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venerdì 30 aprile 2010

Giustizia, quando un film diventa realtà

«Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere alterum non laedere, suum cuique tribuere». ("La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo").
Eneo Domizio Ulpiano
Giurista latino
La frase compare sulla facciata del Palazzo di Giustizia di Milano

Nei giorni scorsi ho rivisto su un canale satellitare "In nome del popolo italiano" film del 1971 diretto da Dino Risi con Ugo Tognazzi nella parte del giudice istruttore Mariano Bonifazi e  Vittorio Gassman in quella dell'imprenditore edile Lorenzo Santenocito. Mi ha colpito una cosa di quel film di cui ricordavo poco: la sceneggiatura, se non fosse per la figura del giudice istruttore  abrogata nel 1989 dal nuovo codice di procedura penale, sembrava scritta ieri. Colpiva l'analogia dei dialoghi con quelli che oggi caratterizzano il dibattito sulla giustizia, colpivano le accuse ai giudici politicizzati, colpiva l'impunità di cui alcuni imprenditori si credono vestiti (e non sto parlando solo del presidente del Consiglio).
Ai titoli di coda ho spento la tv e mi sono chiesto: ma noi italiani non cambieremo proprio mai il nostro atteggiamento nei confronti della giustizia?

Pescando dalla rete mi sono divertito ad abbianare ieri e oggi, finzione e realtà: ecco cosa ne è uscito.

 





giovedì 29 aprile 2010

Il soldato Palla di lardo e l'impiegato comunale di Gavardo

Quando ieri in redazione è iniziata a circolare la notizia che al comune di Gavardo un ordine di servizio imponeva agli impiegati, quando entravano il sindaco o altre autorità di alzarsi in piedi e salutare con un buongiorno se di mattina e un buonasera se di pomeriggio, mi è subito venuto in mente il soldato "Palla di lardo" di Full metal jacket (1987)e il sergente dei marines Ronald Lee Ermey, a cui è ispirata nel film la figura del sergente maggiore Hartam (interpretato dallo stesso Ermey). Il sergente - attore durante la lavorazione del film finì per dire allo stesso regista Stanley Kubric, in quel momento distratto, "Alzati in piedi quando ti parlo" tanto questo modo di fare era insito nel suo essere. Ecco: quanti soldati "Palla di lardo" ci sono al comune di Gavardo e quanti sergenti Hartam-Ermey?
Fa sorridere, comunque lo si guardi, l'editto del segretario comunale del paese della Valsabbia. Sia che lo si interpreti come un modo per ribadire un comportamente educato che dovrebbe essere innato in ognuno di noi ("Affidare però a un'ordinanza la buona educazione non è un bel segnale - scrive oggi sul Corriere Giangiacomo Schiavi -, sembra di tornare all'epoca in cui si vedevano nei bar questi cartelli: vietato sputare per terra. Siamo messi male se per dire buongiorno, a Gavardo, qualcuno si è ridotto a chiederlo non per piacere, ma per legge"), sia che si voglia imporre il rispetto per l'autorità, per il sindaco, giovane quanto basta per apparire un ragazzino, e per i suoi assessori. In questo caso, a prescindere dalla buona educazione che ognuno di noi deve avere, il rispetto e l'autorevolezza si guadagnano sul campo altrimenti è solo un "lei non sa chi sono io" mascherato da ordine di servizio.

SIGNORSI' SIGNORE!

martedì 27 aprile 2010

Festival del giornalismo: cosa rimane

Tanti interessanti spunti di riflessione dal festival di giornalismo che si è appena chiuso a Perugia. Ecco una sintesi per forza di cose riduttiva dell'avvenimento attraverso alcuni contributi filmati.

Media e potere: l'avventura delle 10 domande
Le dieci domande del quotidiano La Repubblica al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Informazione e politica in Italia.


 
Intervista a Luca De Biase


Marco Affini intervista Luca de Biase mente pensante di Nova 24, inserto hi-tech de "il Sole 24 ore", grandissimo esperto di quella linea d'intersezione tra innovazione tecnologica, storia culturale e prospettive dei nuovi media che, da pochi anni a questa parte, sembra esser davvero la nuova frontiera dell'informazione. Tra simbiosi del sapere, web 2.0 ed il blocco cinese ecco l'intervista che ci ha rilasciato per l'occasione.



Eretici digitali: la rete è in pericolo, il giornalismo pure. Come salvarsi


"Una cultura e un modo di raccontare il mondo sono al tramonto. Il giornalismo va salvato dalla crisi dei giornali perchè la realtà esiste ancora e va raccontata".



Al Gore e Roberto Saviano
Al Gore co-fondatore Current e Vice Presidente degli Stati Uniti 1993- 2001 Roberto Saviano scrittore Introduce Maria Latella.



La memoria del passato e la speranza del futuro


Eugenio Scalfari, fondatore La Repubblica, Michele Serra, La Repubblica, Giuseppe Tornatore, Regista, Walter Veltroni, scrittore e politico

lunedì 26 aprile 2010

25 Aprile: cari sindaci, un ripassino alla storia...?

Claudio Magris oggi sul Corriere spiega come sia triste ritrovarsi ogni anno a difendere la Resistenza : "Da anni ormai - scrive - il 25 Aprile siamo costretti a ripetere le stesse cose, a esprimere il fastidio di dover difendere, dinanzia a tante becere denigrazioni, la Resistenza quale fondamento e Dna della nostra Italia. Credevamo fosse una realtà tranquillamente acquisita della nostra storia. Una realtà da ricordare senza enfatiche celebrazioni, senza alcuna necessità di anacronistiche dichiarazioni antifasciste e senza astio nei confronti del fascismo stesso, fenomeno nefasto e doloroso che era stato doveroso combattere, che andava capito nelle cause che lo avevano generato".
Invece, il giorno dopo eccoci qui a fare i conti con le mistificazioni e i revisionismi e, mentre sul fronte opposto qualcuno, in carenza di visibilità, ne approfitta per far casino, contribuendo, quasi fosse un gioco di squadra con il nemico, a giustificare anche la più bieca equiparazionei fra chi stava sulle montagne e chi stava a Salò.
Anche quest'anno dunque, noi che stiamo in provincia, in questa provincia, siamo tornati a fare i conti con un 25 Aprile che per molti sindaci è considerato "bottino di guerra". Se il primo atto amministrativo, per molte coalizioni che hanno strappato il Comune agli avversari che lo governavano da anni, è quello di cambiare le serrature del portone del Municipio, quasi a marcare con più vigore la conquista, il secondo è la prova di forza sul 25 Aprile. Così qualche solerte amministratore della Bassa bresciana è arrivato a suggerire alle maestre di non insegnare ai bambini canti partigiani per la festa del 25 aprile mentre molte fanfare hanno intonato un meno compromettente "La leggenda del Piave" (anche se la canzone è stata composta nel 1918 per ricordare la battaglia lungo il Piave nella prima guerra mondiale) in luogo del più consono "Bella Ciao" (che sarà pure un canto ottocentesco delle mondine, ma che era diventato l'inno dei partigiani emiliani durante la Resistenza). Di quello che è accaduto a Montichiari (piazze vietate al Pd anche il primo Maggio perchè le manifestazioni di partito si fanno solo in campagna elettorale) si è parlato persino a livello nazionale con una lettera del segretario Bersani, mentre a Fiesse, dopo aver auspicato che nessuna bandiera di partito seguisse il corteo (cosa peraltro, come era naturale, disattesa nel sacrosanto diritto di esprimere le proprie opinioni) il sindaco Chiara Pillitteri ha diffuso a firma "Comune di Fiesse" un manifesto tricolore che definire "un delirio" è quasi un eufemismo. Un manifesto in cui di inneggia alla "riappropriazione del 25 Aprile" fino ad allora viziato dalle bandiere comuniste e con l'effige del "Che". Se l'avesse letto Claudio Magris quel manifesto altro che fastidio per dover difendere ogni anno la Resistenza, altro che tristezza... Avrebbe dovuto invocare un ripasso coatto della storia per molti sindaci della provincia bresciana.

sabato 24 aprile 2010

La mensa negata di Adro: ne abbiamo parlato con Sandro Ruotolo (Annozero)

Mi avevano colpito le sue parole in diretta tv: "In tanti anni non mi era mai capitato di lavorare in un clima simile". Il clima era quello che si respirava nella mensa di Adro giovedì sera durante la diretta tv di Annozero, il disagio manifestato agli oltre 5 milioni di telespettatori che stavano seguendo la trasmissione era quello di un veterano del programma: Sandro Ruotolo, da oltre 20 anni braccio destro di Michele Santoro. Ieri, per Bresciaoggi, ho sentito Sandro Ruotolo, mi interessava capire cosa avesse turbato uno come lui che ne ha viste tante, dalle intimidazioni mafiose alle dirette più burrascose.
"Venendo ad Adro, come andando a Rosarno alcuni mesi fa - mi ha detto -, mi sono reso conto di persona cosa voleva dire il presidente della Repubblica quando ha lanciato gli appelli alla coesione sociale. Atmosfere come quelle respirate ad Adro mostrano un tessuto sociale che si è progressivamente sgretolato".
Recuperare la coesione sociale ci è sembrata (dopo un lungo scambio di opinioni)  l'unica via da percorrere per non cadere in un baratro dal quale potrebbe essere impossibile riprendersi.
Ecco le riflessioni di Sandro Ruotolo apparse nell'edizione odierna di Bresciaoggi.

