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lunedì 31 agosto 2009

Scegli l'Inno: testa a testa tra Mameli e Verdi


I lettori di questo blog sono divisi, come è divisa la Penisola. Il 17 agosto sull'onda dei tormenti leghisti sull'Inno d'Italia (ricordate il verbo da Ponte di Legno: "Mameli? Non lo conosce nessuno") avevamo lanciato un sondaggio: "Scegli tu l'Inno d'Italia". Avete risposto in tanti, per i numeri di questo piccolo blog, e vi siete ben distribuiti sulle quattro proposte, dividendovi, però, equamente sulla contesa principe: quella tra l'Inno di Mameli e "Va' pensiero". I due brani sono stati scelti complessivamente dal 66% dei lettori che hanno partecipato al sondaggio, equamente ripartiti con un salomonico 33% tra Mameli e Verdi. Un trentatre per cento, questa volta complessivo, anche per gli altri due brani proposto "Viva l'Italia" di Francesco De Gregori, scelto dal 22% dei lettori e "Bella ciao" indicato dall'11% dei visitatori del sito.
Anche per noi, quindi, resta un dubbio: meglio Mameli o Verdi?
Intanto ecco (cliccando qui) un interessante intervento di Vittorio Messori sul Corriere della Sera del 19 agosto, che spiega, per chi avesse la memoria corta, come l'italiano sia una lingua talmente democratica da non essere stata imposta da alcun potere (come accadde in altri stati europei), ma scelta in piena autonomia (lombardi compresi, vedi Alessandro Manzoni) per dare unità culturale ad un'Italia politicamente divisa.

E sempre in tema di Inni per il nostro paese malato, tra Mameli e Verdi forse di questi tempi è meglio Ligabue: "Buonanotte all'Italia".


mercoledì 26 agosto 2009

L'ultimo saluto a Jos e il ritorno nella sua Bassa



Giorgio Sbaraini è tornato a casa. Jos, 78 anni, giornalista a Bresciaoggi, maestro di noi che lo abbiamo seguito in questa avventura professionale, da oggi pomeriggio, riposa nella sua Lograto. In quel cimitero che il paese della Bassa divide a metà con Maclodio, in quel camposanto dove ha accompagnato tanti amici del paese e che, con quella statale orceana che gli passa accanto, sembra avere un cordone ombelicale che lo lega alla città, la città nella quale ha lavorato e che ha saputo volergli bene.
Quella città che oggi gli ha dato l'ultimo saluto nella chiesa di San Polo, una chiesa non bella, ma oggi gremita di umanità. Quella dei famigliari, dei colleghi (per noi di Bresciaoggi è stato come tornare indietro di decenni, quasi fossimo ancora ai tempi in cui il giornale era frutto del lavoro di una cooperativa di giornalisti e tipografi), degli sportivi che nei suoi articoli leggevano l'autorevolezza dell'osservatore attento, del commentatore esperto e capace. Vecchi e nuovi campioni, accanto ai ragazzini del Brescia calcio che forse non conoscevano Jos ma che, in questi giorni, ne hanno letto i talenti snocciolati sul giornale da tanti estimatori. C'era anche qualche posto vuoto nella chiesa di San Polo, ma si sa, l'estate rende svogliati e la sensibilità e la gratitudine, non sono di tutti.
Ciao Jos, quando la mattina passerò davanti al cimitero di Lograto per andare al lavoro ti manderò un saluto. Per me sarà il modo migliore per onorare una giornata di impegno nella professione che tu hai tanto amato.

IN QUESTI GIORNI SONO COMPARSI SUL WEB ALCUNI RICORDI FILMATI DI GIORGIO SBARAINI ECCOLI:



lunedì 24 agosto 2009

Ciao Jos, ragazzo della Bassa


"Certo, ne è passata di acqua sotto i ponti dell'Oglio, dei suoi canali e dei vasi che irrigano la "nostra" Bassa, ne è passata, di acqua, che adesso se ne sente la mancanza e i fossi li stanno cementando tutti, per tenerla a mano e non farla disperdere. E non paiono - nè sono - più gli stessi di allora, che erano pieni di acqua e resi ombrosi dalle rive di platani e di salici, di pioppi e di lecci. D'accordo, probabilmente è giusto introdurre tutti i cambiamenti del mondo, ma che sapranno i gnari di oggi di quella campagna e di quella natura, delle bòse che andavamo a pescare con fiocine rudimentali...? Avranno tutto 'sti gnari di oggi, ormai senza desideri: ma chi dice che siamo più felici di quanto nella nostra povertà, noi riuscimmo a essere?".
(Giorgio Sbaraini dal libro "Domenico Bianchi - sindacalmente parlando")


