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giovedì 17 settembre 2009

Avvocatura, tra diritto, politica e normalità costituzionale


Continuo a ritenere che siamo un paese strano. Su un tema come il Lodo Alfano (la norma che sospende i processi a carico delle quattro più alte cariche dello Stato: presidente della Repubblica, premier, presidenti di Camera e Senato) possiamo pensarla come vogliamo (personalmente in politica sono fermo all'etica del buon esempio ed una norma come quella in questione sarebbe superflua, ma se poi arrivasse un siluro giudiziario in corso d'opera a ciascuno le proprie valutazioni in base alla fondatezza delle contestazioni, ma lasciano comunque perplessi le valutazioni espresse ieri dall'avvocatura dello Stato nella memoria alla Corte Costituzionale. Perchè? Perchè mischiano diritto e politica con frasi del tipo: "ci sarebbero danni a funzioni elettive, che non potrebbero essere esercitate con l’impegno dovuto, quando non si arrivi addirittura alle dimissioni. (...)Talvolta la sola minaccia di un procedimento penale può costringere alle dimissioni prima che intervenga una sentenza ed anche quando i sospetti diffusi presso la pubblica opinione si sono dimostrati infondati". Che valutazioni di questo tenore le facciano esponenti politici è corretto, che diventino l'ossatura di una memoria dell'Avvocatura dello Stato (dello Stato, non del Governo) davanti alla Consulta è una mutazione genetica di una questione che, in quella sede deve essere - come sostiene Giovanni Bianconi sul Corriere - solo giuridica.
"L'avvocatura si è forse espressa in modo, se si vuole, un po' troppo politico" finisce per ammettere l'avvocato - deputato Pdl Gaetano Pecorella, che assisterà Berlusconi davanti alla Consulta e che difende nel complesso le conclusioni della memoria. L'avvocatura, in realtà, avrebbe dovuto semplicemente argomentare attorno al nodo giuridico principe della questione che verrà discussa il 6 ottobe: il lodo Alfano viola il principio costituzionale secondo il quale "tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge"?.
Lì dovevano concentrarsi lo zelo e il valore professionale dell'avvocato dello Stato Glauco Nori; solo quei concetti dovevano essere sviluppati nelle 21 pagine della sua memoria. Un documento, peraltro, che, secondo gli esperti, non era nemmeno obbligatorio, così come non doveva essere scontata la difesa d'ufficio del Lodo. "Già Calamandrei osservava che i governi farebbero meglio a non costituirsi, rimettendosi al giudizio della Corte - scrive infatti il giurista Michele Ainis su La Stampa -. In secondo luogo, non è detto che l'esecutivo (e perciò l'Avvocatura) debba per forza sostenere la legittimità dell'atto normativo sindacato: di solito succede, ma in qualche caso (sentenze n. 63 del 1966, n. 305 del 1995, n. 233 del 1996 e via elencando) succede anche il contrario".
Insomma di questa ennesima deriva politica in atto giudiziario non se ne sentiva proprio la mancanza e, per dirla sempre con il professor Ainis, "sarebbe molto meglio moderare i toni, recuperare un clima di normalità costituzionale". Ci riuscirà questa strana Italia?

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