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venerdì 2 aprile 2010

Abusi di Salò: lettera ad un professore vile come un po' tutti noi

Torniamo sugli abusi di Salò per segnalare una bella e dura lettera di Roberta De Monticelli (nella foto) docente di Filosofia della persona all'Università San Raffaele di Milano, pubblicata ieri dal Corriere della sera.
Il titolo è emblematico: " Quel professore distratto e vile di Salò siamo noi". In quell'aula, sintetizziamo, sono successe cose drammatiche, si sono visti comportamenti vili e omertosi, ma quella classe altro non è, in fondo, che lo specchio di una società. La nostra.




Caro direttore,
c' è un fatto - se è un fatto - che riassume e concentra in sé la pura essenza, anzi l' impura, mediocre essenza, mista di incoscienza e ignavia di questi tempi: le forze del nulla. E' il fatto della ragazzina abusata in classe, in una scuola media di Salò, nell' assoluta omertà dei suoi compagni e delle sue amiche, e sotto lo sguardo indifferente del professore. Di questo professore voglio parlare, in primo luogo. Che continua a fare lezione, come se nulla fosse, fingendo di non accorgersi del trambusto, delle risate, del dolore, dell' orrore lì a pochi metri, in fondo alla classe. Come definire questo comportamento? Lasciamo stare il risvolto penale, l' omissione di soccorso e di esercizio della propria autorità di pubblico ufficiale e di insegnante. Restiamo ai termini morali. Come definirlo? Irresponsabile? Vile? Infame? Gli aggettivi non bastano e non dicono. C' è di più e di meno, c' è quel nulla indicibile che rende inadeguato ogni aggettivo: non so, non vedo, non ci sono, non me ne frega niente. In secondo luogo, dei ragazzi e delle ragazze voglio parlare: che ridevano, o tacevano, e coprivano i violenti. Come definirli? Hanno a tal punto la mafia nel sangue, i ragazzi di questo Paese, a dodici anni? A tal punto l' omertà è nei loro geni, che perfino le amiche della ragazza stanno zitte invece di urlare contro lo schifo, la vergogna, l' orrore? Anche qui gli aggettivi non dicono giusto, perché non sono fatti per dire il nulla, il non: dell' indifferenza, dell' ignoranza, dell' inconsapevolezza senza fine e senza rimedio. E infine della ragazzina abusata, voglio parlare, che subisce tutto senza rivoltarsi, e poi scrive alla madre: «scusa, ho fatto una cosa schifosa, non voglio più vivere». Come definire questo comportamento? Silenzio dell' innocente, oscena complicità con il male che si subisce, o tremenda indistinzione fra dolore e colpa, fra impotenza e violenza, fra l' ignobile e il giusto? No, gli aggettivi non dicono il non che il fascismo rimasto attaccato alla nostra lingua dice invece così bene: me ne frego, ti frego e ne godo, sono fregato. E non ce ne frega niente. Ma la situazione dice tutto, liscia come uno specchio. Quel professore, siamo noi. Molti di noi che avrebbero sapere e autorità per intervenire e denunciare, e continuano a fare la loro lezione, invece. Quei ragazzi, quelle ragazze, perdutamente inconsapevoli del destino di servitù che ha già divorato l' anima loro, siamo noi, noi che abusiamo della povera vita del nostro prossimo ghignando di soddisfazione, noi che alziamo le spalle per marcare la nostra indifferenza, e di fronte ad abusatori ed abusati diciamo: «sono tutti uguali». Quella ragazzina violata e sospesa dalla scuola insieme con i colpevoli siamo noi. E' questa patria straniera, umiliata, sfigurata dalla vergogna. Che ha fatto una cosa schifosa, e non vuole più vivere.
Roberta De Monticelli

3 commenti:

Micky ha detto...

Nella mia testa continua a rimbalzare vosticosamente una sola domanda: "Come è potuto succedere?" Stiamo parlando di una classe di scuola, non di un centro commerciale...c'è qualcosa che non mi torna, o qualcuno dei soggetti coinvolti non la racconta giusta, o la mia mente si rifiuta di accettare un episodio del genere.

Marco Toresini ha detto...

Ho parlato con amici insegnanti, anche di lungo corso, e anche loro sono piuttosto increduli sulle dinamiche dei fatti. Soprattutto sulla versione dell'insegnante che non si sarebbe accorto di nulla. A meno che in troppi, in quella classe hanno preferito non vedere.

Anonimo ha detto...

Mi sento di condividere l'ultma frase "in troppi, in quella classe hanno preferito non vedere". Questo ci devefar interrogare. Come insegnanti, come studenti e in generale come cittadini.