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venerdì 31 dicembre 2010

2011: e se fosse l'anno del buon gusto?


"L'intelligenza è veramente una questione di gusto: gusto nelle idee".
Susan Sontag
Che 2011 mi piacerebbe? Che anno nuovo vorrei augurare ai miei amici e - perchè no? - ai miei nemici. Mentre scrivo il telefonino squittisce come un sorcio rimandando la notizia dell'ultima ora: "Militare italiano ucciso in Afghanistan". Così ti verrebbe voglia di dire: vorrei un 2011 di pace. Troppo facile, però, immaginarsi l'inimmaginabile, pensare possibile l'impossibile.
Allora non ti resta che volare basso dare credito alle volontà di ognuno, pensare che con un po' di sforzo forse ce la possiamo fare. Come mi piacerebbe il 2011? Vorrei che fosse l'anno del buon gusto. Un anno senza l'esagerazione del troppo che storpia, senza la vita esagerata, senza il bunga bunga a tutti i costi. Un anno senza i giovanilismi, senza le tinture per i capelli, le labbra a canotto, le tette di plastica, le facce di plastica... i cervelli di plastica. Un anno con la sana consapevolezza dei propri limiti, con la saggezza degli avi, con la moderazione dei saggi: senza viagra, senza la maglietta di superman, senza quella vita spericolata che abbiamo sempre cantato e mai praticato, senza quei tacchi a spillo e quelle mutande leopardate che farebbero ridere i nostri figli come mai ci siamo permessi di fare noi con i nostri "vecchi".
Vorrei augurare un 2011 da giovani dentro, nelle idee e nella volontà, più che da scalatori dell'ovvio, da tronisti della carriera, da cafonal dei tempi moderni. Vorrei augurare un 2011 da praticanti della realtà che non rinunciano ai sogni, più che da utilitaristi dell'oggi, sperando, a torto, di dominare il domani.
Vorrei augurare a tutti un 2011 carico di contributi al bene comune, carico di idee. Del buon gusto delle idee.
Un felice 2011 a tutti...



mercoledì 29 dicembre 2010

Condividiamo un nastro giallo per Yara

Diffondo questo esempio di dignità, mista a quella sommessa disperazione che non può non pervadere una coppia di genitori come quelli di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa da casa oltre un mese fa in provincia di Bergamo. La storia di questa ragazza sparita nel nulla, parlo da genitore, non può che angosciarci tutti. Non può che velare di inquietudine questo ultimo lembo di 2010.
A Natale, gli sportivi italiani hanno voluto indossare un nastro giallo (il simbolo di coloro che attendono il ritorno di una persona cara). Un segno che vogliamo condividere anche noi, un modo per essere virtualmente vicini a Flavio e Maura Gambirasio. Con la speranza, ma forse è solo una pia illusione, di poter rendere meno devastante l'attesa.

L'APPELLO
Noi siamo una famiglia semplice, siamo un nucleo di persone che ha basato la propria unità sull'amore, sul rispetto, sulla sincerità e sulla solarità del nostro quieto vivere. Da un mese ci stiamo ponendo innumerevoli domande sul chi, il che cosa, il come, il quando e il perché ci sta accadendo tutto ciò.
Noi non cerchiamo risposte, noi non chiediamo di sapere, noi non ci assilliamo per capire, noi non vogliamo puntare il dito verso qualcuno, noi desideriamo solo, immensamente, che nostra figlia faccia ritorno nel suo mondo nel suo paese, nella sua casa, nelle braccia dei suoi cari. Noi imploriamo la pietà di quelle persone che trattengono Yara, chiediamo loro di rispolverare nella loro coscienza un sentimento d'amore; e dopo averla guardata negli occhi gli aprano quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà.
Noi vi preghiamo, ridateci nostra figlia, aiutateci a ricomporre il puzzle della nostra quotidianità, aiutateci a ricostruire la nostra normalità. La gente ci conosce bene, non abbiamo mai fatto o voluto il male di nessuno, ci siamo sempre dimostrati come una famiglia aperta, trasparente e disponibile verso gli altri e non meritiamo di proseguire la nostra vita senza il sorriso di Yara. Grazie.
Famiglia Gambirasio

martedì 28 dicembre 2010

2010: nel pantheon dell'anno che finisce

(foto tratta da Panorama.it)
Di chi avremo più nostalgia nel 2011 di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini o del calcio dell'era Bearzot? Di un politico navigato come Francesco Cossiga o di un europeista convinto come Tomaso Padoa Schioppa? Delle analisi acute di Edmondo Berselli , del giornalismo di Pietro Calabrese o delle polemiche di Maurizio Mosca? Del cinema di Mario Monicelli di quello di Dino De Laurentis o di quello sceneggiato da Suso Cecchi d'Amico? Delle interpretazioni di Lauretta Masiero e Aldo Giuffrè o di quelle di Gary Coleman in arte Arnold e Tom Bosley, il papà in Happy days?
Chi vogliamo mettere nel nostro personale Pantheon del 2010, quale ricordo vogliamo conservare, quale insegnamento vogliamo appuntarci per il futuro? Come al solito un anno sta finendo lasciandoci più poveri di dodici mesi fa. Basta scorrere quella lapide virtuale in cui ogni anno si trasforma Wikipidia  per cogliere nomi, volti, carriere di persone che hanno fatto la nostra storia recente e passata e che, in alcuni casi, hanno ancora molto da insegnarci. Parole e pensieri di cui fare tesoro, come se fosse un ultimo dono. Un ultimo dono che profuma di immortalità.

VIDEOBLOG DEI RICORDI....

lunedì 27 dicembre 2010

2010: metti un anno a Brescia in un videoblog


Potremmo dire che il 2010 che sta per chiudersi è un anno all'insegna di Adro e del sindaco Lancini, visto che per ben due volte nel corso dell'anno, ad aprile e a settembre, è balzato all'attenzione delle cronache nazionali, prima per il giro di vite alla mensa scolastica e poi per aver costellato il nuovo plesso scolastico di simboli con il "Sole delle Alpi", il simbolo della Lega.
Ma il 2010 non sarà ricordato solo per Oscar Lancini, ma anche per l'orceano Cesare Prandelli diventato commissario tecnico della Nazionale, per la protesta degli immigrati sulla gru di via San Faustino, per le assoluzioni nella terza istruttoria sulla Strage di Piazza della Loggia, per la promozione del Brescia in Serie A. Attingendo a quel pozzo di sorprese che si chiama Youtube, abbiamo messo insieme una playlist di una ventina di video (alcuni curiosi, come un Cesare Prandelli al confessionale) che parlano di un anno carico di avvenimenti. Abbiamo voluto iniziare e chiudere con Ligabue: in apertura perchè una sua canzone fa da colonna sonora ad un suggestivo viaggio fotografico su Brescia scovato in rete, poi perchè pochi giorni fa i suoi concerti hanno chiuso la stagione degli eventi al PalaBrescia con migliaia di persone. Che dire, buona visione e buon 2011.

