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mercoledì 17 novembre 2010

Processo Strage: l'ultimo insulto alla città ferita

(piazza Loggia: foto da Facebook)
Posto, a beneficio dei lettori di questo blog (spero che quelli bresciani l'abbiano già letto acquistando il giornale...), il mio commento sulla sentenza di assoluzione per la Strage di piazza Loggia, pronunciata ieri pomeriggio dalla Corte d'assise di Brescia, pubblicato nell'edizione odierna di Bresciaoggi. Una riflessione che mi pare giusto condividere con voi.

 L'ULTIMO INSULTO ALLA CITTA' FERITA.
Cosa resta dietro le lacrime dei famigliari delle vittime della Strage di piazza della Loggia, dietro il volto dolente di Manlio Milani, dietro gli occhi lucidi, dietro la rabbia soffocata, il pugno serrato, lo stupore nascosto a fatica in quell’aula di Palazzo di Giustizia? Cosa resta dietro le parole asciutte del giudice Enrico Fischetti, dietro quell’ «assolve» scandito a voce alta perchè non lasciasse fraintendimenti, dietro quel «articolo 530 secondo comma» (tecnicamente sta per prova insufficiente o contraddittoria), che ai profani può suonare come un «vorrei ma non posso» e ai più smaliziati come un verdetto che ha del pilatesco?
Già, cosa resta di 36 anni di impegno e speranze, di un processo durato 24 mesi, di una giustizia invocata ad ogni 28 maggio con caparbietà e fuor di retorica e di una risposta che con è mai arrivata?
Resta innanzitutto un grande vuoto, quel vuoto che in tanti ieri pomeriggio speravano di colmare, quella voglia di rendere onore agli affetti più cari, a mogli, fratelli, madri e padri. «È 36 anni che aspetto questo momento» diceva ieri pomeriggio una delle parti civili mentre si faceva largo fra cameramen e giornalisti che affollavano l’aula. Trentasei anni di speranze, che due paginette di dispositivo gli hanno sbriciolato tra le mani con una furia e una determinazione, che a molti sono suonate come un insulto. Un insulto alla memoria, un insulto ad una città ferita.
Cosa rimane di questa assoluzione che fa già gridare allo scandalo, anche se l'epilogo non giunge totalmente inaspettato? Rimane lo smarrimento di una città che non ha mai perso la speranza, che ha lavorato per tenerla viva, che ha investito sulla memoria come si investe sul futuro, che ha difeso con tenacia i progressi di un’inchiesta, che ha cercato la verità in mezzo mondo. Come dimenticare le iniziative parlamentari per modificare il codice di procedura penale dando ai magistrati bresciani più tempo per indagare? Come scordare le trasferte in Sud Africa della commissione parlamentare di inchiesta sulle Stragi per ascoltare il generale Gianadelio Maletti, o il faccia a faccia a Tokio tra Delfo Zorzi e Manlio Milani? Come non parlare dello sforzo di uomini e di mezzi per digitalizzare tutti gli atti dell’inchiesta consegnando alla storia un modello virtuoso in una giustizia che pare votata all’agonia perenne? Lo sforzo di una città, almeno per una volta, serenamente bipartisan, nella consapevolezza che il dolore per quella bomba è il dolore di tutti, così come lo sgomento dipinto ieri sulla faccia del sindaco Adriano Paroli e l’abbraccio dell’assessore Paola Vilardi a Milani sono l’affetto e lo smarrimento di una Brescia che per un giorno non ha colori se non quelli della rabbia.
Cosa rimane di questo verdetto che sembra un atto di incolpazione verso i silenzi e le assenze che hanno costellato le 166 udienze? Rimangono le macerie di uno Stato incapace di dare risposte esaurienti sugli anni più bui della sua storia, di tributare il giusto onore ai morti e di colmare la sete di verità dei vivi. Resta la consapevolezza di un’Italia che continua a non voler voltare pagina, che preferisce il segreto di Stato alla trasparenza, lo schiaffo alle vittime ad un percorso di riconciliazione.
«Abbiamo fatto il possibile» rifletteva ieri un legale di parte civile cercando di lenire lo sconforto che aveva attorno a sè. Ma forse in questa terribile storia, in questi 36 anni di processi, assoluzioni e polemiche, occorreva l’impossibile. Quell’impossibile che forse solo uno Stato maturo, capace di fare i conti con il suo passato di sangue, poteva dare.
Cosa resta dunque di questo pomeriggio di sconforto, annegato dalla pioggia? «L’inchiesta ha avuto almeno il pregio di ricostruire alcuni fra gli anni più terribili del Paese» ha sostenuto qualcuno quasi a volersi rinfrancare, nel deserto lasciato dalla sentenza, con l’ultima goccia di consolazione. Forse a Brescia ieri si sarà anche costruito la storia, ma si è sepolta la speranza. Una speranza chiamata verità.
Marco Toresini
(da Bresciaoggi di mercoledì 17 novembre 2010)

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