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venerdì 29 gennaio 2010

Esiste ancora il giornalismo di inchiesta: la sfida di Big Journalism

Al capezzale del giornalismo e dell'editoria si discute da tempo sul futuro del giornalismo di inchiesta, per alcuni morto e sepolto dal giornalismo delle conferenze stampa, dei comunicati e delle veline, per altri pronto ad una seconda vita, magari correndo lungo la rete.
Certo è che le difficoltà in cui versano molte aziende editoriali (soprattutto negli Stati Uniti) hanno sottratto risorse preziose a questo tipo di giornalismo che richiede tempo (spesso non legato ad una produttività quotidiana), uomini capaci e un budget che latita sempre di più. Così c'è già chi lancia l'idea di commissionare inchieste pagate direttamente dai lettori con una sorta di sottoscrizione a tema e c'è chi invece è pronto a rigenerarsi in una nuova interessante sfida.
 La nuova sfida si chiama, negli Usa, bigjournalism.com e la sua storia è stata recentemente raccontata da Anna Masera su La Stampa nella sua rubrica la Cucina dei giornali. La scommessa di bigjournalism sta tutta nella testa del giornalista-blogger americano Andrew Breitbart. Un professionista che in passato ha lavorato come editorialista del Washington Times, cronista del Drudge Report per poi dar vita a quattro blog giornalistici fra i più frequentati negli States. Breitbart spiega così la sua ultima creatura: «Punto sulla scommessa  - dice nella sostanza - che i media siano in guerra fra di loro. Grandi media contro piccoli media; vecchi media contro nuovi media; media di sinistra contro media di destra. La pratica del giornalismo non sarà mai più la stessa». Insomma ora i media, per sopravvivere, si contrappongono anche politicamente (l'esempio italiano è emblematico) a scapito di quel giornalismo che racconta storie e le interpreta in modo obiettivo. Insomma a detrimento della base primaria di ogni inchiesta giornalistica degna di questo nome. Così Bigjournalism punta a «riempire quel vuoto di mercato enorme per la minoranza silenziosa in giro per il mondo che chiede lunga vita allo spirito della libera inchiesta, giornalismo basato sui fatti con scrittura originale».
Ci riuscirà? Per ora prende di mira i media americani e li punzecchia sulle cose non dette, gli argomenti non coperti, gli errori. Sarà questo il futuro della Rete?
Domanda a cui è difficile rispondere soprattutto dopo che Jaron Lainer considerato un guru della rete spiega che il Web.2 quello, per intenderci, dei blog e dei social network, invece che dibattiti, analisi, approfondimenti ha scatenato fino ad ora una tempesta di copia e incolla, di frivolezze, di cazzate in ordine sparso, con un appiattimento tale e una saga di inattendibilità da far quasi ricredere un teorico spinto del web come lui. Il dibattito sul punto è aperto anche in Italia, con un lungo articolo di Gianni Riotta sul Sole24ore che punta anche ad evidenziare anche una ricerca del Pew Research Center in cui si spiega come la fonte di buona parte delle notizie che approdano online altro non sono che i media tradizionali, cioè i giornali. Una rivincita per la carta stampata? Non so, ma a me sembra di più un'occasione mancata per i teorici del web. A meno che le sfide sulla rete alla Bigjournalism, magari contrapposte ad un sano risveglio del giornalismo di inchiesta sui media tradizionali non ci facciano ricredere in tempo reale.

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