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mercoledì 28 luglio 2010

Wikileaks, la potenza della rete e l'assicurazione sulla vita del giornalismo

Giornalismo-scientifico e info-vandalismo. I commentatori si dividono  su wikileaks.org e sul suo fondatore il 39enne Julian Assange (nella foto), australiano di nascita apolide per necessità di sopravvivenza, rappresentante del giornalismo senza fissa dimora come impone l'idea di una rete libera da condizionamenti e divieti. Wikileaks, sito specializzato nel raccogliere e pubblicare documenti segreti di ogni parte del mondo ha pubblicato il suo Kabul war diary un saccheggio di documenti riservati del Pentagono che raccontano di una guerra in Afghanistan dai tanti punti oscuri, una guerra mai detta, tra massacri di civili, missioni segrete, squadre di pronto intervento sotto copertura "cattura o uccidi". Ha messo insomma in una scatola di vetro le cose inconfessabili di una guerra sporca, come lo sono tutte le guerre.
I più cinici spiegano che Wikileaks ha scoperto l'acqua calda documentando che la guerra è un inferno, altri minimizzano spiegando che si tratta di cose note. Certo è che gli Usa sono preoccupati e il Pentagono ha fatto aprire un'inchiesta penale sulla più grande fuga di notizie degli ultimi anni.
La vicenda, però, ci da conto, se ancora ve ne fosse bisogno, della potenza della rete, della potenza di uno strumento che, nonostante i tentativi di limitarne l'impatto (dalle varie leggi bavaglio ai bizzantinismi autorizzativi che molti stati impongono), continua ad essere una prateria di libertà perchè ci sarà sempre un'Islanda (a quanto sembra l'ultima dimora dei server di Wikileaks e del suo fondatore) tollerante al punto di non porre limiti alla denuncia civile, alla libertà di informazione, che, è il caso del sito di Julian Assange, trova anche benefattori che con una serie di donazioni lo mantengono in vita.
La rete insomma appare come la grande coscienza critica del mondo, spiegandoci, ad esempio, gli orrori di una guerra che va male e sulla quale si fatica trovare una exit strategy onorevole. Ma è vero giornalismo di inchiesta quello di Wikileaks? Secondo me no, trattandosi di un puro e semplice collettore di documenti (sulla guerra in Afghanistan, ci spiega il sito, ve ne sono oltre 75 mila) ai quali manca la mediazione giornalistica che ne sappia interpretare e decifrare i codici, che sappia ricostruire in una sintesi  credibile e approfondita una storia, che sappia masticare i file top-secret per trasformarli in un'inchiesta accessibile anche a chi non ha conoscenze e competenze, ovvero il lettore medio.
Questo, secondo me è fare giornalismo (è anche l'assicurazione sulla vita della nostra professione), questo rimane un ruolo che nessuna rete e nessun reporter diffuso può sostituire. Certo è che la competenza e la preparazione di un giornalista e la spregiudicatezza di un hacker anarchico come Assange possono far paura a chiunque. Ma del resto, diceva, Bogart: "E' la stampa, bellezza".

Ecco come The guardian ha elaborato i documenti di Wikileaks

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