venerdì 24 dicembre 2010

Auguri: sperando che a Gesù bambino non chiedano il permesso di soggiorno

Caro Gesù Bambino,
sai forse prima o poi chiederanno anche a te il permesso di soggiorno. In quest'Italia dalle mille paure anche Babbo Natale che scende dai camini potrebbe passare qualche guaio: fino ad ora l'ha fatta franca solo perchè la storia delle ronde padane si è fermata alla propaganda. Lui, con quel vestito rosso, poi, se non è ladro è comunista, quindi la vedo spessa anche per il nonno che viene dal Polo Nord in questa Italia dalle mille regole per alcuni e dai mille scuse per altri.
Anche Giuseppe e Maria, potrebbero non passarsela bene, loro che duemila anni fa hanno dovuto accontentarsi di una capanna ora, forse, dovranno salire su una gru per annunciare la lieta novella. Ma non è meno rischioso una panchina? No, quelle le hanno tolte da tempo: sai, gli stranieri si sedevano chiacchieravano e mangiavano, come accadeva ai tuoi tempi fuori dal tempio, ma qui da noi fa insicurezza, il diverso spaventa più dei due ladroni accanto alla croce. Lo so, caro Gesù Bambino, tempi duri anche per falegnami e giovani coppie e poi il bonus bebè o l'alloggio popolare ve lo danno solo se siete cittadini italiani o residenti da almeno cinque anni. "Sono le regole e le regole si rispettano" dicono per vincere le elezioni e crearsi poi delle regole su misura per loro. Non fa nulla se quelle fatte per gli altri spesso non hanno senso come succede se Giuseppe, tuo padre putativo, perdesse il suo lavoro di falegname: diventerebbe automaticamente un clandestino e qui clandestino vuol dir delinquente. Altro che fuga in Egitto, qui ti rispediscono in Libia e poi sono, con rispetto parlando, cavoli tuoi.

E i Re Magi? Beh, sai quelli sono diplomatici e non dovrebbero avere grandi problemi anche se Wikileas ha scritto che qui se non sei libico ti guardano storto: niente amazzoni, niente hostess a cui spiegare la tua religione. Ah, dimenticavo, caro Gesù Bambino, quest'anno i Re Magi potrebbero arrivare in ritardo: si sono un po' confusi. Cercavano la stella cometa e hanno trovato un sole: era il Sole delle Alpi, un astro tutto verde sul tetto di una scuola. E' lì che sono finiti i Re Magi: hanno chiesto informazioni ad una pattuglia di vigili, ma in quel paese la polizia locale viene pagata extra se pizzica gli stranieri senza permesso di soggiorno. Così sono finiti in caserma per essere fotosegnalati e li hanno incontrato il sindaco che li guardava storto, perchè lui di oro, incenso e mirra non sa che farsene: accetta solo spiedo e polenta. Melchiorre gli ha spiegato la storia del bambino, del segno, di quella strana stella che li aveva portati a quella scuola in cerca di Gesù. "Ma quale stella, le stelle sono americane - gli ha spiegato il sindaco - qui abbiamo solo Soli, il sole delle Alpi, il simbolo della nostra tradizione locale. E poi quella storia del bambino che andate cercando a scuola: Per me siete fuori strada. Se il piccolo è tanto povero da essere nato in una mangiatoia sicuramente non avrà i soldi per pagare la mensa e allora in quella scuola non c'è di certo. Da noi chi non paga non mangia".
Alla fine, caro Gesù Bambino, i Re Magi hanno potuto lasciare il paese. Come? Grazie a quel genio di Gaspare che passando davanti alla Chiesa con sindaco e vigili ha visto il presepe e ha spiegato che anche loro  sono il simbolo della tradizione locale, come quelle tre statue dal volto coronato e color mogano che stanno appresso alla capanna. Il sindaco l'ha bevuta (anche se i Re Magi si erano già rivolti alla Cgil per un ricorso al giudice del lavoro) e li ha lasciati andare.
Caro Gesù Bambino come è strano il nostro mondo: qui uccidono i sogni, altro che lieta novella. Qui hanno perso la voglia di costruirsi il futuro, di costruirsi un paese, di costruirsi una comunità. Qui hanno cancellato dal vocabolario parole come solidarietà, accoglienza, diversità, plurale. Qui si corre e nessuno si ferma a soccorrere chi resta indietro. Qui la linea dell'orizzonte non è fatto dalle montagne, ma dai picchi e dalle depressioni dei grafici di borsa. E la neve? No quella non si è sciolta: se la sono tirata su per il naso. Perchè adesso le sconfitte e le avversità si superano anche così.
Lo so, caro Gesù Bambino: non hai una gran voglia di venire quest'anno, perchè poi magari ti capita, in quanto straniero, che ti attribuiscano tutti i mali del mondo. Hai resistito alle tentazioni del diavolo nel deserto e hai paura dell'Italia del Bunga-Bunga? Ti prego, Gesù Bambino, vieni anche quest'anno: altrimenti rischiamo di dimenticare per sempre che un altro mondo è possibile.
Ti aspettiamo...





E PER I LAICI....

giovedì 23 dicembre 2010

Nomine nelle sanità: ecco i nomi con qualche sorpresa

Come un regalo di Natale per i pazienti lombardi ecco dei nuovi manager della sanità lombarda. I pronostici della vigilia in parte sono stati rispettati, in parte no, certo è che tutti i manager portano una casacca ed è una casacca politica. In virtù di ciò nel Bresciano se il Pdl ha mantenuto la direzione dell'Ospedale Civile di Brescia e dell'Asl (confermando i manager uscenti), la Lega (che ambiva a 18 posti su 45 in palio in Regione) stacca il segnaposto all'Asl di Valcamonica (come ampiamente anticipato) e dell'azienda ospedaliera di Chiari (anche qui una scelta non completamente inaspettata). Piccolo colpo di scena, invece, nel feudo leghista del Garda: se la direttrice uscente era data in partenza, per mettere le sue professionalità al servizio di enti di maggior peso (in effetti è finita a dirigere l'Asl di Bergamo), il suo posto è stato preso da Fabio Russo, direttore uscente dell'ospedale di Chiari e dato "a perdere" per il fatto che figurava in quota Udc, non più in giunta e quindi teoricamente fuori dai giochi.
Invece il suo nome è ricomparso su una piazza addirittura più prestigiosa di quella dell'Ovest bresciano e della Franciacorta. Qualche osservatore va già ipotizzando spostamenti di baricentro verso Pdl o, addirittura, in quota Cl (che in temi sanitari il Corriere della Sera nei giorni scorsi ha considerato alla stregua di un vero e proprio partito), altri ritengono, invece, che il manager sia più semplicemente l'esponente di quella riserva indiana che i vertici della Regione hanno voluto riservare a Udc e Pd (che esprimerebbe il vertice dell'Asl di Lodi), come si fa con le quote rose. Piccoli Panda da preservare nella foresta della lottizzazione.
Ma ecco tutti i nomi dei manager di ospedali e Asl di Lombardia:

Aziende                                                                 Direttore Generale
                           Aziende ospedaliere
Ao Bergamo                                                          Carlo Nicora
Ao Brescia                                                            Cornelio Coppini
Ao Busto Arsizio                                                   Armando Gozzini
Ao Chiari                                                               Danilo Gariboldi
Ao Como                                                               Marco Onofri
Ao Crema                                                              Luigi Ablondi
Ao Cremona                                                          Simona Mariani
Ao Desenzano                                                        Fabio Russo
Ao Gallarate                                                           Maria Cristina Cantu'
Ao Garbagnate                                                       Ermenegildo Maltagliati
Ao Lecco                                                               Mauro Lovisari
Ao Legnano                                                            Carla Dotti
Ao Lodi                                                                  Giuseppe Rossi
Ao Mantova                                                             Luca Stucchi
Ao Melegnano                                                        Angelo Cordone
Ao Fatebenefratelli                                                  Giovanni Michiara
Ao Pini                                                                    Amedeo Tropiano
Ao Icp                                                                    Alessandro Visconti
Ao Sacco                                                                Callisto Bravi
Ao Niguarda                                                           Pasquale Cannatelli
Ao San Carlo                                                         Antonio Mobilia
Ao San Paolo                                                         Andrea Mentasti
Ao Monza                                                              Francesco Beretta
Ao Pavia                                                                Daniela Troiano
Ao Seriate                                                             Amedeo Amadeo
Ao Valtellina Valchiavenna                                     Luigi Gianola
Ao Treviglio                                                           Cesare Ercole
Ao Varese                                                             Walter Bergamaschi
Ao Vimercate                                                         Paolo Moroni

                             Aziende sanitarie locali

Asl Bergamo                                                          Mara Azzi
Asl Brescia                                                            Carmelo Scarcella
Asl Como                                                               Roberto Bollina
Asl Cremona                                                          Gilberto Compagnoni
Asl Lecco                                                               Marco Votta
Asl Lodi                                                                 Claudio Garbelli
Asl Mantova                                                           Mauro Borelli
Asl Milano                                                              Walter Locatelli
Asl Milano 1                                                           Pietrogino Pezzano
Asl Milano 2                                                          Germano Pellegatta
Asl Monza e Brianza                                              Humberto Pontoni
Asl Pavia                                                               Giuseppe Tuccitto
Asl Sondrio                                                           Nicola Mucci
Asl Vallecamonica                                                 Renato Pedrini
Asl Varese                                                            Pierluigi Zeli

Areu 118                                                              Alberto Zoli

mercoledì 22 dicembre 2010

Bearzot e un'Italia che non c'è più


Lo confesso: so più di ricamo che di calcio, ma la morte di Enzo Bearzot va oltre "il gesto tecnico" ricorda un'Italia che non c'è più. Ieri, ascoltando per radio il suo biografo, il giornalista Gigi Garanzini, ho assistito alle telefonata di un ascoltatore che diceva più o meno così: "sono nato nel '63 e per noi di quegli anni l'Italia campione del mondo resta quella dell'82". Anch'io sono nato nel '63 e anche per me, agnostico del calcio, l'Italia campione del Mondo resta quella spagnola (conservo ancora la Gazzetta del giorno dopo il trionfo) così come quel 1982 (per me l'anno della Maturità, intesa come esame) resta lo specchio di un'Italia che non c'è più, lo specchio di un mondo che va ad appannarsi.
Forse è anche per questo che oggi leggendo di Enzo Bearzot mi sento di condividere con voi le parole di Marco Imarisio sul Corriere che ha pescato fra i ricordi lasciati dai lettori sul sito del quotidiano  per tracciare il profilo di una nazione che si è persa e sfilacciata. "Enzo Bearzot era il commissario tecnico di un'Italia che non esiste più - scrivono i lettori -. Il simbolo di un senso di appartenenza al Paese che oggi fatichiamo a ritrovare nelle persone che contano. Di un mondo che sembra migliore di oggi. Di un'estate brevissima e irripetibile". Gli occhiali della nostalgia, della bella gioventù perduta rendono strabici tanto da farti scrivere: "Avevamo vent'anni e pensavamo che il mondo sarebbe stato nostro, poi è arrivato Craxi, la corruzione dilagante, Tangentopoli, gli affaristi in Parlamento. Tutto è cambiato e adesso siamo tutti più brutti"? E' probabile. Ma certo è che la vittoria della Nazionale dell'82 è una di quelle poche circostanze della nostra esistenza in cui tutti sapevano e ricordano dove fossero quella sera dell'11 luglio, quel giorno di Italia Germania 3-1. Io ero al bar dell'oratorio, con la tv (un 32 pollici con il tubo catodico, mica un maxi schermo ultra piatto) rivolto verso il campo di basket per far spazio agli spalti e l'esultanza del gol la ripetevamo ad ogni replay per permettere ad un amico (oggi austero parroco in un paese della Bassa bresciana) di fotografare il nostro delirio per quel momento memorabile.
Esultavamo per una nazionale non sapendo che esultavamo, forse per le ultime volte, per l'orgoglio di un Paese, per rendere ancora più vigoroso il nostro senso di appartenenza. "Questo non è rimpianto - riflette Giuseppe De Rita, sociologo e fondatore del Censis intervistato da Imarisio - ma bisogno di identità storica. Questo flusso di ricordi personali rappresenta la ricerca di una identità condivisa, tanto più importante in un'epoca come quella attuale che non offre riferimenti sicuri. Bearzot ha creato un attimo di storia collettiva e condivisa. Viviamo in una società che ha bisogno di senso collettivo".
Un senso collettivo che si è perso tra mille liti, mille secessioni minacciate, mille solchi scavati dentro e fuori di noi, tra nord e sud, destra e sinistra, bianchi e neri; perdendo quel senso di comunità che nutre il nostro orgoglio, arma il nostro carattere e la nostra voglia di lottare.
Ci siamo arresi arrivando a commuoverci per la morte di un uomo di calcio che il destino ha elevato agli altari di un culto collettivo? Forse sì. Ma ripercorrendo quella magica notte dell'82 in quell'oratorio di provincia, non posso fare a meno di pensare che il riscatto potrebbe essere dietro l'angolo. O meglio, di là dalla strada. Oltre quella striscia d'asfalto che corre lungo il campo di calcio di quell'oratorio. In quella casa dove gli echi della nostra esultanza arrivavano nitidi nell'82. In quella casa abitava, e abita tuttora, un giocatore di calcio poi passato alle panchine. Il suo nome? Cesare Prandelli da Orzinuovi, provincia di Brescia. Vorrà dire qualcosa...?

martedì 21 dicembre 2010

Giustizia, repressione e corto circuito

La questione può apparire molto tecnica, ma in realtà è di sostanza, tanto da occupare le colonne di un quotidiano nazionale come il Corriere della Sera per due giorni. Di cosa si tratta? Lunedì Luigi Ferrarella, giudiziarista e commentatore del Corriere aveva parlato di Corto circuito istituzionale tra potere esecutivo (il Governo) e potere giudiziario (la magistratura) citando tre recenti esempi: le improvvide esternazioni di Maurizo Gasparri sugli arresti preventivi prima dei cortei studenteschi; l'ipotesi del Viminale di allargare i Daspo (provvedimenti emessi dal Questore per interdire i tifosi violenti dagli stadi) alle manifestazioni politiche; l'invio degli ispettori dal parte del Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al tribunale di Roma dopo la scarcerazione dei giovani arrestati in occasione degli scontri a Roma della scorsa settimana. Perchè corto circuito? Perchè il giornalista del Corriere vi vedeva, a mio avviso correttamente, uno tentativo di sconfinamento del Governo in campi di competenza di altri poteri dello Stato: allargare i Daspo alle manifestazioni, ad esempio, vuol dire dare potere al questore di limitare diritti costituzionali come la libertà di movimento e la libertà di espressione delle proprie idee; mandare gli ispettori dopo alcune scarcerazioni vuol dire usare il potere ispettivo per censurare un atto di un magistrato prevaricando ciò che esiste già, ovvero lo strumento del ricorso da parte della Procura contro la decisione del giudice per le indagini preliminari.