Da oltre vent'anni è al fianco di Michele Santoro, inviato sul campo sin dai tempi di Samarcanda. L'altra sera, però, Sandro Ruotolo, 54 anni, a Adro non ha saputo nascondere il disagio per il clima che si respirava e lo ha detto in diretta: «Non mi è mai capitata una cosa simile».


Sandro Ruotolo, una affermazione la sua che ha colpito molti: cosa è accaduto?

«Mi ha molto colpito quel "vergogna" partito dalla platea quando, in diretta, ho parlato del contributo dato dal missionario del Congo per la mensa di Adro. Mi ha sconvolto anche il clima che si respirava in quella sala, odio e di intolleranza che andavano oltre la difesa delle proprie posizioni. Non mi hanno dato fastidio le urla ma l'astio mostrato, ad esempio, contro gli stranieri presenti, contro quella donna maghrebina che ha rivendicato i propri diritti di cittadina che paga le tasse o contro la stessa direttrice della mensa».

Lei gira l'Italia, che idea si è fatto di questo Nord?

«Non venivo da queste parti a trattare temi di immigrazione da tempo e ho trovato un clima molto deteriorato. Prima di Adro ero stato a Rosarno ai tempi della rivolta contro i clandestini. Non ho trovato un'atmosfera poi tanto tanto diversa, c'è un imbarbarimento che deve preoccupare. Se delle mamme si sentono offese perchè un benefattore versa i soldi della mensa a chi non ha la possibilità di pagare e non accettano le riflessioni contenute in una lettera è il segno che non c'è più coesione sociale. E se ad Adro come a Rosarno è venuta meno la coesione sociale mi chiedo, complice la crisi economica, quali saranno i prossimi ad essere colpiti ed emarginati. Oggi sono gli immigrati e domani?

Che fare?

«Dobbiamo riconquistare una coesione sociale che si è persa. Noi cerchiamo di raccontare delle storie e giovedì sera alla mensa di Adro abbiamo tastato con mano la radicalità della situazione. Il mio disagio non derivava dagli animi accesi, in ventidue anni ne ho viste tante, quello che mi ha colpito è stato il non voler capire le ragioni degli altri, reagire aggredendo. È il segno che la coesione non regge più».

Come riconquistare la coesione perduta?

«Questa storia deve far riflettere. In sala c'era gente che non la pensava come chi urlava e forse sono proprio loro che stando in mezzo alla gente possono fare qualcosa per migliorare la situazione. La politica? Beh, dalle vostre parti mi pare che su questi fronti ci si affidi alla Cgil. E mi pare che questa anomalia si commenti da sè».

Marco Toresini
da Bresciaoggi del 24 aprile 2010

venerdì 23 aprile 2010

In che paese vogliamo vivere? Se in questo "io non ci sto"

Lo sapevo, non avrei dovuto vederlo. Non avrei dovuto guardare, ieri sera, Annozero occuparsi, in diretta da Adro, della vicenda dei bambini lasciati digiuni perchè le famiglie non avevano i soldi per pagare la mensa. Non avrei dovuto.
Perchè ora, buon ultimo dopo l'imprenditore che con un  contributo di 10 mila euro e una lettera che ha fatto discutere si è offerto di saldare il debito delle famiglie indigenti e dopo gli operatori della missione congolese che hanno fatto proprio quel disgusto donando i soldi che in Africa servono a salvare un  bimbo dalla denutrizione per un anno, anche io voglio esternare il mio personale "non ci sto".
Non ci sto se il paese che vogliamo per i nostri figli è quello uscito ieri sera dalle nostre tv. Santoro e quelli di Annozero saranno pure dei prevenuti comunisti, ma le mamme che si azzuffavano davanti a scuola, urlano, sbraitano le abbiamo viste tutti; la gente che insulta l'imprenditore - benefattore, invece di mostrare un bricolo di gratitudine l'abbiamo vista tutti; così come le abbiamo sentite bene le urla contro la coordinatrice volontaria della mensa (gestita, lo ricordiamo, da una associazione di genitori che garantiscono un servizio di qualità a prezzi più che competitivi) che ha chiamato con il loro nome ("razzismo e stupidità") alcuni comportamenti che hanno accompagnato la triste vicenda; l'abbiamo sentita tutti, l'ex assistente sociale del Comune spiegare quale fosse la politica di aiuti sociali dell'Amministrazione: via tutto ciò che potesse tornare a beneficio anche degli stranieri (come il contributo per gli affitti e il buono per le famiglie numerose); abbiamo sentito tutti (anche se sfumato nel servizio) il sindaco Oscar Lancini dire ad una donna straniera: "non ti va bene quello che si fa ad Adro, puoi sempre trasferirti altrove" (ricordando in questo l'adagio che fece diventare famoso l'ex assessore regionale inquisito Piergianni Prosperini: "Non ti va bene l'Italia? Prendi camel e barcheta e ta turnet a ca'").
Non ci sto a costruire un paese così, una comunità dove conta censo e colore della pelle ("Noi non siamo razzisti - sembrava di sentire ieri sera - sono loro che sono neri"), dove i furbi sono sempre gli altri, dove chi dovrebbe amministrare non lavora per la coesione sociale, ma per la divisione.
Non ci sto a costruire il paese della paura, dell'egoismo della guerra tra i poveri che divide perchè qualcuno possa "imperare"; dove l'altro è un potenziale delinquente, un  furbo, comunque una persona dalla quale guardarsi; dove quello che è mio è mio e mi incazzo pure se qualcuno ti viene in soccorso perchè tu non riesci a far fronte alle tue necessità.
Non ci sto, e lo dico da genitore, a costruire un paese che non abbia un futuro di convivenza a beneficio dei propri figli, che non sappia governare (con l'integrazione e la condivisione e non con l'esclusione) fenomeni ineludibili come l'immigrazione e una società plurale e colorata. Non ci sto a costruire una società tanto intrisa di intolleranza, che ha fatto esclamare a uno che ne ha viste tante come Sandro Ruotolo (anni fa ci ho lavorato a fianco e so quanto sia un bravo professionista): “Non ho mai sentito un clima di questo tipo nei luoghi dove sono stato”.
Non ci sto a gestitre un presente difficile, lucrando consensi sulla paura. Non ci sto ad avallare le miopi discriminazioni di oggi che portano solo ai ghetti e ai rancori di domani. Non ci sto ad una politica che sia arroganza, accondiscendenza, che prosperi sulle divisioni e non sulle condivisioni. Voglio una politica e sopratutto una politica locale, che parli così, con le parole di un grande sindaco come Giorgio La Pira:

 «Ebbene, signori Consiglieri, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia!
Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città -e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina.  Se c'è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l'amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco (...) non c'è!»
Non ci sto a partecipare a questo gioco al massacro, a questo naufragio delle coscienze. Non so cosa ci riserverà il futuro, ma un "non ci sto" pronunciato con determinazione oggi potrebbe essere domani una polizza sulla vita per i nostri figli.


