni parte del mondo ha pubblicato il suo Kabul war diary un saccheggio di documenti riservati del Pentagono che raccontano di una guerra in Afghanistan dai tanti punti oscuri, una guerra mai detta, tra massacri di civili, missioni segrete, squadre di pronto intervento sotto copertura "cattura o uccidi". Ha messo insomma in una scatola di vetro le cose inconfessabili di una guerra sporca, come lo sono tutte le guerre.
I più cinici spiegano che Wikileaks ha scoperto l'acqua calda documentando che la guerra è un inferno, altri minimizzano spiegando che si tratta di cose note. Certo è che gli Usa sono preoccupati e il Pentagono ha fatto aprire un'inchiesta penale sulla più grande fuga di notizie degli ultimi anni.
La vicenda, però, ci da conto, se ancora ve ne fosse bisogno, della potenza della rete, della potenza di uno strumento che, nonostante i tentativi di limitarne l'impatto (dalle varie leggi bavaglio ai bizzantinismi autorizzativi che molti stati impongono), continua ad essere una prateria di libertà perchè ci sarà sempre un'Islanda (a quanto sembra l'ultima dimora dei server di Wikileaks e del suo fondatore) tollerante al punto di non porre limiti alla denuncia civile, alla libertà di informazione, che, è il caso del sito di Julian Assange, trova anche benefattori che con una serie di donazioni lo mantengono in vita.
La rete insomma appare come la grande coscienza critica del mondo, spiegandoci, ad esempio, gli orrori di una guerra che va male e sulla quale si fatica trovare una exit strategy onorevole. Ma è vero giornalismo di inchiesta quello di Wikileaks? Secondo me no, trattandosi di un puro e semplice collettore di documenti (sulla guerra in Afghanistan, ci spiega il sito, ve ne sono oltre 75 mila) ai quali manca la mediazione giornalistica che ne sappia interpretare e decifrare i codici, che sappia ricostruire in una sintesi  credibile e approfondita una storia, che sappia masticare i file top-secret per trasformarli in un'inchiesta accessibile anche a chi non ha conoscenze e competenze, ovvero il lettore medio.
Questo, secondo me è fare giornalismo (è anche l'assicurazione sulla vita della nostra professione), questo rimane un ruolo che nessuna rete e nessun reporter diffuso può sostituire. Certo è che la competenza e la preparazione di un giornalista e la spregiudicatezza di un hacker anarchico come Assange possono far paura a chiunque. Ma del resto, diceva, Bogart: "E' la stampa, bellezza".

Ecco come The guardian ha elaborato i documenti di Wikileaks

martedì 27 luglio 2010

La Chiesa e la testimonianza negli anni della bufera

Premetto che questo post affonda nel personale, ma mi piace condividere con voi una testimonianza. Circa un mese fa (il 28 giugno) a Cologne, paese della Franciacorta, moriva, alla soglia degli 80 anni, un sacerdote: don Stefano Costa. Quel sacerdote, 57 anni di ministero alle spalle in mezza provincia di Brescia, era mio zio. Particolare insignificante se non fosse che questa condizione parentale ti permette di toccare con mano tutta una serie di attestati di solidarietà e affetto che altrimenti non sapresti cogliere. E non mi riferisco tanto ai gonfaloni dei comuni nei quali è stato parroco e ai sindaci in fascia tricolore in prima fila ai funerali, ma ai tanti che hanno pregato accanto alla stola ripiegata sulla sua bara, alla vecchina malferma sulle gambe che mi ricordava come lui fosse piccolo di statura, ma grande nell'animo, nella capacità di ascolto, nel dire quella parola saggia che placava cuori sofferenti, animi disorientati. Lui ha voluto essere sepolto tra la gente dove aveva prestato il suo ultimo ministero, il segno estremo di una chiesa per le persone, fra i bisogni (e mettendo ordine nelle sue carte, in quel difficile lavoro di ricostruire una vita, ho capito a quanti bisogni, spirituali e terreni negli anni abbia saputo andare incontro nel cammino a fianco di tanti parrocchiani).
Non è un periodo facile per la Chiesa, stretta tra gli scandali, la crisi delle vocazioni e spesso la difficoltà di interpretare una società che cambia. Su questo blog abbiamo parlato in più di un'occasione anche in termini critici delle contraddizioni e del dibattito che si è aperto all'interno della Chiesa, italiana e bresciana. Un contributo al discussione su un tema che, da cattolico maturo, mi sta molto a cuore.
Proprio per questo voglio concludere il mio post di oggi con una testimonianza. Mio zio ci ha lasciato una discreta mole di appunti, pensieri, pagine del diario di una missione sacerdotale che mi piacerebbe riordinare mettendo insieme i pensieri più significativi. Fra le carte ecco anche il suo testamento spirituale, il "report" di fine missione. Parole rivolte più che all' "amministratore delegato" agli "operai della vigna", una vigna che ha bisogno di molto sostegno, di recuperare quello spirito autentico di essere chiesa e comunità, unita e in cammino con gli umili e con le famiglie. Parole semplici e intense, perchè lui era così  ("era semplice, sapeva parlare ai semplici, ma era un grande" mi ha confidato un suo confratello che nei primi anni di missione sacerdotale aveva accompagnato in seminario e che aveva sempre seguito nella sua avventura sacerdotale). Parole che, con un po' di timidezza, lo confesso, vorrei condividere con voi. Come se fosse la sua omelia di commiato, l'ultimo contributo ad una Chiesa in cammino, alla riscoperta di uno spirito antico, di una missione autentica...