Angelino Alfano
Proprio su questo punto, oggi il Corriere pubblica una lettera del ministro Alfano nella quale, auspicando, con una strana idea della dialettica, che il giornalista Ferrarella non controreplicasse alle sue ragioni, rivendica il suo diritto alle ispezioni come strumento non per sostituirsi ai giudici ma per esercitare "con correttezza e puntualità il potere disciplinare che la Costituzione mi attribuisce per il cui consapevole espletamento è necessaria la conoscenza dei fatti". "Nessun corto circuito - continua il Ministro - ma soltanto il doveroso accertamento della conformità alla Legge dei provvedimenti che tanto scalpore hanno suscitato nei cittadini, diffondendo un'allarmante ed evidente sensazione di mancata tutela".
Alla lettera del Ministro Luigi Ferrarella non contro-replica, ma fa di più: cita un passo del documento emesso ieri dalla Camera penale di Milano (l'organismo che raccoglie gli avvocati che si occupano di diritto penale) intitolato "La catena della repressione". "Stupisce - scrivono gli avvocati milanesi - che proprio il Ministro della Giustizia si riferisca alle persone arrestate indicandole come responsabili di gravi episodi di guerriglia urbana così confondendo pericolosamente il piano della repressione con quello della giustizia ed oggettivamente anticipando un giudizio di colpevolezza, maggiormente inopportuno se solo si pensi che viene espresso senza alcuna conoscenza degli atti processuali. La giurisdizione non è l'ultimo anello della catena della repressione né tanto meno ne è il lucchetto. Essa, esercitata in piena libertà e senza indebiti condizionamenti, costituisce l'irrinunciabile e unico presupposto per l'accertamento della responsabilità penale dei cittadini e, quindi, per un giustizia condivisa ed accettata dalla intera collettività. Iniziative come quella del Ministro della Giustizia tendono a minare tale presupposto e reagendo in modo scomposto alla delusione nei confronti di un provvedimento non gradito, rischiano di far perdere serenità ed equilibrio a chi è chiamato ad esercitare la funzione giurisdizionale".
Ma i legali meneghini vanno oltre, bocciando su tutta la linea l'atteggiamento del governo. Scrivono infatti: "Non stupiscono certo le critiche degli esponenti del Governo o del sindaco di Roma ai provvedimenti con i quali i giudici romani hanno definito le udienze di convalida nei confronti degli arrestati per i gravi episodi di violenza seguiti alla manifestazione pacifica del 14 dicembre scorso, critiche che auspicavano una decisione tendente all'applicazione generalizzata della custodia cautelare in carcere.I provvedimenti giudiziari, anche quelli giurisdizionali, devono essere oggetto di critica. L'esercizio del diritto di critica, infatti, costituisce uno dei meccanismi fondamentali del funzionamento della democrazia e come tale è irrinunciabile e non tollera affievolimenti né compressioni. Per cui è fisiologico che il sindaco di una città che è stata teatro di scontri violenti riponga molte aspettative ( anche se molte delle quali sono qualitativamente mal riposte) sull'esito di un giudizio di responsabilità a carico di coloro che le forze di polizia additano come i responsabili di quegli scontri.Meno fisiologico, forse, è che lo faccia il Ministro dell'Interno allorché il controllo giurisdizionale, il cui risultato è oggetto di critica, si risolve dal suo punto di vista nella conferma o nella smentita dell'operato delle forze di polizia che da lui dipendono".
Sull'ipotesi di estensione del Daspo, poi, gli avvocati sono determinati nel giudizio: "L'estensione del Daspo alle manifestazioni di piazza costituirebbe una sicura violazione delle libertà costituzionali, del diritto di manifestare le proprie idee, di riunirsi in luogo pubblico e violerebbe la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.Si affievolirebbe in modo significativo e costituzionalmente illegittimo quel diritto di critica del cui esercizio, come abbiamo visto, ha goduto anche il sindaco di Roma e che dobbiamo considerare irrinunciabile".

Leggi o scarica:
Il Documento della Camera Penale di Milano sugli scontri a Roma

lunedì 20 dicembre 2010

Podoa Schioppa ci ha lasciati e a noi tocca tenerci Gasparri

Maurizio Gasparri
Tommaso Padoa Schioppa
Tommaso Padoa Schioppa, economista, ex ministro, uomo di conti e di grandi intuizioni ci ha lasciato a 70 anni. Di lui il quotidiano The Guardian scrisse: "E' nato in Italia, vive in Germania e pensa in Inglese. C'è da meravigliarsi che abbi avuto un'idea come l'euro?". Oggi i giornali lo ricordano come uno straniero in patria , tanto straniero che dopo l'esperienza ministeriale con il Governo Prodi (girava il mondo in treno e in aereo di linea come un normale cittadino anche da ministro, altro che voli di Stato) l'Italia lo aveva quasi dimenticato, come si dimenticano le menti lucide, i consiglieri autorevoli. Nemmeno un'Authority (meglio affidarle al cane fedele di turno) che avrebbe potuto far tesoro della sua esperienza, della sua indipendenza dalla politica.
Padoa Schioppa ci ha lasciati e noi, nella nostra povera Italia, siamo rimasti a fare i conti con uno come Maurizio Gasparri, un politico che ieri, parlando dei disordini di Roma della scorsa settimana, ha lanciato l'idea degli arresti preventivi, evocando l'inchiesta sull'Autonomia operaia che prese il nome di "7 aprile", dalla data del 1979 in cui a Padova scattarono i provvedimenti di arresto per alcuni esponenti dell'Autonomia fra i quali molti docenti dell'Università (il nome di spicco era quello di Toni Negri). Gasparri ha giuridicamente detto, scusate la franchezza, una "cazzata", un delirio, per usare termini meno pesanti utilizzati da Luigi Ferrarella sul Corriere di oggi, che non ha alcun fondamento: sia perchè il 7 aprile del '79 non furono fatti arresti preventivi, ma furono eseguiti ordini di cattura (allora era il pm ad emetterli) in base ad una inchiesta (che trovò, non senza fatica, riconoscimenti anche in Cassazione) secondo la quale vi era un legame provato tra l'Autonomia e le Br; sia perchè la categoria degli arresti preventivi in un regime giudiziario moderno e democratico in cui il provvedimento di custodia cautelare è considerato l'estrema ratio da vagliare con cautela e gravi indizi di colpevolezza, non ha diritto di cittadinanza, se non con il rischio di retrodatare l'orologio della nostra giustizia ai tempi bui del terrorismo, alla legislazione di emergenza che aveva riformato in senso restrittivo la custodia cautelare non senza mille interrogativi fra i politici anche più conservatori (da leggere le pagine dedicate a quegli anni da Mino Martinazzoli nella sua autobiografia).
Ad inizio novembre ho intervistato il giudice Pietro Calogero che condusse le indagini sul 7 aprile e che ha recentemente ripercorso quegli anni in un libro - intervista (Terrore Rosso) e ciò mi basta per dire con cognizione di causa, quanto sia provocatoria la proposta e il paragone di Gasparri. In quegli anni difficili esisteva un disegno preciso in cui persino organizzazioni non clandestine, arrivavano ad ipotizzare la lotta armata come via per sovvertire il sistema legandosì così (e l'inchiesta dimostrò che non erano solo parole) in un unico progetto sovversivo. Oggi lo stesso Calogero non vede riproporsi le dinamiche di quegli anni, le tensioni e le strategie degli anni '70. Evocarle per gli scontri di piazza della scorsa settimana vuol dire solo una cosa: strumentalizzare la storia e non riuscire a capirla.

