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lunedì 20 dicembre 2010

Podoa Schioppa ci ha lasciati e a noi tocca tenerci Gasparri

Maurizio Gasparri
Tommaso Padoa Schioppa
Tommaso Padoa Schioppa, economista, ex ministro, uomo di conti e di grandi intuizioni ci ha lasciato a 70 anni. Di lui il quotidiano The Guardian scrisse: "E' nato in Italia, vive in Germania e pensa in Inglese. C'è da meravigliarsi che abbi avuto un'idea come l'euro?". Oggi i giornali lo ricordano come uno straniero in patria , tanto straniero che dopo l'esperienza ministeriale con il Governo Prodi (girava il mondo in treno e in aereo di linea come un normale cittadino anche da ministro, altro che voli di Stato) l'Italia lo aveva quasi dimenticato, come si dimenticano le menti lucide, i consiglieri autorevoli. Nemmeno un'Authority (meglio affidarle al cane fedele di turno) che avrebbe potuto far tesoro della sua esperienza, della sua indipendenza dalla politica.
Padoa Schioppa ci ha lasciati e noi, nella nostra povera Italia, siamo rimasti a fare i conti con uno come Maurizio Gasparri, un politico che ieri, parlando dei disordini di Roma della scorsa settimana, ha lanciato l'idea degli arresti preventivi, evocando l'inchiesta sull'Autonomia operaia che prese il nome di "7 aprile", dalla data del 1979 in cui a Padova scattarono i provvedimenti di arresto per alcuni esponenti dell'Autonomia fra i quali molti docenti dell'Università (il nome di spicco era quello di Toni Negri). Gasparri ha giuridicamente detto, scusate la franchezza, una "cazzata", un delirio, per usare termini meno pesanti utilizzati da Luigi Ferrarella sul Corriere di oggi, che non ha alcun fondamento: sia perchè il 7 aprile del '79 non furono fatti arresti preventivi, ma furono eseguiti ordini di cattura (allora era il pm ad emetterli) in base ad una inchiesta (che trovò, non senza fatica, riconoscimenti anche in Cassazione) secondo la quale vi era un legame provato tra l'Autonomia e le Br; sia perchè la categoria degli arresti preventivi in un regime giudiziario moderno e democratico in cui il provvedimento di custodia cautelare è considerato l'estrema ratio da vagliare con cautela e gravi indizi di colpevolezza, non ha diritto di cittadinanza, se non con il rischio di retrodatare l'orologio della nostra giustizia ai tempi bui del terrorismo, alla legislazione di emergenza che aveva riformato in senso restrittivo la custodia cautelare non senza mille interrogativi fra i politici anche più conservatori (da leggere le pagine dedicate a quegli anni da Mino Martinazzoli nella sua autobiografia).
Ad inizio novembre ho intervistato il giudice Pietro Calogero che condusse le indagini sul 7 aprile e che ha recentemente ripercorso quegli anni in un libro - intervista (Terrore Rosso) e ciò mi basta per dire con cognizione di causa, quanto sia provocatoria la proposta e il paragone di Gasparri. In quegli anni difficili esisteva un disegno preciso in cui persino organizzazioni non clandestine, arrivavano ad ipotizzare la lotta armata come via per sovvertire il sistema legandosì così (e l'inchiesta dimostrò che non erano solo parole) in un unico progetto sovversivo. Oggi lo stesso Calogero non vede riproporsi le dinamiche di quegli anni, le tensioni e le strategie degli anni '70. Evocarle per gli scontri di piazza della scorsa settimana vuol dire solo una cosa: strumentalizzare la storia e non riuscire a capirla.

CLICCA QUI PER SCARICARE LA REGISTRAZIONE DELLA SERATA A BRESCIA  SUL 7 APRILE CON IL GIUDICE PIETRO CALOGERO

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