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mercoledì 10 novembre 2010

La lezione della gru: l'ospite Roberto Bianchi

Roberto Bianchi, bresciano, scrittore (bello il suo "La collana di perle finte") e osservatore attento e disincantato di ciò che ci circonda ha scritto le sue impressioni sugli uomini barricati sulla gru di via San Faustino. Mi sembra una riflessione intensa e Roberto ha accettato di condividere il suo pensiero con i lettori di questo blog. Eccolo:


Roberto Bianchi
ROBERTO E LA GRU (CHE NON E' QUELLA DI CHICHIBIO)
di Roberto Bianchi


Ci sono andato con l’animo di un bambino che si nasconda la  notte della vigilia , in salotto, per vedere chi sia realmente Babbo Natale. Sai com’è: quando ti raccontano una cosa  poco credibile il Tommaso che c’è in ognuno di noi ti spinge a verificarla.
Mi sembrava impossibile che qualche disgraziato dovesse stare appollaiato a molti metri da terra per  rivendicare il suo diritto ad esistere. E allora ho macinato qualche kilometro in bicicletta (abbiamo un’auto sola e la usa mia moglie per andare al lavoro) fino ad arrivare all’imboccatura di Via  San Faustino . Dove c’è la gru.
Mentre pedalavo nel freddo novembrino ho pensato alle gru e a Chichibio ,ed alla sua di gru condannata ad avere  una gamba sola dal 1300 agli anni del mio liceo ed oltre ,e per sempre. Poi ho pensato ai totem. E poi agli alberi di natale. Tutte cose verticali, come la gru. Ma la gru in questione è una cosa verticale che vigila su un buco, quello della stazione del metro bus. Un buco che  mi dice di tecnologia, ricchezza, egoismo, diffidenza, debiti.
Sono arrivato, ma  uno sbarramento di poliziotti impediva l’accesso a via San Faustino. Mi hanno detto che uno eguale impediva l’arrivo  ascendente da Piazza Loggia. Ho acceso una sigaretta, mentre pensavo al freddo di quegli uomini là sopra, ma anche di quelli giù sotto, quelli in divisa e casco appeso al cinturone, quelli che, coi manganelli che penzolano come un cazzo vuoto  e sterile,sono pronti a difendere l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. Quelli che spesso rischiano la vita per poco più di un migliaio di euro netti al mese.  Li guardavo e nelle orecchie avevo le parole e i modi del video visto in rete:”Caricate! Mi porti via questo signore, per favore. Anche quella ragazza: fermate quella ragazza!”. Rivedevo i manganelli all’opera. Gli uomini non sono tutti uguali. Non hanno tutti la stessa missione. C’è chi  per vivere deve accettarne di ingrate assai.
Mentre guardavo in alto ho sentito i commenti di alcuni passanti.”Bisognerebbe tirarli giù col 12” ( e si riferivano al fucile da caccia) “quei negri di merda che vogliono fare i padroni a casa nostra e rompono i coglioni” e mi sono sentito improvvisamente straniero a casa mia, perché non riconoscevo più i miei concittadini. E se non ti riconosci negli altri non sei più un concittadino: loro hanno una cittadinanza, tu un’altra. Per lo più, però, la gente passava senza alzare gli occhi al cielo, perchè oggi in cielo c’erano solo sensi di colpa da rimirare e soppesare: forse è meglio non guardarli davvero quei fantasmi neri  che passeggiano su una gru a trenta metri da terra . Forse è meglio non prendere in considerazione il fatto che quelli là, in questo momento, sono più vicini al cielo di quanto lo sia tu che cammini. E se credi che quel cielo più in alto sia la residenza di un essere superiore e giusto, bè, allora sono davvero cazzi.
Ho riflettuto su quello che si presenterebbe come un assedio: impedire il passaggio pedonale per non far filtrare viveri, sostentamento, messaggi, calore, a quei “negri di merda che vogliono fare i padroni a casa nostra”. E ho pensato a quanto sia delicata la democrazia, un meccanismo che si rompe come un  fragile vaso di cristallo, se solo lo tratti male.
Ho pensato a gente che ha lasciato casa,famiglia e affetti per venire a cercare un sogno possibile. E magari trasmetterlo a piccole rate, con il money transfert,  agli altri rimasti a casa.  Ma, giuro  che è vero, mentre guardavo attonito lo spettacolo surreale di gente che doveva fare un giro lungo per andare semplicemente in piazza Loggia ho visto un sacchetto che saliva sulla gru, per mezzo di una corda.  Non ho capito da dove fosse partito, ma l’ho visto che saliva come una speranza. Forse con qualcosa da mangiare, da bere, da fumare. Mi ha riscaldato il cuore  pensare che forse qualche agente s’è girato dall’altra parte, o si è acceso una sigaretta… chissà, una provvidenziale chiusura d’occhi..una telefonata d’amore col cellulare.
Questa gru non ha una gamba sola, come quella di Chichibio, e nemmeno due, come quelle che trovi in natura: questa è una gru meccanica e di gambe ne ha tante quante sono quelle delle persone che ci sono sopra. Questa gru è speciale, perché pur rimanendo ferma alla stazione del metro che canterà la Brescia ricca,moderna e d evoluta, con quelle gambe calpesterà le coscienze dei bresciani per bene.  E se succedesse l’irreparabile, questa gru avrebbe ancora più gambe: le mie e quelle degli altri come me. 