CLICCA QUI PER SCARICARE LA REGISTRAZIONE DELLA SERATA A BRESCIA  SUL 7 APRILE CON IL GIUDICE PIETRO CALOGERO

venerdì 17 dicembre 2010

2011: saremo fuori dalla crisi? L'incognita lavoro.


Basta un segno più per dire che siamo fuori dalla crisi? Basta dire che andiamo meglio di altri per tornare a sorridere? Ieri ho ascoltato con attenzione la relazione di fine anno di Giancarlo Dallera, presidente dell'Associazione industriale bresciana.

Giancarlo Dallera
Ho ascoltato le sue critiche alla classe politica italiana "che si mostra sempre più inadeguata, sempre più chiusa in se stessa, sempre più incapace di vedere i bisogni reali e, come inevitabile conseguenza, assolutamente inidonea da decenni a concepire e realizzare soluzioni adeguate al governo del Paese", un "Paese allo sbando che non ha la capacità di autoriformarsi, e siamo un Paese in cui non esiste alternativa, nel senso che l'oggi è deludente, ma il passato non era certo migliore, mentre il domani è nelle mani di nessuno", ma ho anche guardato con particolare attenzione i dati sull'economia bresciana del 2010. Dati che dicono che poteva andare peggio, dati che danno conto di una congiuntura favorevole, ma di una crisi la cui onda (sopratutto suotto il profilo occupazionale) si farà sentire ancora a lungo.
Gli industriale in generale e quelli bresciani in particolare sono troppo concreti per dire che va tutto bene e che siamo fuori dal baratro. Basta guardare la tabella qui sotto sulla produzione del settore manifatturiero a Brescia nel 2010.


Un tre per cento annuo fa ben sperare, ma è ci vorrà tempo per tornare a livelli ottimali dopo quel -22,33 dello scorso anno o davanti ad un cammino altalenante  come quello registrato quest'anno se si esaminano le variazioni trimestrali (vedi sotto).


Fortunatamente sono ripartite le esportazioni, che in provincia di Brescia hanno un saldo positivo rispetto alla media lombarda. Esportazioni (vedi sotto) attestate sugli 8,4 miliardi di euro a fronte di importazioni per 5,3 miliardi. nei primi nove mesi dell'anno.


Cifre interessanti, dopo mesi bui, ma - sottolineano gli imprenditori non senza preoccupazione - il recupero della produzione ha rappresentato solo un 4 per cento in più nell'utilizzo degli impianti rispetto al 2009. Ovvero gli impianti produttivi bresciani rimangono utilizzati solo al 65 per cento (vedi sotto), quando in anni come il 2007  avevano lavorato per l'83% del loro pontenziale.


Una così ampia capacità produttiva inutilizzata vuol dire una negativa "propensione agli investimenti delle imprese - spiegano gli industriali -, che è stata condizionata anche dal calo della redditività e quindi dell'autofinanziamento oltre che dalle difficoltà di accesso al credito".
E davanti a questo scenario (meno produzione, vuol dire necessariamente meno manodopera) uno sguardo preoccupato alle dinamiche del lavoro è d'obbligo. "Le previsioni dell'industria bresciana - spiegano gli imprenditori - non possono che risentire della diffusa incertezza che alimenta le aspettative nazionali e internazionali. Il sentiero di recupero dell'attività produttiva sembra quanto mai irto e lungo, con un orizzonte di ripresa che appare ancora lontano. Il grado di sottoutilizzo dell'offerta di lavoro rimarrà alto anche nel 2011, tenuto conto del consueto ritardo con cui il mercato del lavoro tende ad aggiustarsi rispetto alla dinamica del ciclo economico. Diviene quindi quanto mai necessario realizzare processi di ristrutturazione da parte di molte imprese, che temporaneamente hanno congelato gli organici in attesa di adeguarli alla capacità produttiva, che sarà realmente utilizzata dopo l'uscita dalla recessione".
Riflessioni che sembrano confermare circostanze raccontante sui giornali di questi giorni con storie di aziende storiche (la Cartiera di Toscolano docet) che decidono di ridimensionarsi, proporzionando impianti e maestranze alle nuove e, ahinoi, meno fameliche, esigenze dei mercati. "L'incremento dell'attività produttiva - osservano ancora gli industriali - è ancora insufficiente a invertire la tendenza negativa sull'utilizzo della forza lavoro. Il taso di disoccupazione per il 2010 dovrebbe attestarsi oltre il 6%, contro il 5,3% del 2009 e il 3,1% del 2008. Qualora si considerino anche i lavoratori equivalenti in Cassa integrazione a zero ore, tale tasso si collocherebbe su valori intorno al 9%". Quanti fra i lavoratori in cig a zero ore torneranno in fabbrica il prossimo anno? E' la grande incognita dell'anno che verrà...

giovedì 16 dicembre 2010

Diciotto

I giornali ci dicono, sulle nomine dei manager sanitari, che Umberto Bossi sta con il suo assessore regionale e medico personale Luciano Bresciani che rivendica il primato, diciamo così, della politica sulle prossime designazioni e che alla Lega non andranno meno di 18 direttori generali (su 29 manager di aziende ospedaliere, 15 direttori di Asl e il responsabile dell'Azienda emergenza e urgenza, il 118) e il prossimo anno due su 4 fra i responsabili degli istituti di ricerca.
Ora che le proporzioni sono fissate, tentiamo un pronostico su Brescia (precisazione d'obbligo: stiamo facendo del puro calciomercato)? Una delle due Asl (probabilmente la Valcamonica) e una o due aziende ospedaliere su tre. Se il Pdl manterrà Asl di Brescia e Ospedale Civile, attualmente impegnato in un radicale piano di riqualificazione (leggi: appalti per milioni di euro) gli enti sanitari di maggior peso e visibilità in provincia, la Lega, oltre a mantenere la guida dell'azienda ospedaliera di Desenzano (magari semplicemente, come era capitato per il predecessore Mauro Borelli, cambiando il direttore generale che, avendo maturato una certa esperienza, può essere destinato a strutture di maggior peso) potrebbe anche aggiudicarsi quella di Chiari (città del senatore leghista Sandro Mazzatorta) "lasciata libera" dall'Udc non più in giunta regionale e, quindi, fuori dai giochi. A compensare gli sbilanciamenti, poi, come sempre accade in questi casi, entreranno in campo le scelte dei direttori sanitari, amministrativi e sociali degli enti maggiori (soprattutto Civile e Asl di Brescia). Anche su queste la politica avrà comunque un peso determinante, alla faccia della tanto sbandierata meritocrazia.

martedì 14 dicembre 2010

Sanità e verginità: do you remember il 1995?