 




“Tu mi ha sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre - mi hai afferrato e sei stato il più forte – come un fuoco divorante penetrato nelle mie ossa”
(Ger 20,7)

Mi ha sempre colpito questa frase del profeta Geremia e mi ha guidato nel mio cammino sacerdotale.
Ti rendo grazie, Signore, perché mi hai voluto, perché mi hai chiamato ad essere tuo sacerdote; perchè hai continuato a mantenere in me il tuo fuoco, anche se, purtroppo, a volte a corrente alterna non certo per la tua grazia e il tuo amore, ma per la mia pochezza e povertà.
Grazie soprattutto di aver incontrato tanti sacerdoti pieni di zelo che mi hanno orientato nel cammino di preparazione al sacerdozio ed a compiere i primi passi nella pastorale, a dedicarmi come loro, e nell’insegnarmi a mettere a disposizione la mia vita nelle varie comunità dove l’obbedienza del vescovo mi ha mandato. Ad esse ho cercato di dedicare il mio impegno. Le ho tutte nel cuore e con loro, come mi diceva un caro amico, ho fatto un tratto di cammino, cercando di andare verso il Signore.
Non so se sono stato sempre all’altezza del mio ministero: ci sono stati momenti di gioia e di serenità e momenti di difficoltà e incomprensione, ho sempre però cercato di essere sincero e coerente, di mettere pace e di portare un impegno di amore verso il signore e i fratelli. E’ difficile portare amore, comprensione, solidarietà, sentirsi uniti come membri di una comunità che deve camminare nel nome del Signore: è proprio questo che ho cercato di fare e vorrei chiedere alle varie comunità nelle quali ho esercitato il mio ministero di cercare di sentirsi sempre più unite, vivendo il senso della parrocchialità. Quanto bene si può fare insieme! Quanto è bello aiutarsi come famiglie cristiane, cercare di sentirsi protagonisti nell’impegno delle varie attività che la parrocchia propone, sia nel campo dei ragazzi, degli adolescenti che in quello degli adulti, degli anziani ed ammalati.
Quanto importante è anche l’impegno nella conoscenza e nella riflessione sulla “Parola di Dio”: è quella che diventa il motore della nostra vita cristiana e che porta ad incontrarmi con il Signore: nella Santa Messa, specie nel giorno del Signore, e nella preghiera personale e della famiglia.
Quando lasciavo la parrocchia dove avevo fatto il pastore dicevo: ci incontreremo in Paradiso! Anche al termine di questo mio scritto di nuovo dico a tutti: troviamoci nella gloria del Signore!
Vostro don Stefano

