(foto di Alfredo Bini, da www.alfredobini.com) |
Corpi senza nome e corpi di cui nessuno saprà mai nulla, tragedie fatte di sacrificio, scommessa, speranza, miraggi, sguardi su una vita che si crede migliore, su un mondo che si pensa meno tiranno.Non fa nulla se il mondo fatica, se il mare in tempesta, in realtà, è più facile trovarlo sulla terra ferma, se le lapidi non sono tanto l'inventario dei lutti, ma l'amara constatazione che i sepolcri, spesso, son quelli che stanno oltre le onde, che predicavamo libertà, uguaglianza, fraternità, che ora diffondono solo, dice qualcuno, aggressivité, rapacité... "egoistité", e già pensano alle prossime elezioni, il segno inevitabile che la grandeur si è persa ad iniziare dalla statura del suo leader.
Corpi vivi e disperati che oggi sul Corriere Claudio Magris paragona bibblicamente agli operai della vigna. Gli ultimi chiamati al lavoro, ma che riceveranno il medesimo compenso di chi fatica dall'alba perchè sono solo quelli che per ultimi e non per colpa loro (anzi se si dovessero cercare le colpe qualche nostro esame di coscienza sarebbe inevitabile) hanno la possibilità di dimostrare quello che valgono. E la parabola della diseguaglianza, come se quel braccio di mare marcasse più che confini geografici, distanze etnografiche, disparità storiche che si stanno rapidamente assottigliando. La vigna è grande, la scommessa è riuscire a fare un raccolto che sia equo con tutti.
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