Saremo instancabili nel camminare sulle anime dei sordi…Non li lasceremo in pace.
Lo so che per i responsabili dell’ordine pubblico, per i politici, per gli amministratori pubblici sarebbe un problema creare un precedente. Lo so benissimo. Ma  il dialogo costituisce “i precedenti” di ogni cosa andata a buon fine, e questi precedenti si chiamano “ civiltà”:parlarsi è proprio dell’Uomo, e  dialogare è semplicemente tentare di capirsi affinchè almeno  la pietas entri  in azione, quella cosa che ti fa salvare un tuo simile in difficoltà semplicemente perché è giusto così.
Una cosa vecchia quanto l’uomo, direi.
Io sono ateo e non ho fratelli in cristo da accogliere. Però sono un cittadino, e so che tutte le dignità vanno rispettate, perché la dignità è come uno specchio e la propria altro non è che il riflesso di quella che  si riconosce nella persona  davanti a sé,  proprio come in uno specchio, sì.  E mentre li vedevo camminare in equilibrio precario ho sperato che nessuno cada da là sopra, perché sarebbe un macigno troppo pesante da portare, più di quello di Pilato, nei secoli dei secoli.
Quelli là sopra non sono spacciatori, non sono ladri, non sono teppaglia ed è la loro fortuna, perché possiamo almeno difenderli. Sono lavoratori, sono gente che ha creduto  nella possibilità di affrancarsi da un destino di merda che li voleva affamati  ed ultimi ad ogni costo, ma non sono nemmeno badanti, ed è un guaio: non ci sollevano dal disgusto di pulire il culo ai nostri padri, non ci esimono dall’incombenza di una passeggiata con i nostri vecchi e per loro, quindi, non si può far niente, perché non rientrano nei parametri stabiliti dalla legge, sono piuttosto inutili...  Sono clandestini, ho sentito, come se fosse possibile essere clandestini sulla Terra senza essere marziani.   E hanno la pretesa di essere ascoltati.  Ho cinquantatre anni ormai, forse un po’ rincoglionito, ma me la ricordo ancora,quand’ero giovane, la strofa: “sapesse contessa, all’industria di aldo, han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti “. E mi dispiace ricredermi, avevo ragione a vent’anni, quando ascoltavo le ragioni del cuore,e non adesso con il cuore che dovrebbe subire il vincolo della ragionevolezza.
Io credo che i politici e gli amministratori locali abbiano il dovere morale di farli scendere incolumi e aprire un dialogo: altro che denunciare il responsabile di “Diritti per tutti”. Io credo che si debbano portare giù da là sopra, se è vero che la vita viene prima di tutto.  E se c’è qualcuno che può fare da mediatore lo si utilizzi, per Giove. E’ la prima cosa da fare. Ero molto lontano, e quei negri di merda che rompono i coglioni mi apparivano come delle mosche, ma la sentivo forte la loro disperazione e mi raggelava ulteriormente.
Caro sindaco Paroli, caro ministro Maroni, se uno di quelli là cadesse, come fareste a gustarvi il cotechino natalizio in tranquillità? Le lenticchie che portano denaro e felicità…
Ho preso la bicicletta per ritornare a casa. E’ bello pedalare, perché pensi ai cazzi tuoi. Sono un semplice cittadino, ma  lo so che ciò che fa paura di quei negri di merda che rompono i coglioni è la loro povertà,e non il loro colore. E’ una povertà molto particolare, perché evoca anche la molteplicità di povertà individuali, che teniamo ben nascoste, che aleggiano nella nostra ricca ed operosa  terra.  Povertà da ricchi, magari, ma ogni povertà è dolorosa a modo suo.  E allora scacciamo quella degli altri, che ce la ricordano in modo così chiassoso ed ineducato la nostra, per scacciarle tutte, e dimenticarla.
Io, in questo  bipolarismo che è l’unico che esista da sempre e che una volta si chiamava lotta di classe, lo so da che parte stare. E almeno, anche se non è molto, con la mia coscienza sto a posto.
Ma mi chiedo come facciano i bresciani  cattolici e con il cuore in mano, quelli che si commuovono quando un bimbo bianco piange al parco, ad essere a posto con la propria di coscienza: con il doppio petto stirato e la doppia morale fluida; con i capelli ben pettinati e puliti e la testa ingombra della nebbia dell’egoismo, orfani sulla terra, senza alcun fratello da accogliere.  Come faranno mai, poveri loro, con le loro scarpe lucide senza strade da percorrere…
Pedalavo  nella zona nord della città e degli operai stavano allestendo le luminarie natalizie sui muri di un supermercato.  Alcuni erano neri, ma questi non rompevano i coglioni e non volevano fare i padroni a casa nostra. Non fumavano nemmeno, ed eseguivano in silenzio gli ordini . Del resto, proprio perché c’è la crisi bisogna cominciare a vendere per tempo: qualcuno che attacchi le lucine ci vuole, e se costa meno tanto meglio.
Anche questo natale qualcuno non si salverà.
Verranno accesi crediti al consumo per fare o farsi regali.
Forse verranno estinti i debiti accesi in precedenza.
 Le tredicesime, nonostante il clima evaporeranno come a ferragosto.
A forza di spumante e lenticchie, forse, riusciremo a dimenticare il destino che ci attende.
 E il 31 i sopravvissuti brinderanno al nuovo anno.

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