Ha riposto per sempre la matita con la quale ancor oggi, nell'era digitale, amava scrivere, ha lasciato intonsi quei fogli ampi e quadrettati che lo facevano tornare insegnante elementare Giorgio Sbaraini. Settantotto anni consumati in un lampo,come si tempera una matita, la sua matita; 78 anni passati a scrivere, a raccontare di sport e di vita quotidiana con quella prosa che ci accompagnava per mano, con quel modo di raccontare senza uguali che fa la differenza tra il maestro e il discepolo. E Dio solo sa come, in questa generazione di fenomeni, in questa professione poco conscia dei propri limiti, i maestri siano una categoria in via di estinzione e non solo per ragioni anagrafiche.
E Jos, così lo chiamavamo noi a Bresciaoggi, era un maestro, non solo perchè lo aveva fatto per anni in una scuola elementare prima di approdare a tempo pieno al giornalismo, ma anche perchè sapeva insegnarci più di quanto, noi, fossimo in grado di imparare. Lo faceva con quel suo modo scanzonato, con quel suo intercalare dialettale, con quella sua imprecazione colorita che spesso faceva arrossire i preti.
Non mi occupo di cose di sport, il settore al quale Giorgio ha dedicato buona parte della sua carriera giornalistica, ma a Jos mi accomunava il fatto di essere un "gnaro" della Bassa, lui di Lograto, io, una manciata di generazioni dopo, di Orzinuovi e nei nostri discorsi (conversazioni dall'incedere lento come lo scorrere dell'Oglio d'estate) ci capitava spesso di raccontarci quella fetta di provincia che ci aveva cullato da ragazzi e che continuava ad essere per noi, "cresciuti a castagne ed erba spagna", per dirla con Guccini, un punto di riferimento tutt'altro che meramente geografico. Così di lui ho amato quegli spaccati di vita contadina che era solito raccontare con quello spirito divulgativo e curioso che, negli anni, ha contribuito a dare autorevolezza alla nostra professione. Quelle storie e quei ritratti che sembravano uscire dai documentari che Mario Soldati aveva costruito attorno al grande fiume Po, quelle scenografie che sembravano rubate alla tv in bianco e nero che, dopo che la storia ha fatto l'Italia, ha forgiato gli italiani.
Di lui, genio e sregolatezza, ho amato il suo essere giornalista, il suo essere autorevole cantore di ciò che gli stava accanto. Mi è capitato ancora di passeggiare con Jos per le vie di Brescia e di essere fermati da gente che gli chiedeva opinioni e pronostici. Lo guardavo con invidia in quelle circostanze, così come non potevo avere ammirazione quando lo vedevo alzare il telefono, ridere e scherzare con il cavalier Luigi Lucchini, mostro sacro della storia industriale bresciana, inavvicinabile ai più, ma uno che chiamava Jos la mia penna preferita. Non erano amici nel senso letterale del termine (Jos, che arrivava dal giornalismo militante, intingeva spesso la matita nell'ironia e nella critica caustica e per nulla accondiscendente); erano solo uniti da un reciproco rispetto e da una altrettando reciproca stima. E questo bastava fra galantuomini.
Rispetto e stima, merce rara di questi tempi popolati da sovrani e vassalli, più che da controllati e controllori, dove il diritto di critica è spesso letto e soffocato come lesa maestà.
Jos ci mancherà anche per questo, mancherà a noi, ma anche ai suoi affezzionati lettori che sono in lutto già da tempo, dopo la scomparsa, per causa di forza maggiore, dei suoi articoli e dei suoi commenti. Jos ci ha lasciato un'eredità impegnativa da onorare, quella di un giornalismo schietto, e dalla schiena dritta. Di un giornalismo curioso e senza compromessi, costruito sul rigore e sull'autorevolezza. Un impegno che quel ragazzo della Bassa ha onorato scrivendo di sport e di cronaca, discorrendo di politica ed economia, raccontando una provincia alla quale era affezionato come ci si affezione alla matita preferita. Ora quella matita preferita e lì che aspetta di tornare ad essere temperata a dovere. Ora quella matita attende noi e quelli come noi che hanno conosciuto e stimato Giorgio. Ciao Jos, ragazzo della Bassa prestato al giornalismo, ora il nostro impegno, di noi che ti salutiamo con la commozione con la quale si saluta un maestro, è quello di non deluderti.

