martedì 22 febbraio 2011
La politica degli interessi e quella dei bisogni
Viviamo in un clima politico che ricorda il caos prima di un naufragio, il delirio di onnipotenza di chi governa la nave pronto a sacrificare equipaggio e suppellettili pur di non affondare, la danza macabra di chi è pronto a demolire ciò che tanti hanno costruito.
E' in questo clima di decadenza che Giovanni Cerruti per la Stampa ha intervistato Mino Martinazzoli, un uomo della Prima Repubblica che a 79 anni, nonostante qualche acciacco, ha saputo mantenere la lucidità del saggio, la franchezza di chi racconta una politica diversa, mandata in soffitta nel nome di una modernità della quale dobbiamo attendere ancora buoni frutti.
"Da questo momento (da quando Berlusconi entrò in politica, ndr) - racconta Martinazzoli - la politica non si occuperà più dei bisogni, ma degli interessi: e quando ci sono di mezzo gli interessi vince sempre il più forte". Quella di Martinazzoli, come sempre, è un'analisi spietata e, purtroppo, vera: "Vedo un declino, non la via d'uscita. Noi, quelli che vengono definiti Prima Repubblica, tra il '92 e il '94 eravamo il bersaglio: i partiti erano vissuti come una cappa, la polemica era contro la partitocrazia, ma si avvertiva che c'era energia per qualcosa di nuovo. Ora c'è un bradisismo continuo. Il paradosso è che oggi, basta pensare alla legge elettorale, abbiamo una partitocrazia ferrea, ma senza partiti. Viviamo in una società liquida e la politica è gassosa: uno fonda un partito e il giorno dopo già si squaglia. Nei nostri c'era dialettica, c'era lo scontro di posizioni. Oggi uno prende e se ne va. Nella Dc sono stato quasi sempre all'opposizione, ma non mi sono mai sognato di andarmene".
La politica così diventa buona per i comici e gli scrittori. "I partiti non rappresentano più, si rappresentano: vanno in tv, dove magari un comico come Crozza fa il tiro al piccione con i rappresentanti del Pd e quelli ridono. Come i borghesi alle commedie di Pirandello: solo che loro andavano a teatro, non facevano politica. La politica in tv ormai la fanno meglio i comici. Ho visto Roberto Benigni a Sanremo e mi sono emozionato. E' stato un bellissimo discorso politico fatto da un comico anche questo è un segno della decadenza. Noi siamo cresciuti avendo riferimenti in intellettuali che erano maestri di autorevolezza. Certe volte, oggi, hai l'impressione che la politica non sia in grado di apprendere qualcosa che la riguardi. E' vero che un Togliatti con gli intellettuali era anche sprezzante, non si faceva certo dettare la linea da un Vittorini. Però è anche vero che non andava alla ricerca di un "Papa straniero", non c'era una Saviano... Insomma, ognuno faceva il suo mestiere".
E la via d'uscita? "Il rischio maggiore adesso è dare l'impressione di delegare la propria politica ad altri: ai giudici, al comico, a Saviano... Così si può cadere in una sorta di abdicazione che determina l'autocensura su certi temi. E' deprimente pensare che siamo condannati a questo, ma è una decadenza che deve finire. Noi non siamo fatti così".
E' in questo clima di decadenza che Giovanni Cerruti per la Stampa ha intervistato Mino Martinazzoli, un uomo della Prima Repubblica che a 79 anni, nonostante qualche acciacco, ha saputo mantenere la lucidità del saggio, la franchezza di chi racconta una politica diversa, mandata in soffitta nel nome di una modernità della quale dobbiamo attendere ancora buoni frutti.
"Da questo momento (da quando Berlusconi entrò in politica, ndr) - racconta Martinazzoli - la politica non si occuperà più dei bisogni, ma degli interessi: e quando ci sono di mezzo gli interessi vince sempre il più forte". Quella di Martinazzoli, come sempre, è un'analisi spietata e, purtroppo, vera: "Vedo un declino, non la via d'uscita. Noi, quelli che vengono definiti Prima Repubblica, tra il '92 e il '94 eravamo il bersaglio: i partiti erano vissuti come una cappa, la polemica era contro la partitocrazia, ma si avvertiva che c'era energia per qualcosa di nuovo. Ora c'è un bradisismo continuo. Il paradosso è che oggi, basta pensare alla legge elettorale, abbiamo una partitocrazia ferrea, ma senza partiti. Viviamo in una società liquida e la politica è gassosa: uno fonda un partito e il giorno dopo già si squaglia. Nei nostri c'era dialettica, c'era lo scontro di posizioni. Oggi uno prende e se ne va. Nella Dc sono stato quasi sempre all'opposizione, ma non mi sono mai sognato di andarmene".
La politica così diventa buona per i comici e gli scrittori. "I partiti non rappresentano più, si rappresentano: vanno in tv, dove magari un comico come Crozza fa il tiro al piccione con i rappresentanti del Pd e quelli ridono. Come i borghesi alle commedie di Pirandello: solo che loro andavano a teatro, non facevano politica. La politica in tv ormai la fanno meglio i comici. Ho visto Roberto Benigni a Sanremo e mi sono emozionato. E' stato un bellissimo discorso politico fatto da un comico anche questo è un segno della decadenza. Noi siamo cresciuti avendo riferimenti in intellettuali che erano maestri di autorevolezza. Certe volte, oggi, hai l'impressione che la politica non sia in grado di apprendere qualcosa che la riguardi. E' vero che un Togliatti con gli intellettuali era anche sprezzante, non si faceva certo dettare la linea da un Vittorini. Però è anche vero che non andava alla ricerca di un "Papa straniero", non c'era una Saviano... Insomma, ognuno faceva il suo mestiere".
E la via d'uscita? "Il rischio maggiore adesso è dare l'impressione di delegare la propria politica ad altri: ai giudici, al comico, a Saviano... Così si può cadere in una sorta di abdicazione che determina l'autocensura su certi temi. E' deprimente pensare che siamo condannati a questo, ma è una decadenza che deve finire. Noi non siamo fatti così".
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1 commenti:
Tristezza... (per la situazione)
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