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mercoledì 10 febbraio 2010

Tobagi, Calabresi, Martinazzoli: la storia, la memoria e il futuro

"La storia del passato ha un senso se è in grado di consegnarci un po' di memoria del futuro"
Mino Martinazzoli
Forse ha ragione Giovanni Moro quando sugli anni '70 spiega: "Identificare i problemi sollevati da quel periodo è la strada per costruire una "memoria comune". Un compito che è di tutti, anche di chi scetticamente ritiene che sia tale la contraddizione di quegli anni che risulta, ancora oggi, impossibile comprenderla appieno".
Mettere attorno ad uno stesso tavolo Benedetta Tobagi (la figlia del giornalista Walter Tobagi), Mario Calabresi (il figlio giornalista del commissario Luigi Calabresi) e Mino Martinazzoli (politico democristiano, ex ministro di Grazia e giustizia) come ha fatto ieri sera a Brescia "La Casa della Memoria" per riflettere su eversione, mafia finanziaria, terrorismo, risposte etiche e politiche agli anni '70, vuole dire offrire a chi vuol capire quegli anni un contributo, in termini di testimonianza e di meditazione, che difficilmente potrà essere riproposto, soprattutto in un Paese in cui, come ha amaramente constatato Benedetta Tobagi: "Si è perso lo spirito e il senso della complessità". Lo spirito e la complessità di parlare di quegli anni dal ruolo difficile di chi ha pagato con la morte di un padre quelle tensioni e quelle contraddizioni, di chi constata amaramente - sono parole di Mario Calabresi - come questa Italia "in maniera strabica abbia avuto tanta ipersensibilità nei confronti degli ex terroristi e altrettanta eccessiva insensibilità verso le vittime tutte di quegli anni". Eppure ieri sera c'è stato un grande sforzo di capire. Di capire, come aveva fatto Walter Tobagi prima di essere ucciso, quei fenomeni che avevano scosso l'Italia degli anni '70. Di approfondire, senza pregiudizi e senza paure, quelli che, guardandosi indietro, appaiono più delle grandi contraddizioni che dei forti e sia pur cruenti slanci rivoluzionari.
E ieri sera c'è stato anche un grande sforzo restituire la memoria di uomini che hanno pagato con la vita il loro impegno al servizio, ognuno per le proprie competenze, dello Stato e della collettività.
Lo hanno fatto i figli che oggi hanno l'età dei padri quando furono uccisi. Lo hanno fatto i figli che ora - è la riflessione di Calabresi - non nascondono qualche angoscia davanti ai propri bambini che hanno l'età, l'innocenza e l'innata ammirazione per il papà, di quando loro, i genitori di oggi, hanno visto il proprio padre uscire la mattina e non tornare più. Un padre magari ricordato con una medaglia, una targa, un busto: troppo poco per un figlio che vuole riconquistare il tempo perduto, che vuole "riempire di ricordi quel calco di gesso usato per il busto". Colmarlo di carte, di riflessione e appunti come ha fatto Benedetta Tobagi, o ricordarlo (come Mario Calabresi) attraverso i gesti quotidiani di una famiglia colpita al cuore e di tante altre famiglie, magari meno note e dimenticate più in fretta, che costellano di lutti la storia italiana di quegli anni "perchè, ormai, metà degli italiani in quegli anni non era nemmeno nata".
L'importante per entrambi era uscire dallo stereotipo di essere figli di...: figli del "povero" Tobagi e del "povero" commissario, sia nelle cerimonie ufficiali, sia quando si prenota un posto a teatro o il campo per la partita di calcetto con gli amici. Uscire dalla compassione per camminare a testa alta nella riflessione; far parlare i padri attraverso i figli, far parlare l'Italia dalla memoria corta di temi come "libertà di stampa" tanto caro a Walter Tobagi o metterla davanti a storie, come quelle di tante vittime del terrorismo, dimenticate troppo rapidamente nella foga di buttarsi alle spalle gli anni di piombo. "Questi libri, queste storie raccontate da Calabresi e Tobagi - ha osservato Martinazzoli - non è solo memorialistica di quegli anni, ma letteratura civile". Una letteratura civile al servizio della memoria di un Paese che sta cercando di dare un senso a quegli anni, che sta cercando ancora la via della riconciliazione, dopo aver provato la scorciatoia dell'oblio. "Il termine memoria condivisa non mi piace - ha spiegato però Calabresi -, penso piuttosto che ci possano essere delle memorie condivise nel senso che un Paese acquisisce memorie diverse rispettose della libertà di ognuno. Solo così una comunità può andare avanti. Molto è stato fatto, ma ho il timore che il tempo ci sia nemico".
Condividere la memoria per far sentire - si è detto - questi eroi semplici meno soli, meno vinti. "Non saranno vinti ma vincenti - ha concluso Martinazzoli - se crediamo che ci sia qualcosa da fare per loro. Chiediamoci,  per esempio, cosa abbia di diverso il nostro tempo rispetto a quegli anni? C'è più felicità? C'è più garanzia di una convivenza civile? La storia del passato ha un senso se è in grado di consegnarci un po' di memoria del futuro". E il futuro, in questa Italia difficile, è già qui. 

2 commenti:

Domenico ha detto...

Ha ragione Martinazzoli con la definizione "letteratura civile". Abbiamo un gran bisogno di questo, e di serate come quelle descritte in questo bel post. Le radici del presente sono lì, e più capiremo, meglio sarà per il nostro futuro.

Enrico Grazioli ha detto...

Una simile serata si svolse a Lonato circa un anno fa. C'era Martinazzoli, c'era Tobagi (cui diedi emozionato una tesina fatta su suo padre anni fa per un corso in Università) come rappresentante dall'associazione famigliari vittime del terrorismo e altri due, uno per Piazza Loggia e uno per Piazza Fontana. L'organizzazione fu del circolo locale del PD, ma, purtroppo, la condivisione della memoria per meglio capire il presente e affrontare il futuro non attira così tanta gente come la De Filippi. In ogni caso, serate così dovrebbero essere più frequenti.