Ps: Mi sono chiesto con quale canzone onorare Giorgio Sbaraini. Ho scelto Cirano di Francesco Guccini, ho scelto parole come "Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio, perchè con questa spada vi uccido quando voglio... Io non perdono e tocco". Ciao Jos...

sabato 22 agosto 2009

Le notti di guardia raccontate sul web


"La notte, quando sarò di guardia, andrò a caccia di un'impressione. Un'impressione di seconda o terza fila, una di quelle tanto schive da starsene sempre al buio e tanto lievi da rimanere impigliate tra le maglie di un sogno"
(dal blog nottidiguardia.it)


Sono approdato, quasi casualmente, in un blog che consiglio. Si chiama Notti di guardia e raccoglie racconti, impressioni, squarci di vita dalle corsie degli ospedali. "Questo sito - scrivono i promotori - è stato creato da un gruppo di operatori sanitari, estrosi ed intraprendenti, che sentono un legame (sottile ma tenace) fra la passione per la medicina e l’amore per l’arte, il teatro, la fotografia, la letteratura. E’ nato così un contenitore di storie (ma anche di immagini) di notti di guardia, trascorse dietro ad avventure che, sebbene non sempre spettacolari, sono ugualmente in grado di dispensare emozioni e poesia. Un luogo di incontri virtuali tra idee, pensieri e riflessioni proprie di una realtà notturna, sconosciuta e riservata".
Il risultato è una passione professionale carica di umanità, una medicina raccontata guardando in faccia l'altro che diventa uomo e non è più paziente. In un momento in cui la medicina viene raccontata dai sospiri rubati negli sgabuzzini di Grey's anatomy, dalla cruda simil-verità di E.R., dal cinismo diagnostico del Dottor House, "Notti di guardia" è una lama di luce e umanità in una corsia di ospedale dove spesso la tecnica cancella gioie e dolori e resta inappagata quella voglia di contatto umano che spesso per chi sta in un letto ha la stessa dignità di una terapia.
Notti di Guardia, insomma, è una bella sorpresa: ci dice che anche i camici bianchi hanno un cuore e quel cuore sa raccontare e sa far riflettere, sa fare il triage all'anima. Sono in attesa che qualcuno mi segnali un blog simile dove noi giornalisti ci raccontiamo col cuore. Un bagno di umanità farebbe bene anche alla nostra categoria: ci avvicinerebbe a quanti noi diciamo di servire (i lettori), ma dei quali spesso non conosciamo o non sappiamo interpretare respiri ed emozioni.

MEDICI IN TV


mercoledì 19 agosto 2009

Omaggio a Fernanda Pivano


I miei adorati scrittori americani mi accompagnavano durante la guerra facendomi coraggio con le loro storie". (Fernanda Pivano)


Ci ha lasciato Fernanda Pivano. Di lei Repubblica scrive:
"Scrittrice, giornalista, traduttrice e critica, nasce a Genova il 18 luglio 1917. A ventiquattro anni - e in piena seconda guerra mondiale - si laurea in Lettere con una tesi in letteratura americana su Moby Dick. Il capolavoro di Melville è la chiave che le apre la porta sul mondo della grande letteratura made in Usa. Nel 1943, pubblica la prima parziale traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Il suo mentore è Cesare Pavese, già suo professore al liceo D'Azeglio di Torino e il primo di una serie di incontri fondamentali, tra cui quello con il marito, il grande architetto e designer Ettore Sottsass. L'incontro del 1948, a Cortina, è con Ernest Hemingway. Nasce un rapporto di amicizia e di lavoro. Nel 1949, Mondadori manda in stampa la traduzione di Addio alle armi. La Pivano sarà la maggiore curatrice delle opere dell'autore de Il vecchio e il mare".

A noi non resta che dirle grazie per averci aiutato ad ampliare i nostri orizzonti culturali. Per aver accompagnato per mano l'Italia alla scoperta di un mondo letterario fino ad allora poco conosciuto.







lunedì 17 agosto 2009

Scegli tu l'Inno d'Italia



Facciamo un gioco: la Lega vuole cambiare l'inno d'Italia sostituendo quello di Mameli con il coro "Va' pensiero" dal Nabucco di Verdi. Decidi tu. Rispondi al sondaggio che vedi qui a fianco e per rinfrescarti la memoria ecco i video delle quattro canzoni candidate.

