"La riconciliazione non è un processo facile. Perché è un processo che non si propone solo di sapere chi è la vittima e chi è il carnefice; il nostro compito è cercare di capire in tutte le sue sfaccettature e in tutta la sua complessità quello che è successo. Credo che questo sia un problema che non riguarda solo l'oggi, ma il futuro. E’ una cosa che abbiamo ribadito più volte nell'ambito della Commissione: che esiste non solo per indagare il passato, ma per ricostruire il futuro".
(Russell Ally, Signor nemico crudele: lei è stato perdonato. In: Diario della settimana, anno III, n.10, 11/17 marzo 1998)
Sabato sera, hotel dell'hinterland di Brescia, fuori manifestanti, striscioni, polizia in assetto anti sommossa, dentro un incontro destinato a far discutere: Manlio Milani, presidente dell'associazione familiari delle vittime di piazza Loggia, incontra gli esponenti di Casa Pound Italia, ovvero i fascisti del terzo millennio. Un incontro storico in una città che ancora si lecca le ferite per un atto di terrorismo che non ha tuttora colpevoli, che solo qualche mese fa ha vissuto l'ennesimo dramma di una assoluzione, di un inchiesta che pur disegnando i contorni non riesce, a distanza di decenni (la strage è del 28 maggio 1974), a delineare i profili di chi mise quella bomba che provocò 8 morti e decine di feriti. Un incontro tra nemici accolto come un'oltraggio dalla rete antifascista bresciana, che boccia l'iniziativa di Milani come "vergognosa". Ma di vergognoso, in questa vicenda, spiace dirlo, mi pare ci sia solo la miopia di quanti non colgono il coraggio del gesto di una persona (tanto antifascista da pagare a caro prezzo questa sua militanza) che si è sempre battuta per la verità e che nel nome della verità è andato fino in Giappone da Delfo Zorzi (uno degli indagati dell'ultima inchiesta giudiziaria sulla Strage), ha parlato in centinaia di scuole, si è confrontato con tutti.
Davanti a quanti non riescono ad uscire da schemi da guerra fredda (tanto da far sorgere il sospetto che da quegli schemi ci si autoalimenti e nell'esistenza di quelle contrapposizioni si giustifichi la propria esistenza) la lezione di Milani rappresenta un segnale forte, un gesto da pioniere che va sostenuto e incoraggiato. Del resto la sua scelta è la diretta conseguenza di un percorso di ricostruzione della verità che passa anche in casa del "nemico" senza rinnegare la propria storia e senza addomesticarla ai compromessi. Del resto basta ascoltare (clicca qui) l'intervista rilasciata dallo stesso Milani a Radio Onda d'urto per capire quanto sia meditato quel gesto. "Questa scelta - ha spiegato - rientra all'interno di un percorso intrapreso da tempo in cui io credo che la ricerca della verità passi attraverso la ricostruzione della storia che coinvolga tutti. Molti aderenti a Casa Pound, poi sono nati ben dopo il '74 e quindi si tratta non tanto di aprire un dialogo, quanto di far sentire loro le nostre posizioni, le nostre ragioni, le nostre convinzioni su come si siano sviluppate le stragi in Italia e porli di fronte alle loro responsabilità".
Un dialogo senza reticenze, insomma, senza sconti. "Ho accettato - ha ribadito Milani nel corso dell'incontro (leggi qui la cronaca di Bresciaoggi) - perché in questa memoria distratta dell'Italia che preferisce rimuovere gli anni'70, è necessario andare oltre le nostre diversità e incontrarci, senza limitarci ad osservare l'orrore in quanto tale, ma nel tentativo di trovare nella memoria elaborata degli insegnamenti utili rispetto al presente e al domani. (...) Quegli 8 morti sono ancora lì, a raccontare i valori di democrazia, lavoro, libertà di espressione. Perché chi compì quella strage voleva sovvertire le istituzioni".
"Senza ascoltarci non andremo da nessuna parte, il rischio peggiore sarebbe il silenzio" ha sostenuto ancora Milani davanti ai microfoni critici di Radio Onda d'Urto e non è un caso che la premessa di questo post sia stata affidata alla riflessione di un componente della Commissione per la verità e riconciliazione nata in Sudafrica per tentare di rimarginare le ferite dell'Apartheid. Un percorso in cui "ascoltare
il nemico" era una delle tappe determinanti per riaffermare un principio che in quella terra di odio razziale fino ad allora non aveva avuto asilo: la tutela dei diritti dell'uomo.
Allo stesso modo in Italia "ascoltare il nemico" e, soprattutto, "farsi ascoltare dal nemico" diventa, grazie a scelte come quelle di sabato a Brescia, determinante per ricostruire un percorso di verità sugli anni '70. Manlio Milani sta imboccando questa strada tortuosa e difficile con il "fiato" del maratoneta. Altri, purtroppo, arrancano, tergiversano, guardano indietro. Così la ferita aperta in questa città dalla strage rischia di non rimarginarsi mai.
1 commenti:
Bell'articolo.
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