domenica 25 luglio 2010

Comuni e discriminazioni: Brescia, se il diritto è un optional

Dopo la sentenza di Adro che ha bloccato bonus bebè e il contributo per gli affitti perchè ritenuti discriminatori per i cittadini non comunitari, a Bresciaoggi abbiamo voluto fare un po' il punto della situazione ovvero capire quanto in questi mesi i comuni bresciani abbiano sottoscritto delibere poi impugnate perchè ritenute contrarie ai principi di uguaglianza. Sono una ventina i comuni - spiega Luca Canini su Bresciaoggi -  che si sono esibiti in decisioni discriminatorie finite nel mirino della Cgil e dell'associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, un pool di avvocati che si è preso le sue belle soddisfazioni in termini di riconoscimenti giuridici di diritti violati.
Da Brescia a Montichiari, da Ospitaletto ad Adro, passando per Chiari o Trenzano, talvolta è bastata una lettera di diffida per far rientrare la delibera, talvolta sono stati necessari cinque giudizi per vincere le resistenze dell'amministrazione. In ogni caso tutti i ricorsi (spesso contro bandi per l'assistenza sociale o requisiti per ottenere la residenza) sono stati vinti dai rappresentanti degli immigrati.
Alla luce di questo poco confortante bilancio vien da chiedersi cosa spinga i comuni a prendere decisioni che sin dalla nascita sono palesemente discriminatorie (sono valutazioni fatte dai giudici in molte sentenze). Probabilmente si tratta di propaganda, della necessità per l'amministrazione comunale di appagare  le istanze del suo elettorato, convinto, spesso a torto (talvolta, infatti, i numeri e le graduatorie dicono l'esatto opposto)  che via sia una sorta di favoritismo verso immigrati e stranieri. Ma questo giustifica scelte palesemente contrarie ai principi di uguaglianza. L'ultima foglia di fico utilizzata dai sindaci scomoda il consenso elettorale, spiegando che sono gli elettori a dare la linea e ad autorizzare le conseguenti decisioni amministrative (su questa tesi si è espresso anche il parlamentare leghista Davide Caparini che ha spronato il compagno di partito e sindaco di Adro a continuare fino in fondo la sua battaglia). A questi amministratori, tanto volonterosi nell'assecondare il proprio elettorato (spesso limitandosi a fare copia e incolla da delibere - tipo diffuse dal proprio partito di riferimento) verrebbe voglia di spiegare come non sarebbe male mettere un pizzico di quella buona volontà anche in un ripassino della storia repubblicana. In particolare andrebbe ripassato lo spirito con il quale i padri costituenti lavorarono alla prima parte della Costituzione, quella dei grandi diritti e dei grandi doveri.
Quei signori che avevano portato l'Italia fuori dalla dittatura e fuori da una guerra che l'aveva messa in ginocchio erano comunisti, socialisti, democristiani, azionisti; erano di destra e di sinistra. Insieme, però, convenirono che per costruire una casa solida che resistesse ai colpi di vento, bisognava darle fondamenta solide e condivise che sopravvivessero alle stagioni della politica e ai suoi eccessi, alle maggioranze e al populismo. Nacque una Costituzione che sancisce diritti precisi e che nessuno in questa sua prima parte si è mai sognato di modificare, tantomeno a colpi di maggioranza.
A Brescia, par di capire, tira aria diversa. Un'aria che sta spazzando via un po' della nostra storia democratica. Dimenticando anche la storia di un uomo che grazie ai colpi di una maggioranza riformò uno stato in senso totalitario. Il suo nome era Benito Mussolini...

sabato 24 luglio 2010

Martinazzoli-pensiero: ecco l'intervista integrale da Liberal

Ecco l'edizione di oggi di Liberal dove a pagina 4 puoi leggere l'intervista integrale a Mino Martinazzoli, di cui nel post precedente avevamo offerto un'ampia anticipazione di agenzia. Buona lettura...

Liberal, 24 luglio 2010

Martinazzoli, Berlusconi e il nuovo che avanza

Proprio ieri ho parlato di Martinazzoli nel post sulla sentenza che ha bacchettato il comune di Adro. Un Martinazzoli che, basta leggere il suo libro "Uno strano democristiano", non si tira indietro quando si tratta di fare valutazioni sulla politica contemporanea, sul nuovo che avanza.
Giusto poche ore fa  l'Ansa ha diffuso l'anticipazione di una lunga intervista che verrà ospitata oggi sul quotidiano Liberal: come sempre una sferzante, acuta e impetosa analisi che vale la pena di essere letta.
In attesa di curiosare fra le pagine del quotidiano ecco l'anticipazione d'agenzia.

Con una spietata e sferzante analisi sul vuoto della politica attuale Mino Martinazzoli commenta le vicende degli ultimi giorni, dalla P3 alla crisi dei partiti e del Pdl in particolare. Lo fa in un’intervista che sarà pubblicata domani dal quotidiano «Liberal» e in cui non risparmia pesanti giudizi su Berlusconi: «Purtroppo ha trionfato già tanti anni fa l’antipolitica: l’idea cioè che l’analisi politica fosse un inutile orpello, che i partiti fossero degli oggetti d’antiquariato, e che bastasse essere un buon imprenditore per governare il Paese. Una volta nel 1994 incontrai Silvio Berlusconi e cercai di spiegargli che fare politica significava fare gli interessi degli altri e non i propri. Non ebbi successo. Viviamo una situazione in cui da un lato viene da pensare - parafrasando Gobetti - che Berlusconi sia l’autobiografia della Nazione, ma anche che Berlusconi abbia determinato un tale degrado riuscendo a tirar fuori il peggio dagli italiani. E allora potremmo arrivare ad affermare che la Nazione è l’autobiografia di Berlusconi».
L’ex segretario della Dc prova sensazioni al limite del disgusto davanti agli ultimi avvenimenti: «Quando mi domandano dove vivo, rispondo: a Brescia, in Svizzera. L’Italia preferisco guardarla da lontano anche se non ho mai avuto la tentazione in tutta la vita di fare l’antitaliano. Per quanto riguarda la cosiddetta questione morale, credo che dovremmo cominciare ad usare parole meno nobili: si tratta di volgari furfanti. Sarebbe un errore ritenere ciò che accade oggi una ripetizione di Tangentopoli. Allora si rubava perchè c’era un troppo di politica, ora si ruba perchè non ce n’è più niente. Allora le tangenti in larga misura servivano a finanziare i partiti, ora ad arricchirsi personalmente. L’illecito si è privatizzato".
Rispetto alle sempre incombenti rivelazioni sui patti tra Stato e Cosa nostra, Martinazzoli dice di guardare con grande cautela alle indiscrezioni che circolano: "ricordo che quando ero ministro della Giustizia ebbi alcuni colloqui con Falcone e non posso dimenticare il pragmatismo col quale parlava di queste cose. Non amava i proclami, si muoveva con concretezza, passo dopo passo. E quando qualcuno nominava il ’terzo livello' faceva un sorrisetto ironico. Quanto alla P3 mi sembra una definizione caricaturale, ma non ha nulla a che vedere con la Massoneria ed è profondamente diversa dalla P2. La P3 è semplicemente una cricca. Il messaggio finale rivolto ala classe politica in generale è spietato. Tanti anni fa Prezzolini voleva metter su la conventicola degli ’apoti', di quelli cioè che ’non la bevono'. Questa posizione appariva l’anticamera del qualunquismo. Oggi io vorrei far nascere la conventicola di quelli che non la danno a bere".

venerdì 23 luglio 2010

Adro, il Comune invoca la volontà degli elettori, ma per i giudici discrimina

Dopo le polemiche sulla mensa negata agli indigenti (caso che divide ancora e ha portato nel caos l'associazione dei genitori che gestisce il servizio, che ora deve fare i conti con un doppio direttivo, uno dei quali sponsorizzato dal sindaco)  il Comune di Adro torna alla ribalta delle cronache per un altro atto ritenuto discriminatorio: aver negato il bonus bebè e il contributo per l'affitto ai cittadini non appartenenti all'Unione europea.
Per i giudici quei regolamenti emessi dal comune sono illegittimi perchè discriminatori, perchè non è possibile prevedere delle prestazioni sociali che vengano erogate con criteri che valutino i requisiti di ammissione in base alla razza, così come, al contrario, prevedevano gli amministratori adrensi che, addirittura, riservavano il contributo per i nuovi nati solo a genitori coniugati (e le ragazze madri?) e a cittadini entrambi comunitari (escluse quindi le coppie miste). Il giudice del tribunale di Brescia si è limitato a ribadire ciò che aveva detto e scritto in altri provvedimenti analoghi cassati ad altre amministrazioni della provincia (in questi anni è stato un fiorire di delibere discriminatorie), ma nella sua sentenza (che riproduciamo qui sotto) fa un curioso riferimento alla memoria presentata dai legali del Comune, memoria  nella quale si sostiene che non si violerebbe il principio di parità di trattamento in quanto i regolamenti contestati sarebbero in sintonia con la "linea di governo locale premiata dal corpo elettorale locale". Una tesi talmente ardita che potrebbe finire per giustificare qualsiasi comportamento in barba all'etica e alle leggi.
Sul punto mi viene in mente una frase che ho letto nell'autobiografia di Mino Martinazzoli dal titolo "Uno strano democristiano": "La maggioranza governa non perchè ha ragione, ma ha ragione di governare perchè è maggioranza". Un concetto, però, forse troppo complesso per qualche amministratore locale.