VOGLIAMO UN PAESE COSI' ?
(stralci da Annozero)











P.S.: Ecco chi sono i furbi...
Ieri la Cgil ha diffuso una  nota sulla vicenda di Adro che conteneva l'identikit economico-patrimoniale di nove famiglie fra quelle che non hanno pagato la mensa: redditi bassi, affitti e mutui da pagare, famiglie numerose, persone disoccupate. Se sono questi i furbi....
Ecco la tabella della Cgil.

Le Famiglie Di Adro

giovedì 22 aprile 2010

La mensa negata di Adro: mentre il caso è ad Annozero, una lettera che è anche una lezione

Mentre in tv vedo lo spettacolo non certo esaltante che da bresciani stiamo dando in tv ad Annozero,
mi rileggo la lettera di padre Giovanni Piumatti, un missionario piemontese con qualche amicizia nella nostra provincia che dalla sua missione in Congo (nella foto) ha offerto 600/700 euro per garantire la mensa ad un bimbo di Adro. La lettera è indirizzata al cittadino di Adro che per primo con un contributo da 10 mila euro e una lettera di denuncia ha scosso le coscienze di tutti.
"Caro "cittadino di Adro"
abbiamo letto, qua in Africa, la tua lettera "Io non ci sto": anche noi ci uniamo al tuo messaggio ed al tuo gesto.
Ti inviamo un contributo per pagare la mensa per un anno ad uno dei tuoi-nostri bambini.
Sono soldi che molti amici dell'Italia ci danno per l'Africa.
Conoscendo bene i nostri amici so che sono contenti se ne invio una fetta lì a Brescia; perché anche loro vogliono un mondo diverso: un mondo fatto più di ponti che di barriere.
Anch' "io non ci sto". In un mondo come lo sta costruendo una certa parte di italiani, io non ci sto !
La nostra Italia non è mai stata così: non dobbiam permettere che alcuni la deturpino.
Nel Bresciano ho alcuni dei miei famigliari. Il primo bell ' "esempio di missionario" qua in Africa l'ho avuto da un bresciano (padre Maggioni). Amici dentisti di Brescia, "smile mission", ci han costruito tre studi-laboratorio, e vengono regolarmente a prestar servizio. Marcello, vigile urbano di Brescia, le sue vacanze la ha fatte in questo villaggio "zona martoriata, all'est della RD Congo". In una parrocchia del bresciano, in occasione della Cresima dell'anno scorso, il vicario generale di Brescia, da estraneo che ero, non solo mi ha fatto sentire ospite "accolto e gradito", ma anche parte integrante della festa.
Ci sono tante "perle", anche a Brescia: come te, caro cittadino di Adro.
A Muahnga e Bunyatenge, piccoli villaggi di foresta, ogni giorno diamo a tutti i ragazzi delle scuole (circa 900) una tazza di "masoso", papetta fatta di mais-sorgo-soja (senza zucchero): é capitato qualche volta che la casseruola si vuotasse troppo in fretta...; subito i bimbi che avevano già ricevuto si son mossi, ed hanno condiviso la loro tazza con gli... altri.
Il contributo che mandiamo é null'altro che questo gesto; anche perché so che gli altri bimbi di Adro lo farebbero spontaneamente. Siamo sicuri che i nostri ragazzi ne saran fieri, ed anche gli amici che ci han dato questi soldi come gesto di solidarietà e di giustizia.
Vogliamo che questo nostro gesto sia un tutt'uno con il tuo gesto ed il tuo messaggio".
p. Giovanni
Concetta, ostetrica Elisa e gli amici di Muhanga, nel nord Kivu della RD Congo


Buona notte.....

mercoledì 21 aprile 2010

Giornalisti e giornalismo: un festival per continuare a crederci

"Qualunque sia il tema di un'informazione di stampa o radio-televisiva lo scopo dichiarato, il risultato perseguito è di non informare, di essere oscuri e noiosi quanto basta perché la platea degli italiani cambi canale e si rifugi in qualche 'Verissimo' mignottificio e finalmente la gente capisca quel che si dice e si scrive: per far carriera bisogna andare a letto con i padroni. La logorrea ermetica copre gli spazi d'informazione come il petrolio degli spurghi industriali il fiume Lambro affluente del Po".
Giorgio Bocca
da L'Espresso del 6 aprile 2010
Giorgio Bocca, grande vecchio dell'informazione italiana, uno dei pochi rimasti di una generazione di giornalisti che ha provato sulla propria pelle, ai tempi della guerra e negli anni che ne seguirono, cosa vuol dire libertà di opinione, libertà di informazione, un paio di settimane fa, nella sua rubrica l'Antitaliano, c'è andato giù pesante con l'informazione, con i giornali e con i giornalisti. "C'era una volta l'informazione" spiega Bocca, quella che informava in modo chiaro, senza remore, con trasparenza e semplicità. Ora c'è il vuoto che apre le strade ad una informazione asservita.
 "Quando entrai nel giornalismo una settantina di anni fa, che c'era ancora un re sul trono e non al Festival di Sanremo, - scrive Bocca - i giornalisti migliori per sintesi e chiarezza erano i 'pastonisti', i corrispondenti da Roma dei grandi giornali, i Mattei, i Gorresio, i Negro che avendo a disposizione una colonnina su giornali allora a due fogli vi riassumevano i fatti politici ed economici della giornata in modo chiarissimo. Ed erano fatti spesso drammatici, decisivi per il Paese. Oggi a leggere o ad ascoltare i resoconti di giornata, in un italiano bastardo zeppo di parole straniere, idiomatiche, gergali viene voglia di gridare basta, torniamo tutti a scuola, torniamo a parlare come si mangia. E mettiamo una cosa in chiaro: l'ermetismo, l'oscurità, gli idiomi segreti della ricchezza e del potere non sono un capriccio, sono un portato inevitabile di rapporti sociali inconfessabili.  Avete letto o ascoltato le registrazioni telefoniche dei nostri politici e affaristi? Si compongono di gerghi segreti, mafiosi, intercalati da scurrilità plebee, di affari sporchi e di 'vaffan', un linguaggio misto di banda del buco e di postribolo. Non è un caso che la scuola anglosassone d'informazione, i fatti distinti dalle opinioni, gli incipit essenziali i quando-come-dove, i dati anagrafici precisi, il tempo che faceva e anche il due più due fa quattro, siano sostituiti da tiritere senza fine, da confronti specialistici: tu giornalista che capisci i miei doppi sensi, le mie allusioni, quanto siamo bravi, quanto siamo nel giro che conta, alla faccia del popolo sovrano che per tenerlo buono basta dirgli che è il più intelligente e il più bravo del mondo".
Parole dure ma, noi che siamo sempre più orfani di buoni maestri indipendenti, sentiamo che in fondo in fondo sono vere e contribuiscono forse a quel declino, di contenuti ancor prima che tecnologico, che accompagna in questi anni la nostra professione.
Ho rispolverato oggi queste parole di Giorgio Bocca non a caso: è iniziato ieri e proseguirà fino al 25 aprile a Perugia "L'international jornalism festival", un modo per raccontare un giornalismo che cambia nei contenuti e nelle forme, un modo anche per ridare gas ad una professione con qualche crisi di identità, con qualche scheletro di troppo nell'armadio e con una verginità fatta di rigore professionale almeno in parte da ricostruire.

Stamane ho acceso il computer e sul mio profilo di Facebook sono comparse le foto degli amici di "Giornalisti nell'erba", un concorso nazionale riservato a giovanissimi reporter ambientalisti, pronti a partire (vedi foto) da Roma per Perugia dove esporranno la loro esperienza da piccoli giornalisti crescono. Piccole speranze per noi che in erba non lo siamo più da un pezzo, piccoli riscatti di una professione che ha ancora molto da raccontare.


