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mercoledì 28 ottobre 2009

Crisi: se piovono lettere di mobilità...

E' uno stillicidio, 100 qui, 50 là, 200 nella grande azienda che era un marchio, una garanzia, del lavoro nella provincia di Brescia. Non c'è giorno che, in redazione, ci si sieda attorno al tavolo per la riunione di mezzogiorno e non si parli dell'ennesima crisi aziendale, dell'ennesima pioggia di lettere di mobilità. La congiuntura sta mettendo a dieta le aziende, le vuole agili e magre per entrare nei pertugi sempre più stretti di un mercato che non si capisce se è tornato a macinare profitti o se ha soltanto lucidato le vetrine che continuano a rimanere vuote. Così la liposuzione delle aziende si chiama mobilità, che sembra il nome di un ballo tradizionale, ma è il baratro nel quale, in questi mesi, stanno entrando centinaia di famiglie che dalla cassa integrazione, il coma farmacologico con il quale si è curato il malato grave, passano direttamente alla espulsione dal mondo del lavoro, come se si passasse dal sonno alla morte senza rendersene troppo conto.
Accompagni il figlio a scuola e senti il giovane ingegnere, in tuta come fosse un baby pensionato, che si sfoga: "Ho sempre pensato che male che vada con la mia laurea un posto da ingegnere a Milano lo trovo subito, ma adesso ci sono gli ex dipendenti Nokia che sono a spasso e anche per noi ingegneri è dura".
Guardi la palazzina vicino a casa tua è ricostruisci le vite di chi ci abita (giovani coppie, famiglie straniere) e scopri che quelli del primo piano, marito e moglie, due figlie, hanno perso il lavoro già da mesi (la loro multinazionale ha chiuso i battenti e si è ritirata in Germania a leccarsi le ferite della crisi del mercato dell'auto); che i vicini di pianerottolo, dopo mesi di lavoro non retribuito, un'agonia, ora con il crollo dell'edilizia è arrivata anche la fine delle certezze; sali al piano di sopra e il copione si ripete. Un disastro.
Cammini per strada con un'amico e questo ti dice: "Vedi quella coppia: lui ha perso il lavoro. Sono arrivati dall'India, sono educati e ben integrati, sono ormai mezzi italiani, ma forse dovranno andarsene se le cose non cambieranno".
Passi in auto nel nuovo centro commerciale, scheletri in cemento che avrebbero dovuto riassorbire i posti di lavoro persi altrove, e vedi negozi aperti qua e là, grandi immobili ancora deserti, poli di intrattenimento che avrebbero dovuto essere attivi da tempo, ma la cui inaugurazione è rinviata di mese in mese.
Ma ci stiamo veramente affrancando dalla crisi, come dicono alla tv? Ti guardi in giro e ti scappa un'imprecazione che suona come un De profundis. Piovono lettere di mobilità, governo...

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