lunedì 7 marzo 2011
Riforma della Giustizia: c'è qualcosa che mi inquieta nel poliziotto con la toga
Sarà anche una riforma epocale quella annunciata da Berlusconi sulla giustizia ma, in attesa dei dettagli, mi inquieta una cosa: un pubblico ministero sempre meno giudice e sempre più funzionario di polizia. La completa divisione delle carriere tra giudice e pubblico ministero e la sostanziale figura della pubblica accusa destinata a diventare, nel nome della parità con la difesa, una figura a metà tra un avvocato dello stato e un alto funzionario di polizia, un po' mi turba.
Perchè? Perche mi chiedo se sopravviveranno in tutta la loro pienezza due articoli importanti del codice di procedura penale: il 326 che spiega come "il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale" e, soprattutto, il 358 secondo il quale "il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini".
Insomma, fino ad ora, nel nostro sistema giudiziario, che per molti sembra la diretta derivazione della santa inquisizione ma che rappresenta ancora un modello a livello europeo, il pubblico ministero è il primo giudice di ogni cittadino indagato, la prima persona tenuta a chiedersi se l'uomo o la donna che si trova davanti è colpevole o innocente. Un principio che al di là dei tecnicismi giuridici ha un significato non marginale e basta una domanda semplice per capire dove stia la differenza: immaginandovi imputati in un processo, preferireste che sulla poltrona della pubblica accusa sedesse una persona più simile ad un funzionario di polizia, ad un ufficiale del carabinieri o ad un giudice? Insomma vorreste un pm mezzo "sbirro" (con rispetto parlando) o "mezzo giudice"?
L'obbligo del pm di raccogliere prove a discarico per verificare se esistano i presupposti per l'esercizio dell'azione penale rappresenta un filtro importante, senza il quale avremmo solo, in pratica, un poliziotto con la toga invece che con le stellette e non so se questo sia un bene per il giusto processo. L'efficienza della polizia e dei carabinieri e le carriere di funzionari e ufficiali si misura da sempre dal numero di arresti e denunce; quella di un pubblico ministero, come quella di un magistrato giudicante, dal numero di processi portati a termine, indipendentemente dalle condanne e dalle assoluzioni, dalle richieste di rinvio a giudizio e dalle archiviazioni per mancanze di elementi per l'esercizio dell'azione penale. E questa non è una differenza da poco. Anni fa un pubblico ministero mi confidava che preferiva non influire troppo nelle indagini di polizia, entrando in gioco alla prima relazione di servizio con l'occhio più da giudice che da inquirente, con quel distacco necessario per garantire all'inquisito un minimo di obiettività anche nella fase preliminare dell'inchiesta. Basta seguire del resto un turno di reperibilità di un pubblico ministero per capire quanti fermi operati dalle forze dell'ordine non vedano l'alba per mancanza di indizi (con relativi nervosismi di chi su quelle operazioni basano encomi e avanzamenti di carriera), quante segnalazioni finiscano direttamente in archivio "senza passare dal via". Sarà sempre così anche quando arresti e processi potrebbero finire tra i criteri di efficienza del pm-poliziotto, reclutato con criteri diversi rispetto ad un giudice?
Lo stesso Berlusconi, del resto, raccontando delle sue odissee giudiziarie, spiega che molte di quelle inchieste sono finite con delle archiviazioni. E chi ha chiesto quelle archiviazioni? Un pm che si è sentito un po' giudice e che ha ritenuto che non vi fossero i presupporti non tanto per una condanna, ma nemmeno per un processo. Un pm ora chiamato a resistere a mille attacchi... almeno fino alla prossima riforma "epocale".
Perchè? Perche mi chiedo se sopravviveranno in tutta la loro pienezza due articoli importanti del codice di procedura penale: il 326 che spiega come "il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale" e, soprattutto, il 358 secondo il quale "il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini".
Insomma, fino ad ora, nel nostro sistema giudiziario, che per molti sembra la diretta derivazione della santa inquisizione ma che rappresenta ancora un modello a livello europeo, il pubblico ministero è il primo giudice di ogni cittadino indagato, la prima persona tenuta a chiedersi se l'uomo o la donna che si trova davanti è colpevole o innocente. Un principio che al di là dei tecnicismi giuridici ha un significato non marginale e basta una domanda semplice per capire dove stia la differenza: immaginandovi imputati in un processo, preferireste che sulla poltrona della pubblica accusa sedesse una persona più simile ad un funzionario di polizia, ad un ufficiale del carabinieri o ad un giudice? Insomma vorreste un pm mezzo "sbirro" (con rispetto parlando) o "mezzo giudice"?
L'obbligo del pm di raccogliere prove a discarico per verificare se esistano i presupposti per l'esercizio dell'azione penale rappresenta un filtro importante, senza il quale avremmo solo, in pratica, un poliziotto con la toga invece che con le stellette e non so se questo sia un bene per il giusto processo. L'efficienza della polizia e dei carabinieri e le carriere di funzionari e ufficiali si misura da sempre dal numero di arresti e denunce; quella di un pubblico ministero, come quella di un magistrato giudicante, dal numero di processi portati a termine, indipendentemente dalle condanne e dalle assoluzioni, dalle richieste di rinvio a giudizio e dalle archiviazioni per mancanze di elementi per l'esercizio dell'azione penale. E questa non è una differenza da poco. Anni fa un pubblico ministero mi confidava che preferiva non influire troppo nelle indagini di polizia, entrando in gioco alla prima relazione di servizio con l'occhio più da giudice che da inquirente, con quel distacco necessario per garantire all'inquisito un minimo di obiettività anche nella fase preliminare dell'inchiesta. Basta seguire del resto un turno di reperibilità di un pubblico ministero per capire quanti fermi operati dalle forze dell'ordine non vedano l'alba per mancanza di indizi (con relativi nervosismi di chi su quelle operazioni basano encomi e avanzamenti di carriera), quante segnalazioni finiscano direttamente in archivio "senza passare dal via". Sarà sempre così anche quando arresti e processi potrebbero finire tra i criteri di efficienza del pm-poliziotto, reclutato con criteri diversi rispetto ad un giudice?
Lo stesso Berlusconi, del resto, raccontando delle sue odissee giudiziarie, spiega che molte di quelle inchieste sono finite con delle archiviazioni. E chi ha chiesto quelle archiviazioni? Un pm che si è sentito un po' giudice e che ha ritenuto che non vi fossero i presupporti non tanto per una condanna, ma nemmeno per un processo. Un pm ora chiamato a resistere a mille attacchi... almeno fino alla prossima riforma "epocale".
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1 commenti:
Fosse un argomento da poco, la soluzione si sarebbe trovata... convengo sulla serietà e rilevanza delle tue affermazioni ma, per parte mia, ho sempre pensato che la ricerca di elementi di prova a favore da parte del pm fosse un invito a non iniziare, proseguire o concludere indagini che in un processo si rivelino infondate per l'esiste n di forti prove a discarico. E' in primo luogo un invito a svolgere il proprio compito senza perdere di vista le regole per una buona amministrazione della cosa pubblica...
Il pm che chiede un'archiviazione non deve sentirsi "un poco giudice", non è suo compito, come non lo è per l'avvocato. E' certo utile immaginassi "come il giudice deciderebbe", anche per evitare processi inutili...
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