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venerdì 10 giugno 2011

La pazza idea di Pisapia: metti una direttrice di carceri alla sicurezza

Questo pomeriggio sarà lo stesso Giuliano Pisapia, neosindaco di Milano, a dire se siano fondate le indiscrezioni di alcuni giornali che indicano in Lucia Castellano, direttrice del carcere di Bollate, come prossimo assessore alla Sicurezza di Milano (altri, minoritari, invece la vorrebbero con deleghe alla casa e demanio). Se così fosse un direttore di Carceri come Lucia Castellano sarebbe sicuramente una (insieme probabilmente al ridimensionamento pesante degli appetiti dei partiti sull'esecutivo) delle più importanti novità della giunta di Giuliano Pisapia.
Perchè? Perchè sui temi della sicurezza la giunta Pisapia avrebbe un approccio completamente diverso rispetto al passato e rispetto a tante giunte di destra o di sinistra.
Mi spiego: in molti comini hanno scelto l'assessore alla sicurezza come si sceglie un super poliziotto (in proposito si è fatto un largo uso di questori in pensione, generali dei carabinieri a riposo e uomini politici con il pallino dell'ordine e della disciplina e l'ambizione della visibilità ad ogni costo). In quest'ottica le proposte sulla sicurezza di una municipalità si sono tradotte in veri e propri provvedimenti di polizia di taglio repressivo: ordinanze coprifuoco, regolamenti di sicurezza urbana molto rigidi anche contro comportamenti che non sono potenzialmente criminogeni (dal gioco nei parchi, agli assembramenti in genere). Altrettanto frequentemente gli assessori hanno messo la divisa e partecipato attivamente all'attività dei vigili urbani sempre più diretta e indirizzata verso un ruolo di polizia. Tutti comportamenti in tema di sicurezza che talvolta sono anche stati censurati da organi giurisdizionali perchè travalicavano le competenze attribuite ad una amministrazione comunale su questi temi.
Ora, alla luce delle esperienze passate, un approccio esclusivamente poliziesco ai temi della sicurezza di una città è effettivamente efficace? I numeri sul punto dicono cose contrastanti e di lettura ambivalente, i fatti ci spiegano come, ad esempio, il pugno di ferro usato a Milano contro i nomadi non abbia risparmiato la  città dalla tragedia che ha visto morire un operaio di 28 anni travolto da un'auto, in fuga dopo una spaccata in tabaccheria, con a bordo alcuni nomadi minorenni.

Lucia Castellano
Non è arrivato il momento di tentare un approccio diverso?  Detto che le regole vanno rispettate, detto che la repressione e il compito di contrasto della criminalità piccola e grande è assolto con competenza, esperienza e collaudata capacità dagli organi di polizia tradizionali, non vale la pena investire sulla costruzione di un nuovo patto di legalità che si dipani tra educazione e rimozione delle criticità?
Chi conosce l'esperienza di Lucia Castellano a Bollate, i suoi libri, le sue idee improntate sull'umanità e la responsabilità, sa che potrebbe essere un buon assessore alla sicurezza. Bollate, inteso come carcere, è una città complessa, un domicilio coatto per delinquenti veri, ma non è un ghetto, l'inferno dal quale non si risorgerà mai. Bollate, lo dicono i dati, è, per tanti detenuti, un laboratorio per costruirsi una nuova vita, fatta anche di una presa di coscienza dei propri sbagli e di un rinnovato senso di legalità. Il tutto si concretizza in una esperienza che riduce le recidive al minimo, tanto che non vale per Bollata ciò che altrove è una triste realtà: il carcere è un luogo criminogeno, un posto dal quale si esce più delinquenti di come si è entrati.
E' una sfida complessa quella che Lucia Castellano ha intrapreso con successo a Bollate («Non è facile convincere a lavorare per 700 euro al mese chi, in un solo giorno di spaccio, ne guadagnava 1000. Ma la vera sfida è nostra: la cultura del carcere è ancora troppo autoreferenziale», ha detto la direttrice in un'intervista a La Stampa). Una sfida e un modello che potrebbe avere successo anche sperimentati in una città senza muri e sbarre come Milano. Parlare di sicurezza non esclusivamente in termini repressivi, ma in termini educativi e propositivi può essere la nuova sfida di una città che non mette il filo spinato attorno ai ghetti, ma li rende artefici del proprio destino, offre loro gli strumenti giusti affinchè sappiano costruirsi un futuro migliore, sappiano autoimmunizzarsi dai rischi criminali che da sempre si coltivano in seno.
Del resto, perchè non iniziare a fare dalla città, quello che esperienze illuminate come Bollate fanno solo alla fine di un percorso a tappe caratterizzato dall'espulsione dal tessuto sociale, da reati, processi e condanne? Potrebbe essere l'uovo di Colombo, anche se in termini di propaganda paga di più la paura e la repressione; potrebbe essere il segno più concreto di quel nuovo che avanza che ha il volto di Giuliano Pisapia. Le prossime ore e i prossimi giorni diranno se questa "pazza idea" avrà un futuro. Altrimenti, ne siamo consapevoli, sarà l'ennesima occasione persa.

Aggiornamento: Nel pomeriggio dell'11 giugno Giuliano Pisapia ha scelto la sua giunta (leggi qui le deleghe) a Lucia Castellano non è andata la sicurezza, ma le deleghe alla casa, al demanio e ai lavori pubblici. Fra le prime dichiarazioni di intenti, l'ormai ex direttrice del carcere di Bollate ha spiegato che le case popolari non devono essere necessariamente dei ghetti, che le periferie non devono trasformarsi in carceri per chi le abita. Una tesi da sottoscrivere.
L'assessorato alla sicurezza è andato a Marco Granelli, un giovane che ha lavorato molto nei quartieri, con il volontariato. Cambia il nome dell'assessore, ma non il principio ispiratore che vuole un concetto di sicurezza che parta, innanzitutto da una cittadinanza attiva che rimuova i disagi, da una comunità che grazie alla coesione affronti e risolva le criticità. La sicurezza è un processo da costruire insieme, con meno divise, forse, ma più educazione e maggiore consapevolezza dei doveri da parte di tutti.

Lucia Castellano parla di sicurezza e buongoverno



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