«Torno a Polpenazze soddisfatto, mi piacerebbe invitare tutti i dipendenti della Innse per uno spiedo, dopo le tensioni di questi giorni c'è bisogno di stemperare per ripartire più forti»
(Attilio Camozzi, dopo la conclusione della trattativa Innse)
Sta tutto in questa frase (riportata da Giovanni Armanini su Bresciaoggi) la colonna sonora della vicenda Innse, la fabbrica milanese rilevata in extremis dal gruppo bresciano. Sta tutto in quel modello Lumezzane (vedi Massimo Tedeschi sempre su Bresciaoggi) che ha esportato cultura imprenditoriale in mezzo mondo, una cultura tutta casa-officina, tutta rapporti umani imprenditore-operaio. Se non fosse così, Attilio Camozzi non si sarebbe lasciato intenerire da quegli operai cinquantenni, da una vita in quella fabbrica cancellata da un destino fatto di speculazioni edilizie, saliti sulla gru nell'ennesimo tentativo di dare una prospettiva alla lotta che sembrava spegnersi definitivamente nell'afa di agosto. Se non fosse così, Attilio Camozzi non accarezzerebbe il sogno di portare tutti a mangiare lo spiedo nella sua Polpenazze (lì si è trasferito dopo essere migrato da Lumezzane), sicuro che il futuro di una fabbrica, passa sì dai sacri principi dell'innovazione e della competitività, ma nel motore ci deve essere la "primissima" fra le materie prime: una forza lavoro fatta di persone, esperienze, storie, non solo di numeri e mansioni. Un propulsore umano che è il primo patrimonio dell'imprenditore, con il quale il padrone accetta il confronto al tavolo sindacale, ma con il quale siede volentieri per gustarsi, appunto, uno spiedo.
Negli anni in cui si misurano i danni di un'imprenditoria tutta finanza, serviva proprio una storia come quella dell'Innse: è il riscatto della ragione sul calcolo meramente speculativo; dell'imprenditoria che ama aggirarsi fra le officine e le macchine su quella che preferisce i diagrammi e le curve degli analisti; dell'economia reale su quella tutta borsa e finanza.
Ieri ho visto Attilio Camozzi parlare con orgoglio e con passione di questa operazione sulla quale nessuno avrebbe scommesso fino a qualche settimana fa. L'ho sentito parlare di questa fabbrica, come di una creatura che sente già sua. Perchè i Camozzi ragionano così: "Per fare andar bene un'azienda - raccontò un giorno, in quel dialetto aspirato tipico di Lumezzane, parlando di una fabbrica da poco entrata nel gruppo e fino ad allora gestita da manager - ci vuole l'occhio del padrone". Una presenza costante, una passione palpabile che per l'Innse sarà una garanzia.
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