Lo potremmo annoverare fra gli effetti collaterali del "caso Adro", ma è il segno più ampio e profondo di una chiesa frastornata, in difficoltà (e non mi riferisco agli scadali sulla pedofilia). Stetta e sballottata tra comunità e potere, valori spirituali e valori terreni. Sabato scorso, alla messa vespertina, il parroco del paese bresciano dove il sindaco ha messo a pane ed acqua i figli delle famiglie che non pagavano la mensa
ha letto dal pulpito un documento nel quale criticava, senza troppi giri di parole, Silvano Lancini l'imprenditore di Adro che aveva saldato il debito di 10 mila euro e in una
lettera, con altrettanta schiettezza, aveva bacchettato i silenzi dei preti sulla vicenda.
Don Gian Maria Fattorini non ci sta e attacca: «Il bene non fa rumore e in questi giorni, in cui di rumore ce n'è fin troppo, ci siamo più che mai proposti di non lasciarci tirare per la giacchetta da nessuna parte e venire così strumentalizzati alla stessa stregua dei bambini e delle mamme in questione. All'indignazione pubblica, allo stracciarsi delle vesti, alle urla di piazza di questi giorni, preferiamo continuare ad educare all'accoglienza e all'integrazione. Tutto questo in silenzio, perchè il bene non ama il rumore».
Ma attaccando con troppa feemenza si finisce anche in "fuori gioco", cioè in contraddizione con la stessa diocesi che sulle colonne del settimanale
"La Voce del Popolo" parla in questi termini della vicenda e del benefattore: «un gesto che ha dato una bella lezione ai suoi concittadini e a tutti i bresciani, (...) un umanesimo purtroppo in via di estinzione». Con tanto di «rammarico per le persone che non hanno capito lo spirito di un gesto privo di ogni protagonismo mediatico ma espressione invece di un senso di vivere comunitario che si contrappone all'egoismo di pochi e alla miopia di certa politica».
"A quel parroco - osserva, intanto,
Renata di Brescia sul sito delle Voce del Popolo - vorrei chiedere: davvero giudica le sue parole un contributo chiaro alla carità e alla verità? I parrocchiani confusi dalle polemiche hanno ricevuto un consiglio autorevole per scegliere se imitare il gesto o no?" Il dibattito è aperto e torna alla mente la lettera che nel dicembre scorso don Fabio Corazzina e due amici scrissero ai giornali dal titolo
"Cosa sta succedendo ai cattolici bresciani?" Un messaggio forte in cui si evidenzavano contraddizioni e silenzi davanti ad alcuni temi, come integrazione e accoglienza, e davanti ad alcune vicende che avevano scosso la provincia ed in cui era necessaria una chiara scelta di campo.
Il tema di una Chiesa frastornata dagli eventi, proprio mentre ad Adro si polemizzava sulla pelle dei bimbi, è approdato anche sulle colonne del Corriere della Sera dopo
un'intervista di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia per la vita. In quell'intervento il prelato guardava con compiacimento alle posizioni della Lega sui temi etici. Una presa di posizione che ha sconcertato il saggista
Claudio Magris che in un intervento dal titolo
"Se per la Lega i valori cattolici diventano uno strumento di potere" spiegava come la storia del movimento di Bossi fosse, in un mix di neopaganesimo ("il dio Po che non credo sia il medesimo cui mi rivolgo col Padre nostro") e di intolleranza, quanto di più lontano dal cristianesimo ci sia. Evidenziando come sul giornale cattolico di Torino "Il nostro Tempo" si valutasse il più recente «parrocchialismo» ostentato dalla Lega come "una strumentale operazione rivolta non certo ad affermare valori cristiani, bensì a manipolarli, a farne «instrumentum regni», strumento di potere. Inoltre tutto l' atteggiamento del medesimo partito nei confronti degli immigrati costituisce la negazione dello spirito cristiano, in quanto la Lega non si limita a sottolineare il problema - in sé certo grave e non risolvibile con un generico buonismo - dell' immigrazione e delle sue dimensioni, che potrebbero diventare insostenibili. La Lega spesso fomenta un volgare rifiuto razziale, che è la perfetta antitesi dell' amore cristiano del prossimo e del principio paolino secondo il quale "non ha più importanza essere greci o ebrei, circoncisi o no, barbari o selvaggi, schiavi o liberi: ciò che importa è Cristo e la sua presenza in tutti noi"».
In una sua
replica, publicata qualche giorno dopo, il prelato romano corregge il tiro, mette i puntini sulle i spiegando che di non aver mai detto che la Lega si fonda su principi cristiani, ma di aver apprezzato alcuni atteggiamenti del partito sui temi etici e si chiede dove sia lo scandalo in questo. Una precisazione
che non convince Magris per il quale pesano come pietre "odio e disprezzo" manifestati in troppe dichiarazioni leghiste.
Il dibattito non si spegnerà tanto presto. Per ora, resta una realtà piena di contraddizioni, un cattolicesimo fragile e debole in mezzo alla tempesta. Dove, senza farsi troppe domande, si passa dal lavoro in oratorio al gazebo bianco-verde come se si fosse al servizio degli stessi valori. Dove alle contrapposizioni sui valori, anche davanti a scelte amministrative in antitesi con lo spirito cattolico, si preferisce un silenzio che puzza di consociativismo. Perchè si chiede qualcuno? I più smaliziati hanno la risposta in tasca: se la sopravvivenza di oratori, chiese, scuole e strutture cattoliche ormai dipende in buona parte dalle sovvenzioni della politica meglio non disturbare il manovratore, se il rischio è che chiuda i rubinetti. E si sa, sin dai tempi di Vespasiano, "pecunia non olet".