L'Inno di Mameli



Va' Pensiero



Viva l'Italia



Bella Ciao

sabato 15 agosto 2009

Tributo a Woodstock


Nato ero nato, ma non avevo l'età per avere cognizione di cosa si trattasse (forse, più semplicemente, non avevo ancora la televisione entrata in casa qualche anno dopo al prezzo di tanti risparmi). In ogni caso Woodstock '69 (dal 15 al 18 agosto 1969 alla «tre giorni di pace e musica», nella quale si alternarono 32 tra gruppi e musicisti, parteciparono più di 500 mila persone), con la sua forza ideale e con quello che ha rappresentato negli anni successivi non può non meritare un ricordo.
Un omaggio senza pretese, senza enfasi, sentendomi sul tema come un gentile nel tempio. Buon ascolto a tutti

Galleggiando a ferragosto


"Oggi vi dico la verità: amo Berlusconi e Tremonti, amo Franceschini e Bersani, amo Di Pietro, Bertinotti e Vendola, amo Ferrero e pure Veltroni, amo addirittura D'Alema e Napolitano, amo perfino Gelmini, Ratzinger, Maroni, Calderoli e financo La Russa... Lo psichiatra mi ha prescritto una vacanza". Jena (da La Stampa del 15 agosto 2009)


Ferragosto è uno di quei strani giorni in cui l'afa ti si appiccica al corpo come la fatica di vivere. In cui, se non sei lontano, ammaliato da spiagge e nuove scoperte, ti lasci galleggiare nel nulla, nel caldo, avvolgente, nulla. Un non luogo fatto di titoli di giornale che ti raccontano di una ripresa economica che forse ci sarà, di una politica che ama sostituire i fatti alle provocazioni, le polemiche ai confronti, di posti difficili come i centri per immigrati che l'estate del pacchetto sicurezza ha trasformato in polveriere come le carceri prima della legge Gozzini o di luoghi fantastici come gli azzurri fondali dell'Australia.
Ti lasci galleggiare nell'afa di ferragosto e ti interroghi sulle cento cose che ti possono bastare per vivere (dalla provocazione di un manager americano che ha chiesto sul web cosa sia veramente indispendabile). Leggi, pensi e sorridi quando scopri che c'è chi non potrebbe vivere senza scarpe da jogging. Guardi le foto delle tendopoli del Darfur, ti viene in mente San Francesco e ti verrebbe voglia di scrivere che fra le 100 cose indispensabili per vivere tu ci mettersi anche la libertà, alla bisogna, di mandare qualcuno a quel paese; meglio se attingendo al colorito dialetto bresciano (così anche la Lega è più contenta in questo ferragosto dove Bossi da Ponte di Legno, parla di idiomi locali e la Padania si improvvisa plurilingue).
Bighelloni in questo ferragosto silenzioso e ti imbatti nella storia di Stan Cattermole (ma questo più che un nome forse è solo uno pseudonimo), un bruttino stagionato, che delle sue disavventure con le donne rende conto su un blog che ha chiamato Bete de Jour (Bestia di giorno). Così forse non avrà mai una fidanzata, ma si è assicurato centinaia di lettori abituali, che seguono le sue avventure (o è meglio chiamarle disavventure?) sentimentali on line, famigliarizzando con la faccia deforme dell' Elephant man cinematografico nel quale Stan si è immedesimato. Il successo con le ragazze per ora non gli arride, ma nel mondo multimediale cucca come George Clooney. Stan, il brutto anatroccolo (così l'ha chiamato Francesca Paci su La Stampa di oggi) troverà mai la fidanzata? Nel ferragosto appiccicoso dell'ozio e delle fantasie tutto è possibile. Auguri, dunque: perchè fra le cento cose indispensabili per vivere io ci metterei senz'altro anche la speranza.



venerdì 14 agosto 2009

Informazioni, conflitto di interessi. L'abisso tra Italia e Usa

Sul rapporto tra istituzioni e informazione, sul conflitto di interessi segnalo un approfondito intervento sul Corriere di Salvatore Bragantini, ex commissario della Consob, autorevole commentatore su temi economici. Un'analisi acuta che ci spiega come siamo distanti da quella nazione che ha eletto un afro-americano a presidente.

Il codice sulla libertà d' informazione che allontana gli Stati Uniti dall' Italia

giovedì 13 agosto 2009

Innse, Camozzi e la teoria dello spiedo


«Torno a Polpenazze soddisfatto, mi piacerebbe invitare tutti i dipendenti della Innse per uno spiedo, dopo le tensioni di questi giorni c'è bisogno di stemperare per ripartire più forti»
(Attilio Camozzi, dopo la conclusione della trattativa Innse)


Sta tutto in questa frase (riportata da Giovanni Armanini su Bresciaoggi) la colonna sonora della vicenda Innse, la fabbrica milanese rilevata in extremis dal gruppo bresciano. Sta tutto in quel modello Lumezzane (vedi Massimo Tedeschi sempre su Bresciaoggi) che ha esportato cultura imprenditoriale in mezzo mondo, una cultura tutta casa-officina, tutta rapporti umani imprenditore-operaio. Se non fosse così, Attilio Camozzi non si sarebbe lasciato intenerire da quegli operai cinquantenni, da una vita in quella fabbrica cancellata da un destino fatto di speculazioni edilizie, saliti sulla gru nell'ennesimo tentativo di dare una prospettiva alla lotta che sembrava spegnersi definitivamente nell'afa di agosto. Se non fosse così, Attilio Camozzi non accarezzerebbe il sogno di portare tutti a mangiare lo spiedo nella sua Polpenazze (lì si è trasferito dopo essere migrato da Lumezzane), sicuro che il futuro di una fabbrica, passa sì dai sacri principi dell'innovazione e della competitività, ma nel motore ci deve essere la "primissima" fra le materie prime: una forza lavoro fatta di persone, esperienze, storie, non solo di numeri e mansioni. Un propulsore umano che è il primo patrimonio dell'imprenditore, con il quale il padrone accetta il confronto al tavolo sindacale, ma con il quale siede volentieri per gustarsi, appunto, uno spiedo.
Negli anni in cui si misurano i danni di un'imprenditoria tutta finanza, serviva proprio una storia come quella dell'Innse: è il riscatto della ragione sul calcolo meramente speculativo; dell'imprenditoria che ama aggirarsi fra le officine e le macchine su quella che preferisce i diagrammi e le curve degli analisti; dell'economia reale su quella tutta borsa e finanza.
Ieri ho visto Attilio Camozzi parlare con orgoglio e con passione di questa operazione sulla quale nessuno avrebbe scommesso fino a qualche settimana fa. L'ho sentito parlare di questa fabbrica, come di una creatura che sente già sua. Perchè i Camozzi ragionano così: "Per fare andar bene un'azienda - raccontò un giorno, in quel dialetto aspirato tipico di Lumezzane, parlando di una fabbrica da poco entrata nel gruppo e fino ad allora gestita da manager - ci vuole l'occhio del padrone". Una presenza costante, una passione palpabile che per l'Innse sarà una garanzia.

mercoledì 12 agosto 2009

Il caso Innse e la lotta d'altri tempi


Chi l'avrebbe mai detto che quella che sembrava una lotta sindacale d'altri tempi potesse chiudersi, almeno così pare, alla vigilia di ferragosto. La storia dell'Innse e l'accordo con la cordata capeggiata dalla bresciana Camozzi è il segno che la volontà conta forse più dei proclami istituzionali; che la voglia di fare imprenditoria seria non è scomparsa; che nella lotta sindacale, anche la più dura, serve il buon senso; che i teorici del nuovo mondo del lavoro e delle sue nuove dinamiche hanno forse ragione, ma nella realtà alcuni modi di affrontare le situzioni più critiche pagano ancora.
Non so come andrà a finire la vicenda Innse (ora dagli accordi su carta bisogna passare ai fatti), ma certo è che in questa estate torrida che puzza di recessione si è aperto un rivolo di speranza che potrebbe raffreddare un autunno che si preannuncia sempre più caldo.

La notizia



Gli operai sulla gru



Una testimonianza



ORA CLICCA QUI PER AVERE QUALCHE NOTIZIA SUL GRUPPO CAMOZZI

martedì 11 agosto 2009

La montagna tra i due laghi

Giornata intensa in uno degli scorci più suggestivi della nostra provincia: il Monte Guglielmo, la montagna tra i due laghi. Uno, il Garda era nascosto da qualche nuvola: peccato. In ogni caso ottimi scenari.



Clicca qui per avere alcune informazioni sul Monte Guglielmo

domenica 9 agosto 2009

Libertà di informazione: Italia - Venezuela, preoccupazioni ricorrenti

Libertà di Informazione, il Venezuela pensa ad una legge per regolamentarla, con motivazioni che sembrano molto italiane... Leggete qui.

Venezuela: reazioni alla proposta di legge sui “reati d'informazione”

2009-08-06 @ 7:48 EDT · articolo originale di Luis Carlos Diaz
tradotto da Filippo Rizzi


Il 30 luglio scorso Luisa Ortega Díaz, Ministro della Giustizia venezuelano, ha proposto una “Legge contro i reati d'informazione” (il testo integrale è disponibile qui [sp]) che diversi blogger e giornalisti considerano una grave minaccia alla libertà d’espressione. I media sono stati spesso al centro degli scontri politici nazionali. Il presidente Hugo Chávez ha criticato duramente diverse testate, accusandole di destabilizzare il Paese e diffondere notizie false. Come conseguenza, afferma [in] Ortega Díaz, “È necessario che lo Stato venezuelano disciplini la libertà d’espressione”, sottolineando che non è intenzione del governo limitarla, bensì solo regolarla.
L’attuale Costituzione garantisce la libertà d’espressione, pur precisando che ci sono limiti e responsabilità da rispettare. Tuttavia questo disegno di legge aumenta il numero di reati in cui potrebbero incorrere quanti operano nel mondo dell'informazione. Il testo comprende infatti 17 articoli in base ai quali editori, giornalisti, fonti e chiunque partecipi in qualsiasi mezzo di comunicazione potrebbero subire condanne fino a 4 anni di carcere se la notizia pubblicata provoca il panico fra la popolazione o mette a repentaglio la quiete pubblica, la sicurezza o l’indipendenza dello Stato venezuelano. La stessa pena può essere comminata a coloro che manipolano le informazioni o “disturbano la salute mentale o la morale pubblica”.

È proprio il significato vago di tali termini a preoccupare blogger e giornalisti venezuelani, i quali sostengono che la libera interpretazione di queste norme potrebbe consentire al governo di colpire qualsiasi soggetto mediatico che ne criticasse l'operato. Starebbe a discrezione dell’esecutivo stabilire a quali azioni potrebbe riferirsi la nuova legge. Molti dunque non nascondono i propri timori riguardo le modalità d’attuazione e le conseguenze per il giornalismo in Venezuela.

Uno di costoro è il professore di giornalismo Moraima Guanipa, che su Twitter sostiene che il disegno di legge è “un nuovo tentativo di imporre la censura e l’auto-censura criminalizzando la professione giornalistica”.

Un paio di blogger sono fra coloro che vanno ricorrendo ai citizen media per esprimere opinioni e realizzare video al riguardo. Naky Soto è l’autrice di un video virale in cui spiega come il disegno di legge inasprisca le sanzioni contro i giornalisti; Jogreg Henríquez, autore del blog Circulemos, ha realizzato un filmato dove sottolinea come “chiunque” correrebbe il rischio di finire in prigione a causa della discrezionalità del governo nell’interpretare le norme.




Global Voices

venerdì 7 agosto 2009

Le bandiere regionali: ma sapete che...



La Lega nord ha presentato la richiesta di modificare la Costituzione per dare diritto di cittadinanza alle bandiere delle regioni. Così sui giornali sono comparse le foto degli stendardi regionali, un modo per capire quanto la bandiera della Lombardia, nata come stemma e presto finita sui vessilli che campeggiano nelle sedi comunali, sia più il frutto di uno studio grafico (in effetti è opera del designer Bob Noorda che stilizzò il graffito preistorico della Rosa Camuna di Capodiponte) che di un bagno di storia. La Lombardia, del resto, è in buona compagnia, visto che accanto a vessilli storici (dal Piemonte alla Sardegna passando per il Veneto) troviamo dei discreti lavori di grafica (dall'Emilia alle Marche). Insomma, la necessità di sventolare una bandiera per molte regioni è pari a quella di avere la carta intestata.
Intanto, mentre a Roma ne chiede il riconoscimento costituzionale, in Lombardia la Lega Nord vuole cancellare l'attuale bandiera con la Rosa camuna (buon marchio anche per un ottimo formaggio) per proporne un'altra: quella di San Giorgio, croce rossa in campo bianco, come la maglia dell'Inter del centenario. A proporlo, con un progetto di legge regionale, erano già nel marzo del 2002 alcuni consiglieri leghisti (fra loro i bresciani Flocchini e Pezzoni) e l'istanza è stata reiterata nel settembre 2008 (questa volta i leghisti bresciani sono Moretti e Rizzi)e la richiesta è ferma in commissione. Ma la bandiera di San Giorgio è quella giusta per rappresentare la gente di Lombardia? Consultando il sito www.bandieredeipopoli.com/lombardia.htm c'è solo l'imbarazzo della scelta tra vessilli viscontei e stendardi dell'Insubria.
Per i Lombardi doc, dunque, meglio la croce di San Giorgio o il drappo del Lombardo veneto?
Un dilemma che toglie il sonno e sul quale mi viene in mente l'obiezione di un quotato cronista ad un collega alla domanda sull'abbigliamento al momento del rilascio fatta da questi ad una giovane rimasta oltre un mese in mano ai sequestratori: "ma stai a fa' 'n pezzo de moda?". Si, perchè la disquisizione sulle bandiere mi sembra molto del tipo: slip o boxer quest'estate sotto il pantaloni? Con buona pace della storia. Quella vera.


Intanto che i costituzionalisti discutono leggiamoci questa provocazione acuta di Claudio Magris sul Corriere della Sera.

giovedì 6 agosto 2009

Prezzi, Brescia quanto ci costi

Dicono che i prezzi non andavano così dal '59. Dicono che al Sud la vita è meno cara di oltre il 16 per cento. E a Brescia cosa succede?
Ecco le ultime rilevazioni dell'ufficio statistica del comune di Brescia sui prezzi e un altro utile documento per scrutare su internet l'andamento del carovita. Si imparano cose interessanti. Ad esempio come la frutta o la verdura cambiano il proprio costo risalendo la penisola, transitando da un mercato ortofrutticolo, finendo in un negozio o in un mercato. Dietro le statistiche si nascondono sorprese inaspettate. Se volete ne parleremo anche nei prossimi post...

Inflazione a Brescia Luglio 2007

Internet e Prezzi

mercoledì 5 agosto 2009

Stranieri, vi racconto una storia


Ecco una storia che mi è arrivata da Emergency e che racconta di come l'Italia ha due facce, una solidale, l'altra che potrebbe venire dai campi di cotone ai tempi di "Via col vento"...

D., 45 anni e' africana, ha un permesso di soggiorno per lavoro e vive con suo marito A. in Italia da quasi dieci anni.
Sono pazienti del Poliambulatorio di Emergency a Palermo, li vediamo quasi tutte le settimane perche' A. e' sottoposto dai nostri cardiologi a uno strettissimo follow-up per ipertensione arteriosa con insufficienza renale severa.
Poco prima di conoscerci, A. aveva perso il lavoro - e quindi il permesso di soggiorno - a causa dei suoi problemi di salute, e attualmente non e' neppure in grado di badare a se stesso.
D. si divide tra il lavoro e l'assistenza al marito, di se stessa non si e' mai preoccupata.
Tempo fa, i nostri ginecologi le hanno riscontrato un enorme fibroma uterino, da asportare con una certa urgenza, ma ogni volta che si è parlato di intervenire, D. si è rifiutata.
Quando all'inizio di quest'anno la sua situazione si e' aggravata, alla fine ci ha confidato che il datore di lavoro l'aveva informata che non l'avrebbe pagata se si fosse assentata per l'operazione. Se avesse perso il lavoro, anche il rinnovo del permesso di soggiorno sarebbe stato impossibile.
Inoltre A., senza il suo aiuto, non e' in grado di assumere la terapia complessa cui e' sottoposto, nè di provvedere ad alimentarsi considerato il regime dietetico speciale cui e' sottoposto.
Con un po' di fatica, l'abbiamo convinta ad accettare il nostro aiuto: S., una delle nostre infermiere volontarie, ha organizzato insieme al marito ginecologo l'intervento nell'ospedale dove lavorano, i volontari si sono organizzati in turni per andare da A. a somministragli la terapia, cucinare pasti speciali e accompagnarlo in ambulatorio per i controlli medici, altri hanno provveduto a pagare l'affitto di casa per quel mese.
Il fibroma di D. pesava 4,6 kg.

martedì 4 agosto 2009

Caro vita, il Sud è il 16 per cento meno caro del Nord


Leggo che la vita al Sud è meno cara del 16% rispetto al Nord. Ho ancora in tasca uno scontrino del luglio scorso: pizza Margherita in un ristorante in riva al mare di Marzamemi (Siracusa) in piena stagione turistica 3,50 euro, a Brescia si naviga sui cinque euro (se va bene) e non c'è nemmeno il mare. Secondo voi il problema è reintrodurre le gabbie salariali o rendere i prezzi più umani? E non ditemi che al Sud non pagano le tasse e quindi si possono permettere questi prezzi perchè vedo in giro alle nostre latitudini delle dichiarazioni dei redditi da esposto alle Fiamme gialle.

Scandalo: perchè non ci indignamo più?


Viviamo in un'epoca affollata di mercanti nel tempio, di etica smarrita, di questione morale che sembra un concetto vuoto, apparentemente senza senso. Perchè non ci scandalizziamo più? Perchè confondiamo un po' di sana indignazione per moralismo? Forse perchè siamo diventati cinici come questa vignetta di Altan?
Pensiamoci un po' su. Uno spunto interessante arriva da questo intervento di Valeria Boldini (teologa, ex direttrice del settimanale diocesano "La Voce del popolo") su "Bresciaoggi", che ospita un suo commento settimanale...

Il dizionario delle idee / Scandalo

Ormai niente suscita
vera indignazione

L'immagine di un Gesù mite e accondiscendente non tiene conto di alcune circostanze in cui egli si dimostra decisamente duro. È questo il caso della severa ingiunzione che, a una prima lettura, sembra riguardare i bambini: "Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina tirata da asino e fosse gettato negli abissi del mare".
Il riferimento non è tanto ai bambini quanto a coloro che sono come bambini di fronte a Dio e a lui si convertono. In sintesi questa è la descrizione del discepolo di Gesù. Lo scandalo a cui si allude è propriamente un sasso che fa inciampare e cadere, allontanando dalla fede. Lo scandalo è ciò che viola la semplicità, frantuma la tranquillità e toglie la pace. Lo scandalo destabilizza e confonde rendendo difficile capire la differenza tra il bene e il male.
Venendo ai giorni nostri, si parla di scandali politici o economici, ma con l'espressione si intende indicare le situazioni di grande violazione della legalità o di frode nei confronti della collettività. La notizia di questi scandali però, con un gioco di parola, non scandalizza nessuno in quanto nessuno si stupisce di quanto accade. È registrato nell'ordine delle possibilità della vita collettiva. Non ci si scandalizza neppure per i costumi morali dei singoli: ciascuno può fare quello che vuole e rendere pubblica con foto e dichiarazioni la propria scelta. Qualsiasi cosa si senta in merito alla condizione di questa o quello, si lascia correre.
È ampiamente tramontata l'idea che vi sia qualcuno o qualcosa che offenda (e scandalizzi) "il comune senso del pudore". Niente turba, niente destabilizza e niente suscita vera indignazione. È forse arrivato il tempo in cui si debba ammettere che tutto e comunque è sempre lecito se non intacca la convivenza?
Per certi aspetti è proprio così: ciascuno è totalmente libero di fare ciò che vuole. Anzi, se si obietta che qualcosa può scandalizzare alcuni, si tende a giudicare queste persone dichiarandole retrograde o moraliste, ipotizzando in loro un fondo di falsità e di mentalità da finti benpensanti. L'uomo e la donna al passo con i tempi non si scandalizzano di nulla quindi nessuno si vedrà legare al collo la macina tirata dall'asino per finire in fondo al mare. Meglio così, si potrebbe concludere: nulla più fa paura e nulla più disturba la quiete personale.
Eppure non è un guadagno avere perso la consapevolezza di quanto si sia responsabili gli uni degli altri e di quanto la propria scelta abbia sempre un'incidenza nel modo di pensare, di vivere e di giudicare di tutti. L'opinione pubblica infatti continua ad esistere ed è costruita sull'incapacità di esprimere giudizi di valore per il timore di essere indicati come puritani o peggio. La mancanza di scandalo alla fine segnala la mancanza di riferimenti morali condivisi.
E i bambini? Nessuno si cura di nascondere loro costumi sessuali, discorsi a doppio senso o battute volgari. Vi è solo un'area in cui gli adulti tacciono per il timore di creare scompiglio nella vita dei piccoli. Un tempo si abbassava la voce per parlare di sesso. Oggi lo si fa solo quando si parla della morte.
Valeria Boldini
(da Bresciaoggi, domenica 2 agosto 2009)

lunedì 3 agosto 2009

Addio a Tabladini, un leghista scomodo


L'ultima volta che ho sentito Francesco Tabladini mi aveva telefonato poco più di un mesetto fa da un letto d'ospedale: la sua lotta contro il male si era ulteriormente complicata per via di un'infezione rimediata con l'acqua inquinata di San Felice del Benaco, una storia che aveva costretto a letto duemila persone e che per lui, già provato e sottoposto a cure debilitanti, aveva significato un ricovero in ospedale. Aveva la voce stanca, ma l'animo lottatore di sempre, pronto a far rendere conto qualcuno di quell'incuria che aveva messo in ginocchio una comunità. Avremmo dovuto risentirci perchè lui non era intenzionato a mollare, ma il male, la prima domenica di agosto lo ha vinto definitivamente, portandosi via un leghista scomodo. Di quelli che erano stati a fianco del leader negli anni d'oro e nei momenti difficili, ma che avevano un'autonomia di pensiero che forse mal si conciliava con le scelte prese in quel di Gemonio. Era un leghista della prima ora (a Brescia la sua tessera era la numero 14) e come molti di quella generazione, ormai decimata dall'eccessiva autonomia manifestata negli anni, poco incline ai compromessi, agli scambi di favori, al teatrino della politica fatto di apparati e di giochi di potere. Tanto poco accondiscendente che finì per ritrovarsi fuori, spinto giù dal Carroccio con quella sua idea della "rifondazione leghista" che significò espulsione, proprio mentre la base, nel congresso di quell'anno a Brescia ingaggiò e vinse una battaglia che i titoli dei giornali di allora classificarono tra i parlamentari e i militanti, tra la la Lega di governo e quella di lotta.
Potevi non essere d'accordo con Francesco Tabladini, ma era una persona che sapeva ascoltare, con la quale il confronto sapeva essere schietto, aspro ma sincero. Era, sotto quella scorza da burbero, ciò che una volta si diceva "una persona seria". Merce rara di questi tempi e proprio per questo, ora che è smontato definitivamente da questo carro della vita, il "Tabla" merita un ricordo che non sia solo di circostanza.

Ecco cosa scrive Massimo Tedeschi su Bresciaoggi di Francesco Tabladini