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IL PROMO

martedì 20 aprile 2010

Adro, la Lega e le contraddizioni della Chiesa

Lo potremmo annoverare fra gli effetti collaterali del "caso Adro", ma è il segno più ampio e profondo di una chiesa frastornata, in difficoltà (e non mi riferisco agli scadali sulla pedofilia). Stetta e sballottata tra comunità e potere, valori spirituali e valori terreni. Sabato scorso, alla messa vespertina, il parroco del paese bresciano dove il sindaco ha messo a pane ed acqua i figli delle famiglie che non pagavano la mensa ha letto dal pulpito un documento nel quale criticava, senza troppi giri di parole, Silvano Lancini l'imprenditore di Adro che aveva saldato il debito di 10 mila euro e in una lettera, con altrettanta schiettezza, aveva bacchettato i silenzi dei preti sulla vicenda.
Don Gian Maria Fattorini non ci sta e attacca: «Il bene non fa rumore e in questi giorni, in cui di rumore ce n'è fin troppo, ci siamo più che mai proposti di non lasciarci tirare per la giacchetta da nessuna parte e venire così strumentalizzati alla stessa stregua dei bambini e delle mamme in questione. All'indignazione pubblica, allo stracciarsi delle vesti, alle urla di piazza di questi giorni, preferiamo continuare ad educare all'accoglienza e all'integrazione. Tutto questo in silenzio, perchè il bene non ama il rumore».
Ma attaccando con troppa feemenza si finisce anche in "fuori gioco", cioè in contraddizione con la stessa diocesi che sulle colonne del settimanale "La Voce del Popolo" parla in questi termini della vicenda e del benefattore: «un gesto che ha dato una bella lezione ai suoi concittadini e a tutti i bresciani, (...) un umanesimo purtroppo in via di estinzione». Con tanto di «rammarico per le persone che non hanno capito lo spirito di un gesto privo di ogni protagonismo mediatico ma espressione invece di un senso di vivere comunitario che si contrappone all'egoismo di pochi e alla miopia di certa politica».
"A quel parroco - osserva, intanto, Renata di Brescia sul sito delle Voce del Popolo - vorrei chiedere: davvero giudica le sue parole un contributo chiaro alla carità e alla verità? I parrocchiani confusi dalle polemiche hanno ricevuto un consiglio autorevole per scegliere se imitare il gesto o no?" Il dibattito è aperto e torna alla mente la lettera che nel dicembre scorso don Fabio Corazzina e due amici scrissero ai giornali dal titolo "Cosa sta succedendo ai cattolici bresciani?" Un messaggio forte in cui si evidenzavano contraddizioni e silenzi davanti ad alcuni temi, come integrazione e accoglienza, e davanti ad alcune vicende che avevano scosso la provincia ed in cui era necessaria una chiara scelta di campo.
Il tema di una Chiesa frastornata dagli eventi, proprio mentre ad Adro si polemizzava sulla pelle dei bimbi, è approdato anche sulle colonne del Corriere della Sera dopo un'intervista di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia per la vita. In quell'intervento il prelato guardava con compiacimento alle posizioni della Lega sui temi etici. Una presa di posizione che ha sconcertato il saggista Claudio Magris che in un intervento dal titolo "Se per la Lega i valori cattolici diventano uno strumento di potere"  spiegava come la storia del movimento di Bossi fosse, in un mix di neopaganesimo ("il dio Po che non credo sia il medesimo cui mi rivolgo col Padre nostro") e di intolleranza, quanto di più lontano dal cristianesimo ci sia. Evidenziando come sul giornale cattolico di Torino "Il nostro Tempo" si valutasse il più recente «parrocchialismo» ostentato dalla Lega come "una strumentale operazione rivolta non certo ad affermare valori cristiani, bensì a manipolarli, a farne «instrumentum regni», strumento di potere. Inoltre tutto l' atteggiamento del medesimo partito nei confronti degli immigrati costituisce la negazione dello spirito cristiano, in quanto la Lega non si limita a sottolineare il problema - in sé certo grave e non risolvibile con un generico buonismo - dell' immigrazione e delle sue dimensioni, che potrebbero diventare insostenibili. La Lega spesso fomenta un volgare rifiuto razziale, che è la perfetta antitesi dell' amore cristiano del prossimo e del principio paolino secondo il quale "non ha più importanza essere greci o ebrei, circoncisi o no, barbari o selvaggi, schiavi o liberi: ciò che importa è Cristo e la sua presenza in tutti noi"».
In una sua replica, publicata qualche giorno dopo, il prelato romano corregge il tiro, mette i puntini sulle i spiegando che di non aver mai detto che la Lega si fonda su principi cristiani, ma di aver apprezzato alcuni atteggiamenti del partito sui temi etici e si chiede dove sia lo scandalo in questo. Una precisazione che non convince Magris per il quale pesano come pietre "odio e disprezzo" manifestati in troppe dichiarazioni leghiste.
Il dibattito non si spegnerà tanto presto. Per ora, resta una realtà piena di contraddizioni, un cattolicesimo fragile e debole in mezzo alla tempesta. Dove, senza farsi troppe domande, si passa dal lavoro in oratorio al gazebo bianco-verde come se si fosse al servizio degli stessi valori. Dove alle contrapposizioni sui valori, anche davanti a scelte amministrative in antitesi con lo spirito cattolico, si preferisce un silenzio che puzza di consociativismo. Perchè si chiede qualcuno? I più smaliziati hanno la risposta in tasca: se la sopravvivenza di oratori, chiese, scuole e strutture cattoliche ormai dipende in buona parte dalle sovvenzioni della politica meglio non disturbare il manovratore, se il rischio è che chiuda i rubinetti. E si sa, sin dai tempi di Vespasiano, "pecunia non olet".

lunedì 19 aprile 2010

Emergency: lieto fine e occasioni perse

E' finita come doveva finire: liberazione, zero prove per sostenere le accuse, riabilitata la credibilità di una organizzione non governativa e un compromesso (forse, dicono gli esperti, il vero obiettivo di tutta l'operazione), lasciare l'ospedale di Lashkar-gah.
Riempie di gioia vedere il volto stanco ma sorridente della madre di Marco Garatti, uno dei tre operatori di Emergency, arrestati in Afghanistan una settimana fa per complicità con i talebani e liberati ieri con tanto di assoluzione piena. Riempie di gioia vedere i tanti amici che hanno sostenuto Emergency in questa settimana con il cuore pieno di felicità. Resta un rammarico: quello delle occasioni perse, dei sospetti, delle accuse gratuite di una classe politica garantista a fasi alterne, di un mondo di amministratori locali che con scarsa autonomia di pensiero ragionano di destra e sinistra anche quando si parla di solidarietà ad un'organizzazione umanitaria, scomoda e critica forse, ma pur sempre un'organizzazione che cura i feriti di una guerra atroce. E se il ministro Frattini dopo i tentennamenti iniziali ha capito che in questa storia si giocava anche la credibilità italiana in campo internazionale, bruciano le critiche gratuite di personaggi come Gasparri o dei tanti suoi epigoni della destra. Bruciano anche qui a Brescia le mozioni di solidarietà bocciate e i silenzi di tanti parlamentari, ministri e sottosegretari di governo che stanno in maggioranza e alla guida delle istituzioni locali. Così i ringraziamenti degli amici di Marco Garatti vanno a Paolo Corsini, definito l'unico parlamentare che si è  mosso su questa storia aiutando anche a creare un filo diretto tra il ministro Frattini e la famiglia. Facendo ciò per il quale è stato eletto: politica e politica per il territorio. Altri, forse, si sono lasciati distrarre dal daltonismo politico che divide il mondo in nero e rosso, pensando che quello che stava accadendo a Kabul e dintorni forse quel "rosso" di Gino Strada un po' se l'era cercato. Peccato: per Brescia e per i suoi politici un'occasione persa.




venerdì 16 aprile 2010

Mensa di Adro: le lezioni del benefattore e quelle di chi gestisce il servizio

Quale è la sua idea di legalità? "Quella di tutte le persone normali: rispettare le leggi, non fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te. E poi fermezza ed educazione. Ricordando chi siamo, quali sono i nostri valori, come evitare le ingiustizie".
Silvano Lancini, l'imprenditore che ha pagato le rette per i bambini indigenti di Adro
dal Corriere della Sera del 16 aprile 2010