La Sentenza Contro Adro

giovedì 22 luglio 2010

Quote latte: che brutto spettacolo

Con ritardo (complice qualche problema di connessione Adsl ora si spera risolto) vorrei parlare di quote latte. Una vicenda triste che la dice lunga su quanto la politica italiana abbia il fiato corto in termini di prospettiva e di lungimiranza sulla politica economica.
Attorno al tema delle quote si è detto e scritto molto in questi anni e si è anche molto indagato su un meccanismo che ben presto è risultato inquinato da una serie di manierismo talmente farragginosi da creare spazi per pasticciati tentativi di commercializzare le quote (attraverso, ad esempio, contratti di soccida) e per escamotage al limite della truffa. Chi non ha la memoria troppo corta si ricorda la relazione di una apposita commissione di indagine che ha evidenzato stalle senza vacche ma con tante quote e stalle con vacche ma con pochi certificati di produzione. Chi non è troppo smemorato si ricorda pure come molti rappresentanti delle categorie abbiamo all'inizio tranquillizzato gli iscritti dicendo: "producete, producete, poi una soluzione si troverà".
Se si è partiti con il piede sbagliato, però, ciò non giustifica il triste spettacolo di difesa dei furbi (pochi) che ancora si ostinano a non pagare le multe e per i quali la Lega cerca di dilazionare, contro il parere di tutti (è di ieri il no della camera all'emendamento), i termini di pagamento, rischiando l'infrazione dell'Unione Europea. Perchè la Lega fa questo? Basterebbe dire che fra i più grandi sforatori di quote ci sono anche ex parlamentari del Carroccio o che attorno ai Cobas latte qualche leghista ha costituito e proprie fortune politiche ma non solo. Ma c'è dell'altro, c'è ad esempio l'interessante analisi che nei giorni scorsi ha fatto sul Corriere Dario Di Vico in articolo dal titolo sufficientemente esplicativo: "Quote latte, una vicenda che paghiamo tutti".
Spiega Di Vico: "Stavolta il Carroccio sta usando male il potere di veto che si è assicurato e ha ragione invece il ministro Giancarlo Galan che da giorni si sbraccia quasi in perfetta solitudine per richiamare alla coerenza una coalizione di governo che fa finta di non vedere. Forse proprio per evitare di contraddire i proprietari dell’azione d’oro. La Lega in realtà sta rischiando di far pagare al Paese una scelta miope, quella di difendere sempre e comunque l’interesse immediato di piccole porzioni del proprio elettorato. I Cobas del latte sono costati già all’Italia all’incirca quattro miliardi di euro ai quali andrà aggiunto l’ammontare della maxi-multa (i pessimisti la stimano in un miliardo) che ci comminerà Bruxelles dopo l’apertura di una procedura di infrazione. Eppure Bossi insiste ed è disposto anche a far votare dalla maggioranza un atto di governo che serve nella buona sostanza a coprire l’impunità degli allevatori. E così facendo dimostra che pur possedendo la golden share gli manca una «leganomics », un orientamento di politica economica credibile che metta al riparo il suo stesso partito dalle pressioni delle micro- lobby".
E aggiunge impietoso: "La verità è che il sindacalismo di territorio sta mostrando la corda, si dimostra un alfabeto politico- culturale insufficiente di fronte alle sfide che il dopo-recessione impone. Prendiamo il delicato tema del rapporto tra banche e territorio. In Veneto i leghisti chiedono ai grandi istituti di credito presenti in regione di sfornare una tabellina, il rendiconto ragionieristico tra raccolta e impieghi su base micro-territoriale. In questo modo si dimostrerebbe o meno il supporto all’economia locale. Ma se le banche, parafrasando il famoso esempio di Lord Keynes, spendessero i soldi per far scavar buche, riceverebbero comunque l’applauso leghista? Purché tutto avvenga nel giardino di casa, non rimangono obiezioni di merito da avanzare? Viene da dire che forse ha più senso incalzare il sistema creditizio perché aiuti i distretti a uscire dall’afasia, favorisca le reti di impresa e accompagni gli imprenditori ad essere protagonisti sull’arena internazionale. Del resto senza avere un’idea delle trasformazioni in atto anche l’ansia di conquistare poltrone nelle fondazioni bancarie appare come la stanca ripetizione di vecchi moduli. L’economia locale c’entra poco".
Mi sembra un'analisi interessante che mi piace condividere con voi. Mi sembra la riprova che la miopia politica confonde ancora l'attenzione al territorio con la tutela degli interessi di chi pascola nel proprio orticello. Faremo mai un salto di qualità?


 

Quote latte. Pd. 'Chi ha sbagliato deve pagare'
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Quote latte, la protesta degli allevatori e di Onestina...
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venerdì 16 luglio 2010

Ultime buone notizie




Il bello delle vacanze, che ormai sono agli sgoccioli, sta anche nel fatto che, finalmente si finiscono libri iniziati da settimane. E' il caso di "L'ultima notizia", saggio dei giornalisti Massimo Gaggi e Marco Bardazzi (Rizzoli) sulla crisi della stampa tra nuove tecnologie e recessione. E' un viaggio nell'America delle idee e dei giornali che chiudono attraverso progetti innovativi, sperimenti, pionieristiche intuizioni per rendere l'informazione economicamente sostenibile anche on line. Di tanti interessanti spinti mi sono annotato due passaggi. Il primo e' il pensiero di Walter Isaacson firma autorevole del giornalismo americano che, intervenendo nel dibattito sulla necessita' di far pagare i contenuti giornalistici on line, spiega che: "Far pagare i contenuti forzerà i giornalisti a essere più disciplinati: dovranno produrre cose a cui la gente attribuisce un valore reale. Alla fine scopriremo che una realtà liberante. Il bisogno di veder riconosciuto il valore da parte dei lettori - servendo in primo luogo loro - permetterà ai media di orientare di nuovo la loro bussola nella vera direzione verso la quale il giornalismo dovrebbe sempre muoversi".
Una prospettiva interessante per una professione sempre più capace di bearsi di essere megafono del potere piuttosto che la sua coscienza critica al servizio del lettore.
Il secondo concetto appartiene alla constatazione che la rete - come ha sostenuto qualcuno - rende stupidi, nel senso di incapaci di affrontare concetti articolati, di mettere in giusta evidenza le proprie capacita' critiche. "E' inevitabile - osservano gli autori del saggio - che chi lavora nel mondo dell'informazione non solo dovrà imparare a raccontare le storie in modo differente, ma dovrà cercare correttivi ad una evoluzione digitale del modo di comunicare che trasforma anche evidenti deformazione dei fatti in realtà generalmente accettate. Più che quella di padroneggiare le nuove tecnologie, insomma, potrebbe diventare questa la sfida più difficile e determinante; provare ad arrestare la deriva di un mondo che al paziente sviluppo di un'analisi, di un ragionamento, preferisce sempre più spesso la scorciatoia dello scontro, delle parole definitive. Una sfida forse temeraria per una professione giornalistica che vive anche una sua crisi etica, oltre alle difficoltà economiche e al rapporto sempre più difficile coi lettori. Problemi spesso affrontati cercando compromessi e facili scorciatoie: compiacere il lettore e' meno rischioso che stimolarlo".
Parole interessanti e sfide intriganti per chi ritiene questo mestiere ancora bello e appassionante.