Roberto Formigoni con Luciano Bresciani

Nella settimana di passione per i manager della sanità lombarda (il 22 o il 23 dicembre si decideranno i nuovi vertici di aziende ospedaliere e sanitarie della regione, in tutto 45 poltrone che fanno gola a tanti) qualcuno si è scoperto vergine. Politicamente illibato e umanamente sdegnato davanti ad una parola: lottizzazione. Davanti ad una intervista che ha fatto scalpore come quella di Luciano Bresciani, assessore regionale alla Sanità, medico leghista, uno abituato a dire le cose come stanno, uno che in una trasmissione di Report sulla sanità, chiamato a giudicare il potere di Cl e Compagnia delle opere nelle corsie degli ospedali lombardi ha semplicemente detto: "Non giudico un alleato politico", lasciando intendere ciò che tutti sanno nel gioco dei poteri all'ombra del Pirellone.
Così  ecco che Bresciani alla vigilia di Santa Lucia, sulle colonne del Corriere della Sera, detta la linea sulle nomine in Sanità, spiega con quale logica verranno fatte le scelte. Spiega il piccolo e semplice assioma secondo il quale: «La logica nella nomina dei direttori generali di Asl e ospedali è fondamentalmente legata al peso del voto espresso dalla popolazione. Le proporzioni saranno pesate sul volume di preferenze ottenute dagli alleati». E per chi non avesse capito l'antifona ha saputo essere più esplicito: «La percentuale dei voti presi dalla Lega alle ultime elezioni si traduce in 18 manager. È un principio su cui non si può trattare». Punto. E al giornalista che gli chiede che sia una versione riveduta e corretta del manuale Cencelli precisa: "Non è lottizzazione. È semplicemente l'unico modo per rispettare il mandato degli elettori. Il popolo sceglie da chi vuole essere rappresentato. Una volta definito il numero di direttori generali che ci spettano in base ai risultati elettorali, i consiglieri della Lega mi indicano le loro preferenze, ossia quali Asl e ospedali è meglio avere e in che proporzioni rispetto alle 18 poltrone totali. Il Pdl fa lo stesso con i suoi".
Tutto per Bresciani ha una logica: «Bisogna decidere se fare filotto: cioè se la stessa coalizione politica può aggiudicarsi sia l'Asl sia l'ospedale nella stessa città. Per me è più democratico non farlo. A questo punto viene scelto il manager migliore sulla base degli obiettivi politici che devono essere centrati nel singolo territorio. Ovviamente la nomina cade su uomini di fiducia. La meritocrazia non è in discussione. Vengono scelti solo direttori generali in grado di guidare bene l'ospedale e l'Asl in cui sono stati nominati. Ma, inutile nasconderlo, il loro ruolo è di intermediari tra la tecnica e la politica».
Parole chiare che oggettivamente non sorprendono più di tanto visto che in Italia possono anche cambiare le maggioranze, ma i metodi lottizzatori restano immutabili. Che qualcuno espliciti poi questi metodi con tanta chiarezza può essere letto quasi come un tributo alla trasparenza. Parole che invece hanno fatto indignare molti, a partire dal presidente della Regione, Roberto Formigoni, per passare ad esponenti di Pd e Italia dei Valori. Il democratico Maurizio Martina, omologo regionale di Pierluigi Bersani, si spinge addirittura ad argomentare: «Il metodo di spartizione delle poltrone in ambito sanitario, spiegato candidamente dall'Assessore regionale leghista Luciano Bresciani, sancisce che siamo ancora alla vecchia politica spartitoria che fa prevalere gli interessi di partito sulla professionalità e le competenze dei manager. E' disarmante che sia proprio l'assessore alla sanità di una regione come la Lombardia a teorizzarlo con serenità. Aspettiamo di capire se nel centrodestra prevarrà questa logica sgangherata o si avrà il coraggio di rimettere in discussione seriamente questo modo di fare, con metodo nuovo e trasparente di selezione delle responsabilità prima di tutto in base alle competenze, all'esperienza e alle capacità. Sfidiamo l'assessore a venire rapidamente in aula ad esplicitare sino in fondo il suo ragionamento da noi ritenuto totalmente sbagliato».
Sembra quasi voler sostenere che si sapeva che le scelte erano politiche, ma sentirselo dire con tanta schiettezza non è bello. Meglio l'ipocrisia e la memoria corta.
Proprio per ricordare come  sono sempre andate le cose in Lombardia copio e incollo, come fosse una intercettazione telefonica, una riunione presso ufficio di presidente del Pirellone per decidere le nomine dei manager sanitari del gennaio 1995 svelata in un articolo, che fece scalpore, del Corriere della Sera del 2 gennaio di quell'anno. Buona lettura a tutte le anime belle...