Quasi stanato dal bel intervento di ieri sul Corriere della Sera di Ermanno Olmi sulla generosità che crea scandalo, è uscito allo scoperto Silvano Lancini, l'imprenditore di Adro che con 10 mila euro ha contribuito a pagare le rette arretrate per quelle famiglie del suo paese che non riuscivano a saldare i pasti dei bambini, lasciati a digiuno dal Comune. Esce allo scoperto e ribadendo - sempre al Corriere - le cose di buon senso che aveva scritto nella lettera che accompagnava il contributo, mette in mora il sindaco spiegando di capire le difficoltà del primo cittadino a far quadrare i conti ma «a certi estremi non si dovrebbe mai arrivare. Si potevano tagliare altre spese, differenziare le rette in base ai redditi. Io ho messo lì una pezza, lo sentivo come dovere civico. Adesso andate avanti voi, dico: a cercare di far pagare i furbi, senza togliere il piatto dei bambini».
Governare è difficile, ma le soluzioni, volendo, si trovano, basta avere disponibilità e sensibilità per farlo. Volontà e sensibilità che, scusate, in un amministratore, parlo in generale, dovrebbero essere innate come l'idea della politica come servizio. Certo, forse è più facile sparare come ribadisce Silvano Lancini che il deficit della mensa è 50 mila euro, anche se in realtà è cinque volte meno, o che il Comune è costretto a ripianare i deficit del servizio(e non lo farà più in futuro per i casi di morosità) quando Giuseppina Paganotti, presidente dell'Associazione genitori che gestisce la mensa, dalle colonne di Bresciaoggi fa sommessamente notare che l'ultimo contributo per sanare vecchie pendenze risale al 2005 (quasi 6 mila euro) e che i 20/25 mila euro di contributo annuo erogato dal comune non è mai andato a sanare gli insoluti.
Il sindaco di Adro, insomma, sembra messo all'angolo dagli eventi e cerca di uscirne come può, anche dimenticando che un servizio come quello offerto dall'Age di Adro è uno di quelli che un comune dovrebbe tenersi stretto e coccolare. Perchè? Perchè ho recuperato i costi del servizio mensa di mio figlio (9 anni). Eccoli: costo pasto 4,50 euro, riduzione del 50% per il fratello/i maggiore/i; il servizio è fornito dalla cooperativa Cir Food di Reggio Emilia, pasti confezionati in un centro cottura è portati a destinazione con il catering.
Ad Adro il servizio prevede pasti confezionati al momento (niente viaggi in furgone, niente tonno e scatolette quando, come è capitato a Orzinuovi, dove abito, la ditta che forniva i pasti ha dichiarato fallimento) e grazie al contributo dei volontari si paga 3,90 euro a pasto con riduzione del 50% per il secondo e terzo figlio e rette diversificate in funzione dei redditi delle famiglie.
"Questo gioco al massacro svilisce l'impegno profuso dai nostri volontari in trent'anni" mastica amaro Giuseppina Paganotti. E a ragione. Guardo la circolare diffusa dal Comune in cui abito sul servizio mensa e non posso fare a meno di notare, scritto in grassetto, questa postilla: "L'amministrazione comunale intende dare un aiuto concreto alle famiglie che si trovano ad affrontare momenti difficili a seguito della mancata occupazione. A tal fine è stato approvato un piano anticrisi che prevede, tra gli interventi a sostegno del reddito, agevolazioni e riduzioni tariffarie per i servizi scolastici (mensa e serivizi di trasporto, ndr)". Basta poco dunque ad una amministrazione per tentare di affrontare problemi e congiunture non favorevoli. Basta solo volontà e buon senso, la stessa che sempre Giuseppina Paganotti ha mostrato davanti all'ipotesi dello sciopero delle rette, brandito quasi fosse una ritorsione nei confronti dell'imprenditore benefattore: "Forniremo regolarmente i pasti ai bambini dei genitori che sospenderanno volontariamente il versamento delle rette, poi procedendo legalmente per il recupero del credito". Tutto questo perchè - ragione vuole - le colpe dei padri non ricadano sui figli.

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giovedì 15 aprile 2010

Il caso di Adro. Se la generosità fa scandalo, forse si ha qualcosa da nascondere

"Fa bene leggere la storia dell'imprenditore che ha pagato il debito dei bambini di Adro. Mi hanno molto colpito alcune frasi che il generoso donatore ha voluto esprimere per spiegare il suo gesto. Ecco una di queste considerazioni: "I miei amici sono di tutte le idee politiche: gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona". Queste sono affermazioni che recano scandalo. La bontà è sempre stata uno scandalo. Dà fastidio a coloro che non la frequentano e per assolversi della loro indifferenza la denigrano e la deridono come una esposizione di buonismo".
Ermanno Olmi
in un intervento sul Corriere della Sera
del 15 aprile 2010.

Della mensa negata di Adro, della decisione dell'amministrazione comunale a guida leghista di lasciare a digiuno i bambini delle famiglie (italiane e straniere) non in regola con la retta, si è detto è scritto molto. Così come dell'anonimo imprenditore che con un assegno di 10 mila euro ha deciso di saldare il conto recapitando pure  una letter in Comune nella quale spiega, senza troppi giri di parole: "Ho votato centro destra, ma non ci sto". Parole dure anche nei confronti di una certa Chiesa un po' troppo muta nei confronti di una classe politica portatrice di valori cristiani più parlati che praticati (ma di questo vorrei condividere con voi qualche considerazione in uno dei prossimi post). Parole che ora hanno spinto il sindaco Oscar Lancini a scherarsi con coloro che, sempre in regola con i pagamenti, ma spiazzati dall'atto di generosità, dicono "non paghiamo più neanche noi".
 Questo "sciopero delle rette" (chissà perchè visto che da genitore sarei solo felice se fossero stati risolti i problemi degli indigenti?) forse fa uscire allo scoperto il vero tema di tutta questa storia: la strumentalizzazione politica nel solco di un principio che tende all'espulsione di ogni situazione critica in una comunità (dagli stranieri agli indigenti), il tutto nel nome di principi sacrosanti (la mensa non è un diritto e un servizio e come tale va pagato), ma branditi come una clava. Del resto non si tenta di cancellare la povertà impedendo ai barboni di dormire per strada nel nome del decoro urbano?
E il nuovo modo di amministrare adottato da tanti comuni. Davanti ad una famiglia che non può pagare la mensa, infatti, le strade da percorrere sono molteplici, soprattutto in questi momenti in cui la crisi sta prendendo per la gola tanti nuclei famigliari, stranieri e italiani. L'indigenza è da sempre materia per i servizi sociali e in un periodo in cui abbiamo una politica che mena vanto di aiutare le famiglie nel campo dell'istruzione (parificando addirittura la possibilità di scegliere fra scuola pubblica e scuola privata) non era possibile trovare soluzioni temporanee, che potessero dare un temporaneo aiuto alle famiglie in difficoltà?
Certo. Ma che pretendere da chi, ci informano le cronache, non solo ha escluso stranieri e coppie miste da una serie di agevolazioni ma pure le ragazze madri, con tanti saluti alla difesa (d'ufficio) della vita, diventato un cavallo di battaglia di molti amministratori?
E non si tirino in ballo i soliti "furbetti" che accerchiano le regole e i dati Isee (indicatore della situazione economica equivalente), perchè l'esperienza mi insegna, da figlio di impiegato con madre casalinga e casa in affitto, come da studente non abbia potuto beneficiare, in ragione del reddito di poco "fuori" dal range prestabilito, di assegni di studio e contributi alle tasse universitarie. Nulla da eccepire (è la legge, bellezza!) se non fosse che si respirava l'odore pungente dell'iniquità vedendo amici, figli di commercianti o piccoli imprenditori, contare, grazie al reddito dichiarato, su quegli stessi benefici che si erano rivelati improponibili per noi figli di lavoratori dipendenti.
I "furbetti", scusate, ma in tutta questa storia mi sembrano altri. Qui mi sembra ci sia solo una gestione cattiva e  utilitaristica di un problema reale, come la difficoltà ad arrivare a fine mese. Se poi arriva il gesto di un imprenditore che contemporaneamente grida che il "re è nudo" ecco la sollevazione popolare, invece di un grazie per la generosità e per lo schietto spunto di riflessione che ha accompagnato la donazione.
Un atteggiamento che ricorda quello di alcuni sindaci che, bacchettati da giudici e tribunali per decisioni definite discriminatorie e prese ad di fuori dei poteri assegnati ad un sindaco, gridano alla "giustizia rossa". Come se il buon senso e la giustizia ispirata ad alcuni principi fondamentali della convivenza civile avesse un colore. Se la pensiamo così allora ha ragione Ermanno Olmi quando dice che anche la "generosità fa scandalo" se le coscienze sono insipide o se nasconde "le nostre meschine inadempienze".