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giovedì 15 luglio 2010

Acciaio




La classe operaia andrà mai in paradiso? E' la domanda di sempre e traspare anche dal libro-opera prima di Silvia Avallone: Accaio. Qui la classe operaia sta tutta attorno alla Lucchini di Piombino, a quel che resta di un colosso siderurgico nato per trasformare il minerale che arrivava dall' Ilva, il nome antico dell'Isola d'Elba, ed ora, sono notizie di questi giorni, alle prese con i morsi della crisi.



Mi e' capitato di scrutare la Lucchini dal largo di Piombino e appare proprio quell'inquietante mostro sputa acciaio che ingoia generazioni, sogni e famiglie, come lo descrive Silvia Avallone. Famiglie come quelle delle case di via Stalingrado, case operaie vista mare, come si conviene ad una amministrazione rossa vecchio stampo, dove sono ambientati le gioie, i dolori, gli amori raccontati in Acciaio da una che in quelle strade e' cresciuta, che nei personaggi del suo libro, dallo spinello e dalla "striscia" facile prima di mettersi al carro ponte o alla siviera, descrive gli amici di un tempo. E il paradiso? Dove sta
il paradiso in storie operaie da schiene rotte dalla fatica? Forse vicino, forse basta allungare l'occhio oltre lo scheletro dell'altoforno e guardare verso l'isola d'Elba. L'isola simbolo di una vita che non può essere solo disperazione. Come nelle tante vie Stalingrado d'Italia senza lustrini e senza veline.


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mercoledì 14 luglio 2010

Alcatraz, Tirreno




Eccola: 10 chilometri quadrati, trenta metri di altitudine massima, un Mar Tirreno stupendo a coccolarne i fondali, a sferzarne le coste. Eccola: un po' Alcatraz, un po' Guantanamo, un po' paradiso, un po' Inferno a seconda se stavi dentro o fuori da quel muro, un tempo a secco e non invalicabile, poi alto e turrito, tutto grigio-verde da massima sicurezza.




Siamo a Pianosa, oggi gioiello naturalistico dell' Arcipelago Toscano a turismo limitato, ma fino al 1998/99 Colonia penale e Carcere di massima sicurezza. La struttura penitenziaria e' ancora li' abbandonata come il resto delle poche case civili sferzate e corrose dal vento, rimesse in sesto qua e la' più per ragioni di sicurezza che per un disegno complessivo di recupero di un'isola interamente demaniale, senza residenti e con qualche domiciliato temporaneo tra i presidi di Croce Rossa, Forestale, Carabinieri, Guardia costiera e Polizia Penitenziaria che si avvicendano sull'isola ogni martedì, giorno in cui il traghetto della Toremar tocca l'isola a sud ovest dell'Elba.
Fa un certo effetto ripercorrere la storia di questo luogo, carcere sin dai tempi del Granducato di Toscana, Colonia agricola all'avanguardia (qui entro' in funzione la prima mungitrice meccanica d'Italia) e poi Alcatraz del Tirreno, pronto ad accogliere terroristi e mafiosi negli spazi severi del 41 bis, il carcere duro dell'emergenza, il pugno di ferro dello Stato dei momenti difficili, delle risposte sena appello.



Oggi i segni di quella severità si perdono nei campi incolti dell'ex Colonia agricola popolati da fagiani e pernici e la metafora della politica carceraria dello Stato (che fra le tante proposte ha anche pensato di risprire Pisnosa) osembra stare tutta nelle transenne che bloccano l'arco d'accesso al penitenziario: quell'arco e' pericolante e rischia di crollare addosso all'ignaro passante.



Ma c'è anche un filo di speranza accanto a quelle mura: si chiama cooperativa San Giacomo ed e' formata da detenuti del carcere di Porto Azzurro. A Pianosa cucinano per guardie ed escursionisti in un ristorante dove vendono anche magliette. "Carcere di massima sicurezza, Pianosa: visto per censura" si legge sulle t-shirt (ne esiste anche un modello con gli strass per le signore). Mancano le tazze griffate, poi sembra proprio di stare al coffee-shop di Alcatraz, ma qui la speranza del riscatto fa sembrare tutto più bello.


