martedì 2 febbraio 2010
Obbligare a parlare l'italiano? E' discriminatorio. Leggi l'ordinanza del giudice su Trenzano
Il tema è uno di quelli già trattati in questo blog: il Comune di Trenzano che ha disciplinato le pubbliche riunioni imponendo, fra le altre cose, alle associazioni di utilizzare la lingua italiana durante le loro assemblee. Un tema che nelle scorse settimane aveva già incontrato la bocciatura del Tar. Il Tribunale amministrativo aveva spiegato al sindaco del Comune della Bassa bresciana, Andrea Bianchi, che aveva deciso di cose su cui non aveva titolo di intervenire, trattandosi di questioni, come la libertà di riunione, sulle quali le eventuali limitazioni vanno decise da un Prefetto e non da un primo cittadino.
Sospesa amministrativamente la delibera, nei giorni scorsi è arrivato a maturazione il ricorso presentato da alcuni cittadini stranieri della Cgil, assistiti dai legali dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, al Tribunale civile di Brescia. Qui la questione era più spessa e riguardava i diritti della pesona: quella delibera è discriminatoria?
La risposta è stata inequivocabile: "Sì".
Il giudice delegato, Alessia Busato, ha infatti scritto: "L’effetto discriminatorio del provvedimento impugnato con riguardo all’uso obbligatorio della lingua italiana nel corso di riunioni pubbliche (nell’ampia eccezione delineata dall’ordinanza) è evidente. Il libero uso della propria lingua di origine deve essere ricondotto al nucleo fondamentale dei diritti dell’individuo, connotandone fortemente la personalità e permettendogli piena libertà di espressione e di comunicazione. Imporre ad una persona l’uso di una lingua diversa da quella nazionale, se non giustificato da un solido rispetto del principio di ragionevolezza (sotteso, ad esempio, all’esigenza che l’uso della lingua italiana sia garantito in atti pubblici o nell’esercizio di pubbliche funzioni) neppure delineato nel provvedimento de quo, costituisce illegittima disparità di trattamento che rientra nelle nozioni di discriminazione vietata nel nostro ordinamento".
Poche righe che tarpano inequivocabilmente le ali ad iniziative che sembrano diventate il filo conduttore di molte amministrazioni bresciane: dai bonus bebè per soli italiani ad altre amenità dove sono la razza e il colore della pelle a fare la differenza. Una tendenza sulla quale non pare molto convinto nemmeno il Ministero dell'Interno che, chiamato in giudizio davanti al tribunale di Brescia, ha, nella sostanza, condiviso la tesi del giudice e sconfessato il sindaco (di Centro destra come l'Esecutivo) producendo pure una lettera del Prefetto di Brescia con la quale il rappresentante del Governo censurava la scelta del primo cittadino di Trenzano ritenendola inopportuna.
Una ordinanza, quella del Tribunale che in poco più di sei pagine restituisce un minimo di serietà e umanità ad una convivenza civile che sembra essersi smarrita nella nebbia delle coscienze.
LEGGI QUI SOTTO COSA SCRIVE IL GIUDICE CIVILE SU TRENZANO
La sentenza del Tribunale civile contro Trenzano
Sospesa amministrativamente la delibera, nei giorni scorsi è arrivato a maturazione il ricorso presentato da alcuni cittadini stranieri della Cgil, assistiti dai legali dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, al Tribunale civile di Brescia. Qui la questione era più spessa e riguardava i diritti della pesona: quella delibera è discriminatoria?
La risposta è stata inequivocabile: "Sì".
Il giudice delegato, Alessia Busato, ha infatti scritto: "L’effetto discriminatorio del provvedimento impugnato con riguardo all’uso obbligatorio della lingua italiana nel corso di riunioni pubbliche (nell’ampia eccezione delineata dall’ordinanza) è evidente. Il libero uso della propria lingua di origine deve essere ricondotto al nucleo fondamentale dei diritti dell’individuo, connotandone fortemente la personalità e permettendogli piena libertà di espressione e di comunicazione. Imporre ad una persona l’uso di una lingua diversa da quella nazionale, se non giustificato da un solido rispetto del principio di ragionevolezza (sotteso, ad esempio, all’esigenza che l’uso della lingua italiana sia garantito in atti pubblici o nell’esercizio di pubbliche funzioni) neppure delineato nel provvedimento de quo, costituisce illegittima disparità di trattamento che rientra nelle nozioni di discriminazione vietata nel nostro ordinamento".
Poche righe che tarpano inequivocabilmente le ali ad iniziative che sembrano diventate il filo conduttore di molte amministrazioni bresciane: dai bonus bebè per soli italiani ad altre amenità dove sono la razza e il colore della pelle a fare la differenza. Una tendenza sulla quale non pare molto convinto nemmeno il Ministero dell'Interno che, chiamato in giudizio davanti al tribunale di Brescia, ha, nella sostanza, condiviso la tesi del giudice e sconfessato il sindaco (di Centro destra come l'Esecutivo) producendo pure una lettera del Prefetto di Brescia con la quale il rappresentante del Governo censurava la scelta del primo cittadino di Trenzano ritenendola inopportuna.
Una ordinanza, quella del Tribunale che in poco più di sei pagine restituisce un minimo di serietà e umanità ad una convivenza civile che sembra essersi smarrita nella nebbia delle coscienze.
LEGGI QUI SOTTO COSA SCRIVE IL GIUDICE CIVILE SU TRENZANO
La sentenza del Tribunale civile contro Trenzano
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