venerdì 15 gennaio 2010
Giornali/1. Se la crisi è di qualità: parola di Umberto Eco
La domanda l'ha fatta a Michele Serra un lettore sul Venerdì di Repubblica: tv e giornali ci dicono che siamo tutti stravolti dall'odio e poi quando parlo con i miei vicini o i compagni di lavoro trovo gente tranquilla e pacifica; leggo di un razzismo dilagante e poi trovo persone che fanno la carità ai neri e non gli sparano addosso. Non saranno i media che dipingono la vita peggiore di quella che è...?
Ma i giornali sanno rappresentare la realtà? E' un quesito vecchio come la storia del giornalismo, una domanda alla quale Umberto Eco sul penultimo numero de L'Espresso (la rubrica è quella di sempre "La bustina di Minerva") tenta di dare una risposta.
"Ma com'è - scrive - che giornali e televisioni sono diventati così perversi da dipingerci un mondo peggiore di quello che è? La verità è che le cose vanno così sin dall'invenzione dei giornali: se volete un atto di accusa contro la stampa andatevi a leggere "Le illusioni perdute" di Balzac, e vedrete che i nostri vizi attuali hanno radici antiche. La stampa dei miei nonni e dei miei genitori sguazzavano nelle cronache criminali e trascinava per mesi, anzi per anni, la diatriba su Bruneri e Canella, al cospetto della quale i delitti di Garlasco e di Cogne sono delle meteore. Il salto è stato di quantità e non di qualità, ma sappiamo bene che le mutazioni quantitative, oltre un certo limite, diventano mutazioni qualitative".
Il troppo storpia (o stroppia, per alcuni), una brutta abitudine che per Eco è facilmente riscontrabile anche su giornali e in tv. "I guai della quantità sono molteplici: se un tempo il quotidiano aveva quattro pagine, oggi ne ha 60 e non è che al mondo succedano più cose. Per riempire queste 60 pagine, e avere la pubblicità che ti consenta di vivere, devi magnificare la notizia, sbattere il mostro non solo in prima, ma anche in seconda e terza pagina, col risultato di parlare dieci volte dello stesso evento nello stesso giorno, dal punto di vista di dieci inviati e dando l'impressione che gli eventi siano dieci. Ma perchè devi avere pubblicità per riempire sessanta pagine? Per poter fare sessanta pagine. E perchè devi fare settanta pagine? Per avere pubblicità abbastanza per farle. Come capite dal ricatto della quantità non si esce, ma a scapito della qualità".
Come si esce dal ricatto e, soprattutto, come si esce dalla crisi dei giornali? Umberto Eco ammette candido: "Grande è la confusione sotto il cielo e se qualcuno mi domandasse un consiglio da saggio, la saggezza mi imporrebbe di dire che non ce l'ho". E davanti ai giovani che non leggono più i giornali e che "si avviano a diventare hegelianamente la preghiera quotidiana del pensionato" osserva: "la vittoria dei quotidiani sui settimanali, la loro cosidetta settimanalizzazione (fenomeno quantitativo dovuto al fatto che la televisione serale sottrae al quotidiano il privilegio della notizia inedita) da un lato ha messo in crisi i settimanali, ma dall'altro sta rendendo illeggibili i quotidiani e i giovani si buttano su Internet, che non è meno minato dal problema della quantità, ma almeno dà l'impressione (falsa) di poter scegliere ciò che si vuole leggere".
Insomma il tema è complesso e l'editoria in crisi dovrà trovare prima o poi una propria e originale exit strategy. Magari tornando a puntare sulla qualità.
Ma i giornali sanno rappresentare la realtà? E' un quesito vecchio come la storia del giornalismo, una domanda alla quale Umberto Eco sul penultimo numero de L'Espresso (la rubrica è quella di sempre "La bustina di Minerva") tenta di dare una risposta.
"Ma com'è - scrive - che giornali e televisioni sono diventati così perversi da dipingerci un mondo peggiore di quello che è? La verità è che le cose vanno così sin dall'invenzione dei giornali: se volete un atto di accusa contro la stampa andatevi a leggere "Le illusioni perdute" di Balzac, e vedrete che i nostri vizi attuali hanno radici antiche. La stampa dei miei nonni e dei miei genitori sguazzavano nelle cronache criminali e trascinava per mesi, anzi per anni, la diatriba su Bruneri e Canella, al cospetto della quale i delitti di Garlasco e di Cogne sono delle meteore. Il salto è stato di quantità e non di qualità, ma sappiamo bene che le mutazioni quantitative, oltre un certo limite, diventano mutazioni qualitative".
Il troppo storpia (o stroppia, per alcuni), una brutta abitudine che per Eco è facilmente riscontrabile anche su giornali e in tv. "I guai della quantità sono molteplici: se un tempo il quotidiano aveva quattro pagine, oggi ne ha 60 e non è che al mondo succedano più cose. Per riempire queste 60 pagine, e avere la pubblicità che ti consenta di vivere, devi magnificare la notizia, sbattere il mostro non solo in prima, ma anche in seconda e terza pagina, col risultato di parlare dieci volte dello stesso evento nello stesso giorno, dal punto di vista di dieci inviati e dando l'impressione che gli eventi siano dieci. Ma perchè devi avere pubblicità per riempire sessanta pagine? Per poter fare sessanta pagine. E perchè devi fare settanta pagine? Per avere pubblicità abbastanza per farle. Come capite dal ricatto della quantità non si esce, ma a scapito della qualità".
Come si esce dal ricatto e, soprattutto, come si esce dalla crisi dei giornali? Umberto Eco ammette candido: "Grande è la confusione sotto il cielo e se qualcuno mi domandasse un consiglio da saggio, la saggezza mi imporrebbe di dire che non ce l'ho". E davanti ai giovani che non leggono più i giornali e che "si avviano a diventare hegelianamente la preghiera quotidiana del pensionato" osserva: "la vittoria dei quotidiani sui settimanali, la loro cosidetta settimanalizzazione (fenomeno quantitativo dovuto al fatto che la televisione serale sottrae al quotidiano il privilegio della notizia inedita) da un lato ha messo in crisi i settimanali, ma dall'altro sta rendendo illeggibili i quotidiani e i giovani si buttano su Internet, che non è meno minato dal problema della quantità, ma almeno dà l'impressione (falsa) di poter scegliere ciò che si vuole leggere".
Insomma il tema è complesso e l'editoria in crisi dovrà trovare prima o poi una propria e originale exit strategy. Magari tornando a puntare sulla qualità.
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