La lettera inviata dall'anonimo benefattore di Adro

martedì 13 aprile 2010

Emergency: l'epilogo e le brutte figure.

Come sarà l'epilogo del giallo di Kabul, l'arresto con accuse di terrorismo dei tre operatori umanitari di Emergency? Uno scenario possibile e probabile lo traccia oggi sul Corriere della sera Pino Arlacchi, sociologo prestato al mondo per le sue competenze nella lotta alle mafie e alla droga (sua la campagna negli anni '90 per l'eliminazione dell'oppio proprio nell'Afghanistan talebano)  e da qualche anno europarlamentare nell'Italia dei Valori. «Questione di giorni poi i tre italiani saranno scarcerati, ma dovranno lasciare l'Afghanistan. Quanto all'ospedale di Emergency ad Helmand, vero obbiettivo dell'operazione, Gino Strada sarà costretto a piegarsi e la struttura verrà chiusa. E' un peccato, ma finirà così» spiega ad Andrea Nicastro e mentre leggiamo le sue dichiarazioni arriva la notizia che l'ospedale "per motivi di sicurezza" è in mano da oggi alla polizia afghana. Un destino segnato per Arlacchi, che, però, fa anche una valutazione interessante su quanto l'autorevolezza diplomatica italiana sia ridotta al lumicino e quanto, al contrario, in uno scenario dove si giocano partite con concorrenti potenti e con secondi fini ingombranti sia deleteria una presenza tanto discreta da essere muta.
Spiega Arlacchi: «Tutto questo non sarebbe mai successo se a Kabul avessimo ancora un rappresentante del calibro di Ettore Sequi. Uno che è stato prima nostro ambasciatore, poi rappresentante Ue e che ho visto considerato dal governo afghano come nessun altro straniero mai. Con lui su piazza non si sarebbero permessi. Invece, la nostra diplomazia cosa fa? Lo lascia andar via dall'Afghanistan con il risultato di vedere il peso politico dell'Italia e quello stesso dell'Europa drasticamente ridotto». E se lo dice lui che conosce bene l'Afghanistan (prima come funzionario Onu, oggi come europarlamentare relatore sulla nuova strategia afghana dell'Europa) e che non passa giorno  (vedi il video qui sotto) in cui non denunci una situazione che definire difficile, anche dal punto di vista dei rapporti sociali, è un eufemismo, c'è da credergli. Le ragioni di quello che è successo a Marco Garatti e ai compagni di Emergency, secondo Arlacchi affonda radici lontane: «In questi mesi l'Afghanistan - dice - è al centro della politica americana: si discute se e quanto coinvolgere i talebani nel governo di Kabul e si prepara una jirga (assemblea) di riconciliazione forse già per maggio. Ma soprattutto ci sono le elezioni di midterm a novembre quando la nuova strategia del presidente Barack Obama varrà dei voti. L'idea che Obama ha messo in gioco è ottima: prima conquisti, poi stabilizzi e infine rilanci servizi pubblici ed economia». Se guerra deve essere, però, le vittime civili rappresentano un effetto collaterale che rischia di mantere ostile il territorio appena conquistato e che rende improponibile la stabilizzazione. Se la regione di Helmand sta al centro di questa campagna, ecco spiegata la "scomodità" di una struttura come quella di Emergency. Aggiunge Arlacchi: «Il fatto che abbiano deciso di eliminare Emergency mi fa pensare che ritengano di non farcela e che non riescano a contenere le vittime civili. Sento parlare, ad esempio, di intere campagne minate dalla Nato per impedire il ritorno dei talebani, ma la cosa non fa certo guadagnare appoggi tra la gente che in quelle campagne deve vivere. Qual è il posto migliore per contare le vittime delle mine o delle bombe nella fase due e tre della riconquista "obamiana" di Helmand? L'ospedale, ovvio. Emergency è l'unico osservatore presente che denuncerebbe il fallimento della strategia Usa e quindi va eliminato prima che possa far danni all'immagine di un successo di cui la Casa Bianca ha assoluta necessità».
E intanto in Italia il Governo continua ad occuparsi della cosa con un sospetto degno di miglior causa. Con un atteggiamento che abilita tanti piccoli epigoni, come la maggioranza in seno al Consiglio provinciale di Brescia, a bocciare una mozione di solidarietà generica nei termini e innocua nei contenuti: che dirà il cittadino bresciano doc, Marco Garatti fino ad ora unanimamente riconosciuto fra i benemeriti della città (solidarietà piena, ad esempio, dall'Ordine dei medici e dall'ex ospedale dove ha mosso i primi passi da professionista). Bella figura, bella autonomia di pensiero, grande difesa dei "bresciani del fare" nella terra di tanti missionari laici e religiosi.

E in tema di brutte figure da leggere è il fondo che Franco Venturini dedica al giallo di Kabul sulla prima pagina del Corriere. Il titolo è "Garantisti sempre". Un titolo chiaro per invocare un coraggio che, lo scrivevamo ieri, il Governo italiano non ha avuto.





"Non c'è più rispetto neanche per gli ospedali" Gino Strada




lunedì 12 aprile 2010

Edmondo Berselli: il curioso cantore di una società che cambia. Addio al giornalista timido e onesto

Se n'è andato Edmondo Berselli un giornalista timido e capace che ha scritto di politica, televisione e, soprattutto, ha raccontato la società italiana che cambia con rara maestria.
Per ricordarlo prendo in prestito e condivido con voi due ritratti di chi lo ha conosciuto e frequentato.
Dal blog di Vittorio Zucconi: "Una voce poco fa"

"Il mondo del giornalismo, anche quello italiano, è pieno di persone intelligenti, di ottime penne, di gente colta e di professionisti onesti, ma è la combinazione degli ingredienti che scarseggia. Con Berselli se ne è andato un giornalista intelligente, bravo, colto e onesto, proprio quando ne avremmo più bisogno, in questa fase di cortigiani della penna e del video e di eunuchi dell’ informazione. Come si dice dalle nostre comuni parti, nella provincia modenese, Adìo Edmànd".


Andrea Scanzi su La Stampa: Ciao Eddy, cesellatore di sublimi cazzeggi e adorabili tiri mancini

Questo è il piccolo ricordo di Edmondo Berselli che trovate nel giornale di stamani. Una piccola cosa per un grande amico. Che mancherà. A tutti.


Edmondo Berselli detestava i guru e la seriosità. Per questo non è mai andato d’accordo con i santoni della sinistra e la pletora di venerati maestri, più volte e goduriosamente sbertucciati. Inizialmente metteva inizialmente soggezione. Ne sa qualcosa Andrea Rivera. Eddy (noi lo chiamavamo così e a lui piaceva) se lo trovò premiato a Forte dei Marmi, nella rassegna per la satira. Non era d’accordo e, durante la conferenza stampa, se la prese con la sua parlata romanesca. Bastò una frase: “Per favore, Rivera, si esprima in italiano”. Risero tutti. Tranne Rivera.
Si sforzava di apparire cinico, ma non lo era. Lo muoveva una curiosità bulimica. Ecco perché ogni suo libro è gioiosamente incasinato. Tiri mancini su tiri mancini, da gran fantasista qual era. E chissà perché lo hanno sostituito così presto.
Le cose di cui amava parlare di più erano Lucio Battisti e la sua labrador. Se volevi provocarlo, bastava citargli i cantautori. Lui, a casa sua, prendeva la chitarra e sorrideva. Lodava l’era pre-68, si lamentava perché Shapiro gli faceva fare tardi (“Quello vive ancora da rockstar ma io no”) e si vantava che “i Pooh hanno suonato in casa mia” (ben sapendo che l’avrei mitragliato, citandogli oscuri gruppi islandesi).
Un altro suo must erano gli sms con cui, al mattino, ti tirava le orecchie se avevi usato parole come “topos”: “Non c’è bisogno di far sapere a tutti che hai studiato il greco”. Oppure l’aggettivo anteposto al sostantivo. Collezionava idiosincrasie e te le passava. Così: per osmosi.
Non tuttologo: onnivoro. Sublime e virtuoso – mai lezioso - cesellatore di altissimi cazzeggi. Lucido osservatore di un’Italia alla deriva. Aveva per bussole la compagna Marzia, gli amici (Beppe Cottafavi su tutti), la scrittura. Modena. E Liù. La sua labrador. La adorava, ma detestando lo stereotipo del “padrone di cani” ricominciava a fare il burbero. Si imponeva di non darle troppo da mangiare, di non imboccarla da tavola. Ti citava perfino Saussure (lo citava sempre, Saussure) pur di far credere che lui non stava parlando “solo” di un cane. Era la sua corazza finta. Noi la conoscevamo. Ci piaceva. E sorridevamo. Lui con noi".

