Sergio Castellito in "La bellezza del somaro" |
Sfoglio la recensione di "La bellezza del somaro" (questo il titolo del film di Castellito) offerta dall'ultimo numero del L'Espresso e leggo di famiglie che volevano fare la rivoluzione e hanno fatto al massimo l'estate romana. Leggo di poveri cinquantenni "snob, egoisti e narcisisti, eterni fanciulli" che "stanno per entrare dalla giovinezza nella vecchiaia senza essere mai riusciti a passare dall'età adulta". Già i cinquantenni: li guardi di là dal fosso, con le loro pillole per la pressione alta, e quasi non ti rendi conto che ci passano meno di due generazioni e che i capelli bianchi ci sono già da tempo. Li vedi scorrere nel trailer (il film uscirà il 23 dicembre) e sorridi per i loro tic, le loro manie il loro essere tanto simpatici quanto vuoti. E magari ti identifichi un po': ti metti vicino a tuo figlio, che ormai ha il tuo stesso numero di scarpe, ti guarda dritto negli occhi perchè ha la tua stessa altezza anche se vorrebbe essere preso in braccio e coccolato come un infante, e ti chiedi se sei stato e se sarai un buon padre, un buon genitore. Oppure ti chiedi se i tuoi ideali resteranno come i souvenir del Muro di Berlino, calcinacci nella vetrinetta buona, come la sabbia del deserto, le conchiglie dell'oceano e le vecchie mille lire. Osservi Sergio Castellito nel film che si fa una canna, ultimo conato di giovanilismo censurato pure dalla figlia, e rifletti pensando che il film racconta di una generazione che ha fallito "come ogni generazione - spiegano gli autori - che non riesce a costruire un futuro migliore per quella successiva". Risate amare per noi che ci apprestiamo a raccogliere il loro testimone in questa Italia fragile come i suoi cinquantenni, che ne sono lo specchio del disastro. Noi che stiamo - anagraficamente - un passo indietro andremo al cinema a Natale, ci faremo forse due risate, e aspetteremo i cinquanta cercando di recuperare quella concretezza dell'età adulta che nè Santa Lucia, nè Babbo Natale portano più.
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