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lunedì 12 luglio 2010

Lettere: Caro dottor Marchionne




Caro dottor Sergio Marchionne,
giorni fa i giornali hanno pubblicato la sua lettera alle "persone" della Fiat dopo la firma dell'accordo su Pomigliano e la Panda. "Vi scrivo da uomo che crede fortemente che abbiamo la possibilità di costruire insieme, in Italia, qualcosa di grande, di migliore e di duraturo". Parole che le fanno onore in tempi in cui, sono cronache di questi giorni, imprenditori sono finiti in galera per aver ridotto sul lastrico un'azienda e i suoi dipendenti in un preciso disegno di depauperamento di un patrimonio societario in totale spregio di chi in quell'azienda (l'Eutelia) lavorava. "Quello che noi stiamo cercando di fare con il progetto "Fabbrica Italia" e' (...) colmare il divario competitivo che ci separa dagli altri paesi e garantire all'Italia una grande industria dell'auto e a tutti i nostri lavoratori un futuro più sicuro".
Parole importanti e rassicuranti in giorni in cui un'azienda come Telecom, dopo i rally di borsa dei tempi d'oro (da bresciano conosco qualcuno di quei piloti spregiudicati oggi fermi ai box ) e nonostante gli utili macinati negli anni annunciano migliaia di esuberi da bruciare entro il prossimo giugno. Alle contestazioni che hanno portato un sindacato come la FIOM a non firmare l'accordo lei risponde pacato che: "Le regole della competizione internazionale non le abbiamo scelte noi e nessuno ha la possibilità di cambiarle. L'unica cosa che possiamo scegliere e' se stare dentro o fuori dal gioco". Capisco, dottor Marchionne, che le regole del gioco non le fa la Fiat, ma proprio a lei, che e' riuscito pochi giorni fa a far cambiare idea sull'operazione Chrysler a quegli scettici analisti del Wall Street Journal, mi permetto di chiedere uno sforzo in più. Di questi tempi
troppo spesso abbiamo la tendenza a considerare alcune conquiste fatte da tante generazioni di lavoratori e di illuminati imprenditori come dei privilegi, degli intollerabili agenti corrosivi della competitività. E non e', mi creda, una questione di monte ore straordinarie o di minuti di pausa: e' una cultura del lavoro che non si può cancellare solo perché nel mercato globale c'è chi sta peggio. Sa, dottor Marchionne, sono un inguaribile sognatore e, leggendo le sue parole, mi sono convinto che ai sogni crede un po' anche lei. Sa, dottor Marchionne, io credo che un mondo migliore e' possibile e che non e' l'Italia che deve arrivare sempre più ad assomigliare alla Polonia, ma e' la Polonia che deve poter mettere a frutto quelle conquiste che hanno fatto grande l'Italia. Utopia? Forse. Ma mi piacerebbe, dottor Marchionne (mi rivolgo a lei perché mi sembra uno con i numeri per le "mission impossible") che la prossima opera di lobbing su chi le regole le fa non sia per lucrare l'ennesimo incentivo, l'ennesimo aiuto, ma per cercare di costruire "il futuro che vogliamo". Un futuro - sono parole sue - "diverso e migliore per i nostri figli e i nostri nipoti". Un futuro dove, lei converrà, nessuno mai piu' potrà chiamare, nel nome del mercato globale, le "conquiste" "privilegi". In Italia come in Polonia.

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Location:Via dei Cavalleggeri Nord,Bibbona,Italia

venerdì 9 luglio 2010

Torno subito




Questo blog aderisce alla giornata del silenzio contro la legge sulle intercattazioni telefoniche e ha pure esaurito il bonus connessione della settimana. Buon week end...


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giovedì 8 luglio 2010

Giornalisti




Oggi i giornalisti dei quotidiani sono in sciopero, domani lo faranno quelli di radio, tv, siti Internet affinché il silenzio sia totale in difesa del diritto di ogni cittadino di essere informato e il dovere di ogni giornalista di fare il suo mestiere. Principi elementari che così semplici non sono per chi ci governa, che vuole con una legge senza precedenti far tacere i giornali e quel che e' peggio mettere i magistrati
nell'impossibilita' di lavorare con efficacia contro il crimine, con una serie di paletti allo strumento delle intercettazioni telefoniche.
Attorno alla protesta i giornalisti italiani hnno ritrovato un minimo di unita' anche se domani qualche giornale sara' in edicola spiegandoci che non ha senso imbavagliarsi per protestare contro la legge bavaglio. Forse, ma a me sembra che queste testate abbiano scelto di non aderire allo sciopero per onorare un solo principio, quello del bilancio: una supertiratura in regime di quasi monopolio e' per i bilanci difficili di molte testate una tentazione alla quale e' difficile dire di no. Peccato era l'occasione giusta per dure che, nonostante le apparenze, la categoria non e' in vendita.