Requiem...



Caso Emergency e il coraggio che il Governo non vuole avere

Dove è finita la presunzione di innocenza? Viene da chiedersi questo leggendo alcune dichiarazioni di esponenti di Governo e della maggioranza davanti allo strano caso degli operatori di Emergency arrestati in Afghanistan con le accuse di terrorismo.
Basterebbe la metà della determinazione con la quale quegli stessi esponenti di governo difesero, nella primavera del 2004, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana, Salvatore Stefio e Fabrizio Quattrocchi, i quattro dipendenti di una compagnia di sicurezza privata rapiti in Iraq da sedicenti "Falangi verdi di Maometto". Basterebbe anche la metà del vigore e della veemenza, della certezza che si tratti di un complotto, con la quale qui in Italia si difendono esponenti politici inquisiti dalla magistratura italiana. Così va il mondo in una classe politica in cui i valori espressi dalle persone e il grado di appoggio dato a questi valori sono ritenuti direttamente proporzionali alla sintonia ideale con il proprio scheramento.
Sentire Alfredo Mantica, sottosegretario agli esteri nutrire perplessità sull'operato di Emergency a Kabul e dintorni ed esternarle in un momento tanto delicato vuol dire aprire il "fuoco amico" (amico nel senso che un ministero degli esteri dovrebbe tutelare gli italiani in giro per il mondo - anche il più bieco narcotrafficante - per garantire il rispetto di quei diritti di cui gode nella sua nazione) contro una organizzazione certo scomoda ma non per questo meno riconosciuta per il proprio impegno umanitario. Vuol dire consumare un regolamento di conti politico (e Maurizio Gasparri anche questa volta è un killer con il bazooka) con Gino Strada sulla pelle della cooperazione, magari poco allineata, ma pur sempre un'eccellenza italiana, sulla pelle dei famigliari dei tre fermati che denunciano i silenzi delle nostre autorità.
Capisco le cautele diplomatiche, ma sono meno comprensibili i balbettii di un ministro come Frattini che nella sua curiale presa di posizione di ieri dopo le presunte (oggi smentite) confessioni sembra quasi voler alimentare un dubbio, tenere vivo un sospetto. Avrebbe potuto dire le stesse cose con un altro taglio, con altra determinazione. Ripeto, con la metà del piglio risoluto con cui, in altre occasioni ci si è affrettati a tessere le virtù eroiche di quanti si trovavano, sia pur con qualche distinguo, in situazioni abbastanza simili.
A maggior ragione se - come ci informa una "infiltrata" nei Servizi segreti come Fiorenza Sarzanini sul Corriere di oggi - l'intelligence di casa nostra teme che tutta questa storia sia una trappola che affondi le sue radici addirittura nella mediazione fatta da Emergency nel 2007 per la liberazione dell'inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. "Gli 007 escludono - cito testualmente dall'articolo della Sarzanini - che i tre sanitari catturati abbiano nascosto le armi all'interno della struttura o che abbiano partecipato a un complotto contro il governatore della provincia di Helmand. Ritengono che possano essere rimasti vittima di una trappola o addirittura di una ritorsione".
Ci si sta avventurando in un percorso insidioso dal quale - dicono gli esperti - non si uscirà troppo presto. Ma proprio per questo che senso ha, se a Kabul si seminano mine per rendere la vita difficile ad Emergency e indurla a pagare un riscatto ideale fatto di silenzi e sorrisi accondiscendenti verso il potente di turno, che in Italia si giochi a lanciare le granate?
E la politica bellezza, direbbe qualcuno? A me sembra solo la fiera della barbarie.

"Una guerra ad un ospedale" di Gino Strada



"La storia di Emergency" - Ma vi sembrano terroristi?



LEGGI IL DOSSIER: "La guerra di Helmand" da Peace Reporter

domenica 11 aprile 2010

Liberate Marco Garatti e gli uomini di Emergency

"Faccio l'unica cosa che apparentemente sono capace di fare nella vita: aggiusto pezzi di uomini"
Marco Garatti
Ho intervistato Marco Garatti quando ancora il suo impegno con Emergency si districava tra aspettative dal lavoro in corsia all'Ospedale S.Orsola di Brescia e un futuro promettente verso le nuove frontiere della chirurgia epatica. Ne ho raccolto le aspettative, il senso di una vocazione per un lavoro duro e per una testimonianza laica dalla parte dell'uomo e contro la guerra.
Insomma ho raccolto abbastanza elementi per dire che l'arresto di Kabul insieme a due colleghi di Emergency e le accuse di aver complottato un attentato terroristico puzzano castello costruito ad arte da qualche servizio segreto che ha tutto l'interesse a far tacere una voce scomoda come quella dell'organizzazione fondata da Gino Strada. Quindi non mi resta che accomunare questo blog all'appello che fanno in tanti a Brescia come in Italia: "Liberate Marco Garatti e gli uomini di Emergency".

Segui la vicenda su:
Peace Reporter
Emergency



MARCO GARATTI PARLA QUI DELLA SUA ESPERIENZA: PeaceReporter - video

venerdì 9 aprile 2010

Integrazione, culture e letteratura: un'amica in finale

Ricevo dall'amica Simone Silva la notizia che un suo racconto intitolato "Lettera postuma a mia madre" è tra i dieci finalisti del concorso "Lingua Madre - racconti di donne straniere in Italia" nell'ambito del Salone internazionale del libro che si svolgerà a Torino dal 13 al 17 maggio. Il racconto, dopo che la valutazione di una giuria di esperti ha scelto tre vincitori e altrettanti premi speciali, è sottoposto al vaglio di una giuria popolare. Chiunque ora può dare il suo voto esprimendo una preferenza via mail all'indirizzo   giuriapopolare@concorsolinguamadre.it.
Potete leggere cliccando qui i racconti finalisti e qui sotto potete sfogliare quello di Simone Silva, un toccante ricordo che unisce affetti famigliari, amore per la propria terra (il Brasile) e per la nuova vita qui in Italia.
Buona lettura.

Politicamente scorretto: metti una moschea nel poligono di tiro

Curiosando fra le notizie di esteri sono incappato in questa che mi sembra curiosa: Gran Bretagna, polemiche per l'uso di sagome di moschee nei poligoni di tiro. Ne da notizia Peace Report che riferisce delle proteste di una associazione islamica e la richiesta di scuse all'esercito per l'uso che viene fatto durante le esercitazioni di sagome di moschee nei poligoni di tiro e nei campi di addestramento. "Si crea una percezione sbagliata dell'Islam" dice l'associazione religiosa. Come si difende l'esercito? Leggi qui sotto:
Un'organizzazione islamica britannica, il Bradford Council for Mosques (Bmc), ha chiesto le scuse dell'esercito britannico, dopo la rivelazione che nel poligono di tiro di un campo del North Yorkshire sarebbero riprodotte alcune sagome di moschee.
Il ministero della Difesa ha replicato che non c'è alcuna intenzione di offendere la religione musulmana. Nel campo di addestramento tra Bellerby e Catterick, ci sono in effetti sette strutture che riproducono edifici tipici dei paesi islamici.
Il Bmc accusa l'esercito di diffondere una percezione negativa dell'islam, peraltro proprio nel momento in cui viene condotta una forte campagna di reclutamento tra i cittadini musulmani. Un portavoce della Difesa ha spiegato che il poligono è stato allestito per i soldati destinati alla guerra in Afghanistan, con l'intento di "riprodurre l'ambiente dove saranno impiegati".

