"E per chi rimase fu qualcosa di molto simile a un naufragio, a un evento senza ritorno, una voragine in cui si può sprofondare per sempre. O da cui invece si può ripartire raccogliendo la propria memoria e la propria identità, ritrovando la voglia di vivere, spingendo la notte più in là"
Mario Calabresi (da "Spingendo la notte più in là")
Andrebbero letti come una trilogia di successo, anche se non è un giallo avvicente, è la trilogia di un dolore che si trasforma in tributo, che si muta in una ricerca, che cammina attraverso le macerie degli anni delle bombe e del terrorismo alla ricerca di un perchè, alla caccia di un motivo, di un pretesto, di una mano tesa per poter ricominciare.
La trilogia è la trilogia dei figli: di Mario Calabresi ("Spingendo la notte più in là" , Mondadori), Benedetta Tobagi ("Come mi batte forte il tuo cuore", Einaudi) e Umberto Ambrosoli ("Qualunque cosa succeda", Sironi). I figli di un commissario di polizia, di un giornalista- sindacalista, di un professionista incaricato, da liquidatore, di mettere ordine nel verminaio della Banca Privata di Michele Sindona. Tre padri uccisi, come si dice, nell'adempimento del proprio dovere, tre giusti che hanno lascito famiglie in lacrime, figli in fasce. Quei figli che ora cercano i padri e lo fanno scrutando ciò che resta i questi anni, le domande inappagate, le ingiustizie che non finiscono mai, le calunnie e le mistificazioni, la società e lo stato incapaci di dire tutto per voltare pagina.
Tre figli che, in una iniziativa di grande spessore, a 36 anni dalla Strage di piazza della Loggia a Brescia, Casa della Memoria, Comune e Provincia di Brescia, portano sul palco a parlare di quegli anni, di quei lutti di quella voglia di capire in un percorso che una persona caparbia come Manlio Milani (motore dell'associazione vittime di Piazza Loggia) ha intrapreso da tempo: costruire una memoria, completa, senza reticenze, con i giusti spazi per la giustizia e la riconciliazione, dalla quale far ripartire la società civile, così come è ripartito il Sud Africa del dopo Aphartheid.
Mario Calabresi e Benedetta Tobagi si confronteranno con Mino Martinazzoli il 9 febbraio alla 20.45 all'Auditorim S.Barnaba di Brescia, Umberto Ambrosoli 10 giorni dopo (Teatro Sancarlino a Brescia, ore 18) in compagnia degli autori del libro "Il caffe di Sindona".
Due iniziative che aiutano a capire, due serata in cui i figli di quei padri vilipesi dagli eventi ci daranno la forza per ricordare, ripartire e continuare a sperare.
"Viviamo in un'epoca promettente e drammatica che merita d'essere intensamente studiata, capita, vissuta. Questa è la verità. E in un'epoca come questa anche il mio vecchio mestiere di cronista - che teme soprattutto i momenti di banalità - torna ad essere, continua ad essere, il più bel mestiere del mondo". Piero Agostini (1934 -1992)
(dall'editoriale di insediamento alla direzione di Bresciaoggi - 12 gennaio 1990)
Il buon giornalismo
"Per fare buon giornalismo non ci vuole un'intelligenza superiore ma tenacia.Bisogna capire che un buon reportage è anche noia: bisogna esserci, aspettare,
stare concentrati, guardare tutto con grande cura, ascoltare con attenzione e preoccuparsi sempre di cercare il senso di ciò che si vede. E bussare, bussare
continuamente alle porte. Forse il mio motto potrebbe essere sintetizzato così: "toc-toc". E' questa la tenacia"
David Remnick
direttore del "New Yorker"
(da Mario Calabresi: "La fortuna non esiste" Mondadori)
Al servizio dei lettori
"Esprimi il tuo pensiero in modo conciso perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché i lettori siano guidati dalla sua luce".
"Una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile".
Joseph Pulitzer (1847 – 1911), giornalista ed editore ungherese naturalizzato statunitense.
Giornalisti, giornalisti...
La citazione
A dio (fermo posta) "Eri - come la "lettera smarrita" di Pöe, nello spazio impensabile perché scontato. Eri - e sei, ora ho capito - fra le parole che ho tanto usato ed osato. Sempre ci sei stato, eri lì, ci sei ancora, e voglio decifrarti,stanarti, usando sì le parole ma in modo diverso, e in diverso modo la follia, il mestiere con cui la parola mi diventava grafia, mania, nodo, vuoto suono od effetto; e fola. Solo quello so fare, solo lì speranza che Tu adesso compaia,perfetto, magari in rima ma rimando con te stesso, in un metro o in un altro. Tu puoi elevare al cielo qualunque prosodia; purché Tu appaia, le fruste parole si faranno Parola e col mio io sepolto finalmente parlerai, che mai è stato quel ch'era forse destinato ad essere, un Io mancato, strangolato. Parlami a perdifiato. Ti cedo, ogni suono o silenzio; e già Ti vedo emergere da quella pila di parole inutilmente ... di parole inutilmente sparse nel cassetto, cancellarne rime e rumore, facendone linguaggio perfetto d'amore. Cancella anche me, cambiami, conducimi, ri-traducimi, parla Tu per sempre, Signore"
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