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Location:Bibbona, Italia

mercoledì 7 luglio 2010

Tagada'




La serata promozionale a un euro al Luna Park e' come il 3 per 2 dei petti di pollo al supermercato vicino casa, lo scudo fiscale per chi ha portato i soldi in Svizzera: un'occasione alla quale e' difficile dire di no. Così ieri serata al Tagada', roba per adolescenti dove l'iniziazione alla vita adulta non sta piu' nella prova di coraggio in piena foresta, ma nel stare in piedi al centro della pedana della giostra mentre le casse sparano a paletta "Waka waka" di Shakira. Ecco l'Italia del futuro: il 14enne vestito come un amministratore delegato all'ora dello Spritz, camicia maniche lunghe due giri sopra i polsi e mocassini; la coetanea che sogna uomini e donne, miniabito, trucco da uniposca e quella che vuol fare la valletta prima e l'europarlamentare poi, strizzata in un top da terza abbondante. C'è anche il tamarro che sogna da rapper ma che e' destinato all' altoforno, perché ormai quello che gli esperti chiamano ascensore sociale in Italia non c'è più. Stanno tutti al centro della pedana, saltano, ballano si impegnano come fossero ad un test d'ingresso alla Bocconi: si giocano il loro futuro da adolescenti, la loro prossima conquista, l'esito di questa serata al mare.



Il Tagada' sbuffa, si gira, si impenna come un toro meccanico e poi frena di schianto: fine corsa. L'amministratore delegato, la valletta, la tronista e il tamarro se ne vanno insieme. Io e mia moglie li guardiamo: messi insieme hanno poco più della nostra eta' e la spavalderia di chi sul Tagada' sta al centro della pedana e guarda quelli ancorati sui sedili dall' alto in basso. Guardo mia moglie che si e' fatta le sue belle serate sul Tagada' quando in paese c'era la fiera e le sussurro in un orecchio: "chi glielo dice che troppo Tagada' da giovani fa venire la discopatia da vecchi?"....



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martedì 6 luglio 2010

Il miracolo delle monetine nell'estate della crisi




"Papa', perché non siamo siamo andati in vacanza in Puglia?" In effetti i progetti erano quelli, ma il piccolo non e' stregato dal turchese delle spiagge del Salento, ma dalla notizia del giorno: un camion si ribalta in autostrada a Cerignola e spande sulla carreggiata il suo carico fatto da due milioni di euro in monete da 1 e due euro. Ancor prima di soccorrere i feriti parte il saccheggio: oltre diecimila euro finiscono sui sedili e nei bauli degli automobilisti in transito. Di saccheggi ne ho visti molti, dagli scatoloni di tic-tac al carico di detersivi finito nelle lavanderie delle case di mezza Bassa bresciana,ma questa e' la notizia di cui molti vorrebbero essere comprimari silenziosi e furtivi. Mio figlio sorride e gia' fantastica scene da Paperon de' Paperoni con bagno nei dubloni approfittando in una falla del deposito del ricco e tiranno. I giornali fantasticano di vacanze in Salento pagate con un sacco di monetine da uno e due euro, come se l'ignoto turista avesse rubato in chiesa. Invece ha vinto la sua personale lotteria fatta di fortuna e intraprendenza. Un po' come la vita in questi anni non facili.
Bella la notizia delle monetine, merita, almeno per ora, l'oscar della migliore dell'estate.
Del resto, tra le cronache non trovo di meglio.
Sfoglio il giornale e leggo che a Brescia offrono un guanto monouso per andare in autobus, il profilattico contro le malattie socialmente trasmissibili, come il nero del posto accanto o la vecchina che ti sorride e vorrebbe attaccare bottone. Non insegnamo il sesso sicuro agli adolescenti, ma restare incinta sugli autobus di Brescia Trasporti sara' difficilissimo. Buona estate.

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lunedì 5 luglio 2010

In diretta dalla spiaggia




In queste settimane avrei avuto molte cose da raccontare, ma giorni difficili mi hanno tenuto lontano da questo blog. Cercherò di rifarmi dopo la meta' di luglio. Per ora vi scrivo seduto sulla spiaggia di Marina di Bibbona (Livorno) a due passi dalla casa sul mare di Beppe Grillo. Mi verrebbe da chiedergli come la mette ora che il suo movimento sta diventando un quasi partito e che nascono fra i militanti i primi mal di pancia con il leader.
In valigia mi sono portato l'opera prima di Silvia Avallone: Acciaio. Finalista al premio Strega, racconta di una vita operaia attorno alla Lucchini di Piombino. Vita agra di generazioni votate all'altoforno, di metalmeccanici Fiom che votano Forza Italia, perché a sinistra sono tutti sfigati, di adolescenti in fiore carichi di speranze nonostante i casermoni delle case operaie tutti cemento, afa e tossici. Lo specchio di una città in declino e se non ci fosse per il mare sembrerebbe di stare a Lumezzane o Cinisello Balsamo.
La sabbia e' rovente, i senegalesi sembrano non soffrire il caldo e per noi bresciani, ora che il Prealpino e' stato demolito, gli argomenti di conversazione si sono assottigliati. Prima erano tutti in Valtrompia d'inverno e in spiaggia d'estate, oggi la crisi morde duro come il sole di questo lunedì di luglio con ventiquattro gradi gia' alle otto del mattino e per loro e, tutto piu' difficile. E per noi? Vado a fare il bagno, che e' meglio. A presto.....

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