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venerdì 15 aprile 2011

Vik, Moreno e gli altri: onore ai martiri di un'utopia

Vittorio Arrigoni

"La pace è per il mondo quello che il lievito è per la pasta"
Talmud
Hanno ucciso Vik, Vittorio Arrigoni, 36 anni, il cooperatore della provincia di Lecco rapito ieri a Gaza City da un commando ultraestremista salafita. L'hanno ucciso come un agnello sacrificale in una guerra fratricida, hanno ucciso proprio lui che sognava una striscia di Gaza libera, lui che sulla sua pagina di Facebook esortava: "restiamo umani". Lui che, reporter e blogger  per dovere di testimonianza, scriveva: "E se ho ancora la forza di raccontare della loro fine è anche perchè voglio rendere giustizia a chi non ha più voce, forse, a chi non ha mai avuto orecchie per ascoltare".
Hanno ucciso Vittorio, che amava fregiarsi di un nome di battaglia speciale: "Utopia". Utopia come il sogno di una pace durevole e di una vita dignitosa in una terra martoriata come quel lembo di terra mediorientale scomodo al mondo intero.
Vittorio Arrigoni a Gaza
Utopia come il raggio di speranza che portò al martirio il 3 ottobre del 1993 il pacifista comasco-bresciano Gabriele Moreno Locatelli, 34 anni, ucciso dai cecchini durante una marcia senza armi sul ponte di Vrbanja, il ponte dei salici di una Sarajevo in piena guerra civile.
Utopia di un mondo migliore come quella che portarono i bresciani Sergio Lana, Guido Puletti e il cremonese Fabio Moreni,  trucidati il 29 maggio 1993 dal commando paramilitare del comandante Paraga, sulla strada dei diamanti nei pressi di Gornji Vakuf, mentre, da volontari pacifisti, erano diretti a Zavidovici in Bosnia per una missione umanitaria: un progetto salvare vedove e bambini dalle atrocità del conflitto, portare aiuto e speranza.
Avevano sfidato la guerra, come Moreno e Vik, e la loro sorte era stata accolta da qualcuno con il più sprezzante dei giudizi: "Beh, forse un po' se la sono cercata". Altrettanto fecero con Moreno e, c'è da giurarci, lo stesso destino toccherà a Vittorio Arrigoni. Come accade tutte le volte che, anche sfidando la logica, si mette in gioco la propria coscienza, mettendo a dura prova, di conseguenza, quella degli altri. Così la testimonianza pacifista diventa disturbo; il navigare contro corrente provocazione; la morte ineludibile effetto collaterale di un comportamento a rischio. Insomma: un "infortunio sul lavoro" da mandare in "prescrizione breve" per evitare turbamenti, per non farsi troppe domande. Così il ricordo di Vik, come è successo per Moreno, Sergio, Guido e Fabio verrà affidato agli amici, a pochi "costruttori di pace" di buona volontà.
Invece dovremmo essere in tanti a rendere onore a questi martiri della non violenza. A questi testimoni di un'utopia che ci aiuta a vivere.
Che ci aiuta, per dirla con le parole di Vittorio Arrigoni, a "restare umani".

1 commenti:

Anonimo ha detto...

profondità, consapevolezza, ma sopratutto il sentirsi uno tra tanti, essere parte di un insieme, riconoscendo ad ogni altro almeno quanto riconosciamo a noi stessi.
In ciò sta la loro accettazione di un cammino e dstino comune con i più deboli. Non sono loro a volare via, siamo tutti noi che sprofondiamo. ciao ragazzi