"Noi vi lasciamo Magenta e ci portiamo a casa Vimercate". 
"Molla Cernusco e facciamo un discorso su Garbagnate". 
"A Lecco mandate chi volete, ma non un pidiessino, sennò Cristofori ci resta di merda".
"Se non mi date il Gaetano Pini, mi dimetto e fate la giunta con il Pds".
"Se Piazza va a Lecco, e Berger al posto di Crotti, mettiamo Arduini a Milano 2, ma Riboldi resta fuori".
"A Cernusco sono d' accordo di mettere uno del Pds e Crotti su Milano 6".
"Posso chiedere ai pidiessini di spostarsi da Cernusco a Garbagnate".
"Abbiamo Milano 2 con Arduini, recuperiamo Garbagnate e Cernusco e cediamo loro Magenta".
"Per Piazza va bene Cernusco. Mancini resta a Saronno. Amadei non lo vogliono a Legnano".
"E Mancini a Colombano?".
"Non ci va".
"Se facciamo cosi' , la Margherita da' le dimissioni".
"Seghiamo il Piazza e portiamo (nome incomprensibile) su Cernusco".
"Mi girano i coglioni a mettere il Cucci. Mi bevo la cicuta di Brescia, ma non posso cacciar via Pantè a calci nel culo".
"E Corbani? A lui interessa piu' Piazza, Fazzone o Berger?".
"Non puoi fare una verifica? Digli: tre non ci sono, due si ".
"Cucci no: dopo lo scherzo che ci ha fatto lui, premiare  'sti stronzi".
"Mattei va bene, glielo garantiamo noi".
"Non posso penalizzare troppo il Pds. Piuttosto, i giornalisti continuano a telefonare...".
"Mettete giu' i telefoni e buonanotte".
"A Bergamo e Brescia alla fine ne abbiamo 1".
"Pante' risponde, non c' e' problema. Ha fatto la campagna elettorale".
"A questo punto la situazione è questa: mi si chiede di mollarne uno su Brescia, salta uno anche su Milano, Lecco per un giro particolare lo dovrò dare al Pds".
"Un pidiessino a Lecco no!".
"Su Bergamo ho detto a Patelli che non ce la faccio".
"Noi ne perdiamo uno su Milano, quello di Sondrio ci va bene, per fare al presidente l' operazione che ci eravamo impegnati".
"Su Lecco Patelli chiede Ricci".
"Ho detto a Patelli: su Pante' ci impegniamo noi, e il coordinatore diventa della Lega".
"Quanti della prima linea restano fuori?".
"Mancini e Durante".
"Chi e' all' Usl di Monza. Gallo? Diaz e' fuori".
"Diaz bisogna che vada a Magenta".
"Potrei mettere Riboldi a Varese". "Perche' Riboldi?".
"Fammi fare una verifica con Rossoni".
"Non posso permettere al buon Rossoni che mi prenda anche Cantu' ".
"Mi salta uno a Brescia, mi salta Lecco per garantire Corbani o un pidiessino. Salta un milanese, mi e' saltato anche Sondalo. Patelli insiste su quell' altra cosa che mi complica Brescia".
"Su Milano io sono disposto a scambiare Magenta che a te interessa. Mandiamo Donzelli a Vimercate e Cernusco me lo porto a casa io".
"Dunque, a Milano, su 17 Usl e 8 ospedali, il Ppi ha 5 Usl e 2 ospedali, mi pare ragionevole".
"Voi chiudete con 2 ospedali, San Carlo e Fatebene, e 3 Usl, noi con 3 ospedali e 5 Usl, la Lega con un ospedale e 6 Usl, il Pds 2 piu' 2".
"Portano a casa piu' loro".
"Dove va Fazzone? Non c' e' Berger? A quello non gliene frega un cazzo di Piazza, vuole Fazzone. Mettilo su Milano 2".
"Al 27 Donzelli, al 28 Gastoia... Icp a Matiussi, al Pini Spaggiari...".
"Cosi' Corbani non ne ha neanche uno".
"L'Abbate la metto su Viadana".
"Metti Mancini sulla Usl di Mantova".
"Ma il Pds ne ha sei, con Donzelli e Mancini".
"Almeno uno lo dobbiamo dare a Corbani".
"Allora Fazzone a Lecco, la Lega perde Magenta e ci mettiamo Diaz".
"No, Diaz a Lecco e Fazzone a Magenta".
"Stiamo riempiendo di pidiessini e di Corbani".
 "Mancini dove l' hai messo? Togli Riboldi e metti Mancini".
"Riboldi a Mantova".
"Chiama Galli. Fazzone dove l' hai messo?".
"Non riesco piu' a dare il posto a Corbani". 
"Cinque su 17? Ma guarda la Lombardia! Sempre la Lega eh?".
"No Stefano, non e' sempre la Lega. Diaz va a Lecco, resta fuori Berger, ma a Corbani interessa di piu' Fazzone".
"Portare Fazzone su Garbagnate e' una cazzata".
"La complichi ancora!".
"Non se ne parla nemmeno, lo voglio al Pini. Senno' avete le mie dimissioni seduta stante e fate la giunta con il Pds. Chi se ne fotte di Magenta? A Magenta mettete Spaggiari, al Pini va Fazzone!".
"Non ho problemi. Datene pure otto al Pds e fate un' altra giunta... Dovete dare per scontato che ci sara' l' attacco dei giornali sulla lottizzazione selvaggia. Adesso vi assumete la responsabilità , io me ne vado".
"Chiamate Rossoni".
"Giovanni, Corbani sta diventando un problema della maggioranza".
"Non posso sparare nelle gambe a Margherita! Se vuol fare la cretina la faccia".
"Vieni giu' a dirglielo".
"Giovanni, gliel' ho gia' detto: se vuole dimettersi, si dimetta!".
"Comunque, Corbani Garbagnate se lo sogna".
"Chiama di qui il presidente. Vediamo: 24 al Ppi, 14 alla Lega, 10 a noi, allora il Pds ne ha 7".
"No, otto".
"Per il Ppi: Tellini, Carenzi, La Marca, Mantegazza, Piccolo, Caresi, Leoni, Dusina, Comensoli, Frera, Praldi, Conz, Bertoja, Mariani, Miglio, Granata, Candiani, Santagati, Catarisano, Provera, Tana, Sala, Spaggiari, Beretta. Lega: Tessera, Bai, Rotasperti, Bonacina, Lodigiani, Piermattei...".
"C' e' un problema. Stella a Voghera aveva detto che era pronto a dimettersi, ma poi non l' ha fatto. Per una legge, anticostituzionale senza dubbio, non puo' avere la nomina li' ".
"Cerca Giovanni. E' andato verso casa. Ha il cellulare: 0337 3722...". 
"La giunta ha dato l' interpretazione autentica del decreto 517, e le dimissioni dall' Usl di appartenenza dovevano essere fatte prima. Chiunque puo' fare ricorso. Albini, il funzionario che deve firmare il decreto, non vuole".
"Rischiamo il ricorso? Oppure nominiamo Stella a Vigevano e Catalesano a Voghera, tanto sono tutti e due nostri, nell' intergruppo. Poi si dimettono e chiedono il trasferimento. Giovanni, io faccio quello che dici tu. Catalesano a Voghera, Maggioni a Vigevano e Stella a Pavia. Ti passo Baruffi, poi chiama a casa Stella".
"Ciao! C'e' questa complicazione. Riguarda anche uno della Lega. Il problema e' quello che dice Sarolli: lo scambio e' difficile ma non impossibile. Se Albini firma la delibera... Ma se questo si rifiuta".
"Su questa roba Azzaretti fa subito ricorso! L' unico che puo' convincere Albini e' Nanni".
"Chiama il presidente perche' bisogna chiarire con lui la questione Corbani".
(conversazioni raccolte da Elisabetta Rosaspina
e tratte dall'archivio storico del Corriere della Sera)

lunedì 13 dicembre 2010

Cinquantenni o giù di lì, riflessioni impietose di un quasi disastro

Sergio Castellito in "La bellezza del somaro"
Che famiglie siamo, che genitori saremo, quando i nostri figli saranno con tutti e due i piedi nell'adolescenza? Nel giorno di S.Lucia (la prima Santa Lucia disvelata ormai ad entrambi i figli, perchè a 10 anni il tempo delle favole è in riserva sparata) scorrono le immagini dell'ultimo film di Sergio Castellito sceneggiato dalla moglie Margaret Mazzantini (mio piccolo idolo letterario) e penso a noi, praticamente ad un passo dal saltare il fosso dei cinquanta (quell'età oltre la quale, se ti va bene, sei chiamato, quantomeno, a fare i conti con la pillola della pressione) e a quale famiglia "adulta" ci attende. Guardo delle immagini e mi chiedo quale sarebbe la mia reazione se mio figlio mi rispondesse così:



Sfoglio la recensione di "La bellezza del somaro" (questo il titolo del film di Castellito) offerta dall'ultimo numero del L'Espresso e leggo di famiglie che volevano fare la rivoluzione e hanno fatto al massimo l'estate romana. Leggo di poveri cinquantenni "snob, egoisti e narcisisti, eterni fanciulli" che "stanno per entrare dalla giovinezza nella vecchiaia senza essere mai riusciti a passare dall'età adulta". Già i cinquantenni: li guardi di là dal fosso, con le loro pillole per la pressione alta, e quasi non ti rendi conto che ci passano meno di due generazioni e che i capelli bianchi ci sono già da tempo. Li vedi scorrere nel trailer (il film uscirà il 23 dicembre) e sorridi per i loro tic, le loro manie il loro essere tanto simpatici quanto vuoti. E magari ti identifichi un po': ti metti vicino a tuo figlio, che ormai ha il tuo stesso numero di scarpe, ti guarda dritto negli occhi perchè ha la tua stessa altezza anche se vorrebbe essere preso in braccio e coccolato come un infante, e ti chiedi se sei stato e se sarai un buon padre, un buon genitore. Oppure ti chiedi se i tuoi ideali resteranno come i souvenir del Muro di Berlino, calcinacci nella vetrinetta buona, come la sabbia del deserto, le conchiglie dell'oceano e le vecchie mille lire. Osservi Sergio Castellito nel film che si fa una canna, ultimo conato di giovanilismo censurato pure dalla figlia, e rifletti pensando che il film racconta di una generazione che ha fallito "come ogni generazione - spiegano gli autori - che non riesce a costruire un futuro migliore per quella successiva". Risate amare per noi che ci apprestiamo a raccogliere il loro testimone in questa Italia fragile come i suoi cinquantenni, che ne sono lo specchio del disastro. Noi che stiamo - anagraficamente - un passo indietro andremo al cinema a Natale, ci faremo forse due risate, e aspetteremo i cinquanta cercando di recuperare quella concretezza dell'età adulta che nè Santa Lucia, nè Babbo Natale portano più.





venerdì 10 dicembre 2010

Cara Santa Lucia... al mercato della politica

"Cara Santa Lucia, portami un deputato che voti la fiducia. Costi quel che costi..."

Se fossi un marziano catapultato davanti ad un'edicola del Belpaese e sfogliassi i quotidiani di questa mattina, che idea mi farei della politica italiana? Di una politica che cerca nei mercatini di Natale il parlamentare fedele, che prega davanti alla tomba di Santa Lucia affinchè la notte del 13 dicembre arrivi un deputato in grado di votare la fiducia al governo Berlusconi. Una fiducia a tariffa, spiega oggi Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, "voltafaccia plateali nelle forme e oscuri nei contenuti". E' così in questi giorni la politica italiana mostra le fragili fondamenta sulle quali è basata, lo spettacolo indegno di tanti signor nessuno che fondano gruppi, cambiano casacche si alzano in punta di piedi per non ingoiare il fango che, a poco a poco, sta sommergendo tutti.
Potremmo star qui a parlare su chi e cosa rappresentano i vari signori Cesario, Scilipoti, Calearo, Razzi ma fatichiamo a pensare che rappresentino il decoro di un parlamento, forse mai arrivato così in basso, o quella responsabilità nazionale invocata a paravento di un disegno politico che si fatica a intraverdere. Che tristezza, che  pena questi politici designati dai partiti,  questi miracolati della politica che marcano la fossa che c'è ormai profonda tra il palazzo e il mondo reale. Una società  che certo non si identifica nel triste spettacolo di questi giorni in cui, per dirla sempre con Pierluigi Battista, "un confine di elementare pudore è stato violato", magari con la vaga promessa della rielezione (per non dare troppo credito alle insistenti voci di compravendite).
Il marziano che è in noi sfoglia il giornale è pensa che si sta meglio in qualche stella lontana, dove non ci siano il mercato delle vacche, ma nemmeno (pagina 8 del Corriere) un Lamberto Dini, 74 anni, ex governatore di Bankitalia, ex presidente del Consiglio, che assicura alla radio di avere una vita sessuale intensa senza aiutini. Che dire...:"Cara Santa Lucia, portameli tutti via..."



giovedì 9 dicembre 2010

Sanità: parte la corsa ai vertici di Asl e ospedali

E' la corsa dei 700. Settecento aspiranti manager per 45 posti di vertice in aziende sanitarie e ospedali lombardi e un centinaio di "premi di consolazione" come direttori sanitari, amministrativi e sociali. E' la più grande spartizione politica che, ogni tre anni, di questi tempi si consuma in Lombardia. E' l'argomento più gettonato da qui a Natale nelle corsie degli ospedali e negli uffici delle Asl: c'è sempre il solito bene informato, il sindacalista che "sa tutto lui", il funzionario che sembra il tenutario dei segreti della stanza dei bottoni.
Entro il 23 dicembre, giorno in cui la giunta regionale, retta da Roberto Formigoni, dovrà designare i nuovi direttori delle Asl e delle Aziende ospedaliere lombarde (in tutto 45 nomine), si affosseranno carriere, si lanceranno in orbita nuove promesse della sanità lombarda, si regoleranno conti politici, si andrà all'incasso di promesse elettorali in una grande spartizione partitica nella quale il cittadino-paziente può solo sperare in due cose: che le persone scelte siano capaci indipendentemente dallo sponsor politico che le ha fatte sedere su quella poltrona e, visto quello che recentemente ci hanno raccontato le cronache, che siano persone oneste e trasparenti. Fino ad ora, è giusto dirlo, le cose sono andate abbastanza bene anche se quella che si sta consumando in queste settimane potrebbe essere una battaglia aspra, caratterizzata da tante, forse troppe, variabili politiche.
Innanzitutto questo sarà l'anno della Lega che reclamerà, secondo alcuni, poco meno della metà della torta a disposizione (una ventina di manager) facendo un grande balzo in avanti nel toto nomine approfittando anche del fatto che tra i commensali è sparita l'Udc, passata all'opposizione in Regione, e che all'interno del Pdl potrebbe aprirsi una lotta fratricida tra ex An ed ex Forza Italia che tre anni fa, prima della fusione, potevano contare su proprie "riserve indiane" e che ora devono, gioco forza, metter in comune le proprie aspirazioni con l'ulteriore variante che la componente ex An risulta indebolita dal terremoto Fini.
Insomma, ne vedremo delle belle e il 23 dicembre, armati di bandierine come Emilio Fede, attenderemo l'esito della riunione di giunta sulla Sanità. Per ora vi fornisco qui sotto l'elenco dei 700 che hanno ottenuto l'idoneità a concorrere ai posti di manager sanitari in Lombardia. Inutile dire che questa lista è solo una formalità e i criteri di scelta saranno tutti politici, ma è curioso vedere come, spulciando i nomi troviamo un po' di tutto: non solo medici, primari, ammiministratori in aziende sanitarie e ospedali, ma anche sindaci, ex parlamentari, persino consiglieri regionali, quasi a testimoniare che il conflitto di interessi è un optional e che la politica nelle nomine peserà più di tanti brillanti curricula.

Sanità lombarda, gli aspiranti manager