Subscribe Twitter FaceBook

venerdì 15 gennaio 2010

Giornali/2. Se per uscire dalla crisi tutti dobbiamo fare la nostra parte. La provocazione del Corriere


Se Umberto Eco (vedi il post precedente) parla di quotidiani che hanno sacrificato la qualità sull'altare della quantità non riuscendo a scongiurare una crisi che appare inesorabile, sul fronte caldo dei giornali merita una segnalazione (e non è cosa frequente trattandosi di un documento sindacale e di un sindacato spesso avvitato su se stesso come quello dei giornalisti) la nota pubblicata oggi sul Corriere della Sera a firma del Comitato di redazione del quotidiano (per chi non è del settore il Cdr è il "consiglio di fabbrica" dei giornalisti).
Cosa dice la rappresentanza sindacale della redazione? Dando conto dell'approvazione dell'accordo sullo stato di crisi del quotidiano milanese (al calo pubblicitario dovuto alla crisi economica, l'azienda ha fatto fronte con una serie di tagli sui costi e con una ondata di prepensionamenti con l'obiettivo di ridimensionare del 13% la redazione del maggiore giornale italiano), il Cdr lancia all'azienda un messaggio chiaro che suona più o meno così: noi abbiamo fatto i nostri sacrifici, in termine di livelli occupazionali e tagli al contratto integrativo, il lettore si è sobbarcato un aumento di 20 centesimi del prezzo di copertina (ora il Corriere costa 1 euro e 20 centesimi), i cittadini italiani attraverso lo Stato hanno assunto i costi di prepensionamenti e ammortiazzatori sociali, ora anche l'azienda (il fior fiore della finanza e dell'imprenditoria italiana) deve fare la sua parte. Come? "È ora auspicabile, morale ed etico - si legge nella nota -, che manager e azionisti dichiarino di rinunciare a bonus e dividendi per la durata dei due anni di stato di crisi. E che si impegnino esplicitamente a reinvestire nel Corriere della Sera ogni eventuale utile come fanno in questo momento di difficile transizione economica le migliori imprese del mondo".
Symour Hersh del "New York Times", premio Pulitzer e fra i più noti cronisti d'America (scopri a 70 anni gli orrori di Abu Ghraib), in un libro di Mario Calabresi, attuale direttore del La Stampa, dà della crisi dei giornali questa interpretazione: "Il problema (accanto al calo pubblicitario e a quello delle copie, ndr) è che le grandi corporation hanno preteso dai giornali utili del 20 per cento. Per anni hanno strizzato soldi dai quotidiani e ora che li vedono annaspare li buttano via. Dovremmo tornare al giornale di proprietà di una famiglia, che certo fa utili ma non pensa solo a quello, ci vuole una mentalità completamente diversa che riduca le aspettative e pensi ad un nuovo modello di quotidiano". Hersh dopo questa analisi non si sottraeva alle colpe della categoria, diventata con gli anni "troppo superficiale, approssimativa, asservita e poco credibile", ma richiamava anche gli editori a riscoprire l'idea dei giornali come prodotto di crescita civile, di libertà e non solo come "fabbrica di utili". Così ora i colleghi del Corriere, dopo aver rinnovato il loro impegno a tutela della libertà di informazione, sollecitano "i padroni" a sottoscrivere la medesima scommessa carica di sacrifici. Insomma per uscire dalla crisi tutti devono fare la loro parte. Una provocazione? A me sembra solo una sana e meritoria sollecitazione. Un forte richiamo da esportazione.

CLICCA QUI PER LEGGERE IL DOCUMENTO INTEGRALE DEI GIORNALISTI DEL CORRIERE DELLA SERA

0 commenti: