In margine alla scomparsa del regista di "Amici miei" va segnalato però un dibattito che non può essere ignorato perchè è un tema che tocca tutti e tocca tutti da vicino. Il Corriere in edicola oggi propone le riflessioni incrociate del filosofo Giovanni Reale (insegna all'Università del San Raffaele) e del suo collega laico Emanuele Severino. Entrambi concordano su una questione: il tema va affrontato senza ideologismi, senza convenienze, senza ammiccamenti a questa o a quella scuola di pensiero. E se Severino, fedele al suo essere laico, ha ricordato la morte della moglie avvenuta un anno e tre mesi fa per tumore in una struttura cattolica come la bresciana "Domus Salutis", gestita dalle suore Ancelle della Carità, una morte senza accanimenti, un accompagnamento dolce verso l'inevitabile al quale lui stesso vuole essere sottoposto quando verrà l'ora, Reale ha spiegato che se Platone insegna che la vita non è di nostra proprietà, non è corretto parlare di eutanasia nel caso Welby, come in quello di Eluana Englaro. "Guai a trasferire la sacralità della vitta - ha spiegato - alla tecnica! Quell'uomo era era rimasto ostaggio di una macchina. Ma Dio ha creato la natura, non la tecnica: quella è un prodotto dell'uomo. E nel caso di Welby, come per Eluana, era sacrosanto dare ragione alla natura".
Parole di grande saggezza che in questa nostra società fatta di troppi estremismi e tanta ignoranza suonano quasi stonate come se un dialogo fra gli opposti non riesca a produrre mediazioni convincenti. "Il dialogo è possibile - osserva invece Reale - anche se è molto difficile. Occorre che le parti riconoscano anzitutto la sacralità della vita, sapendo che la sofferenza e la morte ne sono parte e ci riguardano tutti". Partendo da qui il cammino, anche quello del legislatore potrebbe essere più proficuo. Ma il legislatore, lo stesso che si è accapigliato ieri nell'aula della Camera, è maturo per questo?...
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