giovedì 8 aprile 2010

Giornali e poteri forti: una bella lezione

Sfogliando il Corriere della Sera di ieri (scusatemi se la segnalazione vi arriva con 24 ore di ritardo) vorrei evidenziare due notizie che riguardano il modo di fare giornalismo. La prima arriva da Parigi e ha una doppia faccia. Il presidente francese Sarkozy fa licenziare due giornalisti che sul sito del Journal du Dimanche avevano parlato del presunto tradimento reciproco del presidente e della consorte Carla Bruni. Sarkozy, alzando il telefono e parlando con l'editore amico Arnaud Lagardère, ha compiuto l'eccidio dando prova di un efficentismo nel quale Berlusconi continua a fare cilecca sin dal lontano 2002, con il famoso editto bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi. Prendendo atto che tra politica e giornalismo, soprattutto quello che manifesta un minimo di autorevolezza e indipendenza,  il rapporto è internazionalmente difficile, l'articolo di Cazzullo ci ricorda però anche che lo spietato Sarkozy deve comunque far fronte a media che non gli fanno sconti, evidenziando promesse non mantenute e nepotismo strisciante (come quando tentò di insediare il figlio 23enne alla presidenza della Defènse). I soliti comunisti? No e non solo, anche Le Figaro (quotidiano della destra francese) o le principali reti televisive non certo in mano alla sinistra gliele hanno cantate ad ogni passo falso.
E in Italia? Verrebbe voglia di lasciar perdere i paragoni se a pagina 14 dello stesso Corriere (quella dedicata a Idee&opinioni) non vi fosse un commento di due colonnine siglato f.de b.. Cinquanta righe del direttore Ferruccio de Bortoli con un titolo asettico ("Prezzi della benzina, il "Corriere" e la reazione dei petrolieri") ma con un contenuto che ha il sapore di una vanga sparata sui denti. Il tema è la corsa del prezzo della benzina e una lettera piccata del presidente dell'Unione petrolifera Pasquale De Vita al quotidiano milanese definita da De Bortoli "sgarbata nella forma e contraddittoria nei contenuti". Se l'Unione definisce infondate e strumentali le polemiche sui rincari, De Bortoli mette in riga il suo presidente (definito "da troppi anni alla guida dell'associazione" e non nuovo "a simili performance"), reo di scambiare "(anche negli incolori anni trscorsi all'Eni) il diritto di informazione per una fastidiosa accisa che grava sull'universo, splendido e intoccabile, dei suoi associati". Non so, nel panorama dei "poteri forti", come si collochino i petrolieri italiani, certo che non mi sembra siano nelle ultime posizioni. Nonostante ciò De Bortoli, spiegando e difendendo il lavoro del suo giornale, rivendica con autorevolezza un'autonomia che è sempre più una merce rara nell'editoria italiana. "L'Unione petrolifera minaccia querele? Le faccia - scrive -. Se invece, come lo sono molti dei suoi associati, vuole dimostrarsi più attenta alle esigenze dei consumatori di quanto non lo sia il suo presidente e vorrà accettare un franco e rispettoso confronto pubblico sarà la benvenuta. Altrimenti dovremo concludere che finchè c'è De Vita non c'è speranza".
Bravo De Bortoli, ci hai dato una bella lezione di giornalismo. A quando - dirà qualcuno che forse si sarebbe già genuflesso alla corte di De Vita - tanta determinazione anche con banche e imprenditori che compongono il patto di sindacato del Corriere? Per ora accontentiamoci di questa primo spunto, perchè l'esordio mi sembra convincente.  

martedì 6 aprile 2010

La storia di Pasqua: a Tiberiade la pesca non è più miracolosa

Quale è la vostra storia di Pasqua? Io l'ho trovata sul Corriere della Sera del 4 aprile, giorno di Pasqua, appunto. E' la notizia che parla dello stop della pesca sul lago di Tiberiade (nella foto): una moratoria di due anni per permettere il ripopolamento di quello che da queste parti è come il branzino e l'orata per la laguna di Orbetello: il Sarotherodon, meglio noto con il nome di San Pietro. Sì, proprio come l'apostolo pescatore che divideva questa nobile professione con Giovanni, Giacomo e Andrea e che su questo lago (principale fonte idrica di Israele, che per questo ha ridotto il fiume giordano ad un fosso melmoso) era di casa.
Una catastrofe per gli abitanti della zona, una notizia per i giornali di mezzo mondo e per molti, nel giorno di Pasqua, l'occasione per ripassare un po' di Sacra scrittura: dalla pesca miracolosa alla moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Leggi qui "Tiberiade, nel lago dei Vangeli non si pesca più"

sabato 3 aprile 2010

Buona Pasqua. Aspettando la risurrezione... la nostra

Buona Pasqua... aspettando la risurrezione. Qualcuno oltre duemila anni fa ci è riuscito. Noi (il nostro paese, il nostro essere uomini e donne del terzo millennio) ci stiamo ancora provando. Non è facile, le zavorre, vecchie e nuove, sono tante, ma non perdiamo la speranza.

venerdì 2 aprile 2010

Abusi di Salò: lettera ad un professore vile come un po' tutti noi

Torniamo sugli abusi di Salò per segnalare una bella e dura lettera di Roberta De Monticelli (nella foto) docente di Filosofia della persona all'Università San Raffaele di Milano, pubblicata ieri dal Corriere della sera.
Il titolo è emblematico: " Quel professore distratto e vile di Salò siamo noi". In quell'aula, sintetizziamo, sono successe cose drammatiche, si sono visti comportamenti vili e omertosi, ma quella classe altro non è, in fondo, che lo specchio di una società. La nostra.




Caro direttore,
c' è un fatto - se è un fatto - che riassume e concentra in sé la pura essenza, anzi l' impura, mediocre essenza, mista di incoscienza e ignavia di questi tempi: le forze del nulla. E' il fatto della ragazzina abusata in classe, in una scuola media di Salò, nell' assoluta omertà dei suoi compagni e delle sue amiche, e sotto lo sguardo indifferente del professore. Di questo professore voglio parlare, in primo luogo. Che continua a fare lezione, come se nulla fosse, fingendo di non accorgersi del trambusto, delle risate, del dolore, dell' orrore lì a pochi metri, in fondo alla classe. Come definire questo comportamento? Lasciamo stare il risvolto penale, l' omissione di soccorso e di esercizio della propria autorità di pubblico ufficiale e di insegnante. Restiamo ai termini morali. Come definirlo? Irresponsabile? Vile? Infame? Gli aggettivi non bastano e non dicono. C' è di più e di meno, c' è quel nulla indicibile che rende inadeguato ogni aggettivo: non so, non vedo, non ci sono, non me ne frega niente. In secondo luogo, dei ragazzi e delle ragazze voglio parlare: che ridevano, o tacevano, e coprivano i violenti. Come definirli? Hanno a tal punto la mafia nel sangue, i ragazzi di questo Paese, a dodici anni? A tal punto l' omertà è nei loro geni, che perfino le amiche della ragazza stanno zitte invece di urlare contro lo schifo, la vergogna, l' orrore? Anche qui gli aggettivi non dicono giusto, perché non sono fatti per dire il nulla, il non: dell' indifferenza, dell' ignoranza, dell' inconsapevolezza senza fine e senza rimedio. E infine della ragazzina abusata, voglio parlare, che subisce tutto senza rivoltarsi, e poi scrive alla madre: «scusa, ho fatto una cosa schifosa, non voglio più vivere». Come definire questo comportamento? Silenzio dell' innocente, oscena complicità con il male che si subisce, o tremenda indistinzione fra dolore e colpa, fra impotenza e violenza, fra l' ignobile e il giusto? No, gli aggettivi non dicono il non che il fascismo rimasto attaccato alla nostra lingua dice invece così bene: me ne frego, ti frego e ne godo, sono fregato. E non ce ne frega niente. Ma la situazione dice tutto, liscia come uno specchio. Quel professore, siamo noi. Molti di noi che avrebbero sapere e autorità per intervenire e denunciare, e continuano a fare la loro lezione, invece. Quei ragazzi, quelle ragazze, perdutamente inconsapevoli del destino di servitù che ha già divorato l' anima loro, siamo noi, noi che abusiamo della povera vita del nostro prossimo ghignando di soddisfazione, noi che alziamo le spalle per marcare la nostra indifferenza, e di fronte ad abusatori ed abusati diciamo: «sono tutti uguali». Quella ragazzina violata e sospesa dalla scuola insieme con i colpevoli siamo noi. E' questa patria straniera, umiliata, sfigurata dalla vergogna. Che ha fatto una cosa schifosa, e non vuole più vivere.
Roberta De Monticelli