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lunedì 12 aprile 2010

Caso Emergency e il coraggio che il Governo non vuole avere

Dove è finita la presunzione di innocenza? Viene da chiedersi questo leggendo alcune dichiarazioni di esponenti di Governo e della maggioranza davanti allo strano caso degli operatori di Emergency arrestati in Afghanistan con le accuse di terrorismo.
Basterebbe la metà della determinazione con la quale quegli stessi esponenti di governo difesero, nella primavera del 2004, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana, Salvatore Stefio e Fabrizio Quattrocchi, i quattro dipendenti di una compagnia di sicurezza privata rapiti in Iraq da sedicenti "Falangi verdi di Maometto". Basterebbe anche la metà del vigore e della veemenza, della certezza che si tratti di un complotto, con la quale qui in Italia si difendono esponenti politici inquisiti dalla magistratura italiana. Così va il mondo in una classe politica in cui i valori espressi dalle persone e il grado di appoggio dato a questi valori sono ritenuti direttamente proporzionali alla sintonia ideale con il proprio scheramento.
Sentire Alfredo Mantica, sottosegretario agli esteri nutrire perplessità sull'operato di Emergency a Kabul e dintorni ed esternarle in un momento tanto delicato vuol dire aprire il "fuoco amico" (amico nel senso che un ministero degli esteri dovrebbe tutelare gli italiani in giro per il mondo - anche il più bieco narcotrafficante - per garantire il rispetto di quei diritti di cui gode nella sua nazione) contro una organizzazione certo scomoda ma non per questo meno riconosciuta per il proprio impegno umanitario. Vuol dire consumare un regolamento di conti politico (e Maurizio Gasparri anche questa volta è un killer con il bazooka) con Gino Strada sulla pelle della cooperazione, magari poco allineata, ma pur sempre un'eccellenza italiana, sulla pelle dei famigliari dei tre fermati che denunciano i silenzi delle nostre autorità.
Capisco le cautele diplomatiche, ma sono meno comprensibili i balbettii di un ministro come Frattini che nella sua curiale presa di posizione di ieri dopo le presunte (oggi smentite) confessioni sembra quasi voler alimentare un dubbio, tenere vivo un sospetto. Avrebbe potuto dire le stesse cose con un altro taglio, con altra determinazione. Ripeto, con la metà del piglio risoluto con cui, in altre occasioni ci si è affrettati a tessere le virtù eroiche di quanti si trovavano, sia pur con qualche distinguo, in situazioni abbastanza simili.
A maggior ragione se - come ci informa una "infiltrata" nei Servizi segreti come Fiorenza Sarzanini sul Corriere di oggi - l'intelligence di casa nostra teme che tutta questa storia sia una trappola che affondi le sue radici addirittura nella mediazione fatta da Emergency nel 2007 per la liberazione dell'inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. "Gli 007 escludono - cito testualmente dall'articolo della Sarzanini - che i tre sanitari catturati abbiano nascosto le armi all'interno della struttura o che abbiano partecipato a un complotto contro il governatore della provincia di Helmand. Ritengono che possano essere rimasti vittima di una trappola o addirittura di una ritorsione".
Ci si sta avventurando in un percorso insidioso dal quale - dicono gli esperti - non si uscirà troppo presto. Ma proprio per questo che senso ha, se a Kabul si seminano mine per rendere la vita difficile ad Emergency e indurla a pagare un riscatto ideale fatto di silenzi e sorrisi accondiscendenti verso il potente di turno, che in Italia si giochi a lanciare le granate?
E la politica bellezza, direbbe qualcuno? A me sembra solo la fiera della barbarie.

"Una guerra ad un ospedale" di Gino Strada



"La storia di Emergency" - Ma vi sembrano terroristi?



LEGGI IL DOSSIER: "La guerra di Helmand" da Peace Reporter

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