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martedì 13 aprile 2010

Emergency: l'epilogo e le brutte figure.

Come sarà l'epilogo del giallo di Kabul, l'arresto con accuse di terrorismo dei tre operatori umanitari di Emergency? Uno scenario possibile e probabile lo traccia oggi sul Corriere della sera Pino Arlacchi, sociologo prestato al mondo per le sue competenze nella lotta alle mafie e alla droga (sua la campagna negli anni '90 per l'eliminazione dell'oppio proprio nell'Afghanistan talebano)  e da qualche anno europarlamentare nell'Italia dei Valori. «Questione di giorni poi i tre italiani saranno scarcerati, ma dovranno lasciare l'Afghanistan. Quanto all'ospedale di Emergency ad Helmand, vero obbiettivo dell'operazione, Gino Strada sarà costretto a piegarsi e la struttura verrà chiusa. E' un peccato, ma finirà così» spiega ad Andrea Nicastro e mentre leggiamo le sue dichiarazioni arriva la notizia che l'ospedale "per motivi di sicurezza" è in mano da oggi alla polizia afghana. Un destino segnato per Arlacchi, che, però, fa anche una valutazione interessante su quanto l'autorevolezza diplomatica italiana sia ridotta al lumicino e quanto, al contrario, in uno scenario dove si giocano partite con concorrenti potenti e con secondi fini ingombranti sia deleteria una presenza tanto discreta da essere muta.
Spiega Arlacchi: «Tutto questo non sarebbe mai successo se a Kabul avessimo ancora un rappresentante del calibro di Ettore Sequi. Uno che è stato prima nostro ambasciatore, poi rappresentante Ue e che ho visto considerato dal governo afghano come nessun altro straniero mai. Con lui su piazza non si sarebbero permessi. Invece, la nostra diplomazia cosa fa? Lo lascia andar via dall'Afghanistan con il risultato di vedere il peso politico dell'Italia e quello stesso dell'Europa drasticamente ridotto». E se lo dice lui che conosce bene l'Afghanistan (prima come funzionario Onu, oggi come europarlamentare relatore sulla nuova strategia afghana dell'Europa) e che non passa giorno  (vedi il video qui sotto) in cui non denunci una situazione che definire difficile, anche dal punto di vista dei rapporti sociali, è un eufemismo, c'è da credergli. Le ragioni di quello che è successo a Marco Garatti e ai compagni di Emergency, secondo Arlacchi affonda radici lontane: «In questi mesi l'Afghanistan - dice - è al centro della politica americana: si discute se e quanto coinvolgere i talebani nel governo di Kabul e si prepara una jirga (assemblea) di riconciliazione forse già per maggio. Ma soprattutto ci sono le elezioni di midterm a novembre quando la nuova strategia del presidente Barack Obama varrà dei voti. L'idea che Obama ha messo in gioco è ottima: prima conquisti, poi stabilizzi e infine rilanci servizi pubblici ed economia». Se guerra deve essere, però, le vittime civili rappresentano un effetto collaterale che rischia di mantere ostile il territorio appena conquistato e che rende improponibile la stabilizzazione. Se la regione di Helmand sta al centro di questa campagna, ecco spiegata la "scomodità" di una struttura come quella di Emergency. Aggiunge Arlacchi: «Il fatto che abbiano deciso di eliminare Emergency mi fa pensare che ritengano di non farcela e che non riescano a contenere le vittime civili. Sento parlare, ad esempio, di intere campagne minate dalla Nato per impedire il ritorno dei talebani, ma la cosa non fa certo guadagnare appoggi tra la gente che in quelle campagne deve vivere. Qual è il posto migliore per contare le vittime delle mine o delle bombe nella fase due e tre della riconquista "obamiana" di Helmand? L'ospedale, ovvio. Emergency è l'unico osservatore presente che denuncerebbe il fallimento della strategia Usa e quindi va eliminato prima che possa far danni all'immagine di un successo di cui la Casa Bianca ha assoluta necessità».
E intanto in Italia il Governo continua ad occuparsi della cosa con un sospetto degno di miglior causa. Con un atteggiamento che abilita tanti piccoli epigoni, come la maggioranza in seno al Consiglio provinciale di Brescia, a bocciare una mozione di solidarietà generica nei termini e innocua nei contenuti: che dirà il cittadino bresciano doc, Marco Garatti fino ad ora unanimamente riconosciuto fra i benemeriti della città (solidarietà piena, ad esempio, dall'Ordine dei medici e dall'ex ospedale dove ha mosso i primi passi da professionista). Bella figura, bella autonomia di pensiero, grande difesa dei "bresciani del fare" nella terra di tanti missionari laici e religiosi.

E in tema di brutte figure da leggere è il fondo che Franco Venturini dedica al giallo di Kabul sulla prima pagina del Corriere. Il titolo è "Garantisti sempre". Un titolo chiaro per invocare un coraggio che, lo scrivevamo ieri, il Governo italiano non ha avuto.





"Non c'è più rispetto neanche per gli ospedali" Gino Strada




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