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martedì 29 giugno 2010

Mensa di Adro, paradigma della politica


Brevissimo aggiornamento sulla mensa di Adro. Alla fine il "golpe" sponsorizzato dal sindaco ai danni del direttivo per tentare di esautorare l'attuale presidente Giuseppina Paganotti non è andato in porto. Lo spiega Bresciaoggi nell'edizione odierna, dalla quale si evince che dalle urne, quelle convocate a norma di statuto, i genitori andati al voto hanno confermato a maggioranza la fiducia agli amministratori uscenti. I dissidenti, invece, hanno preferito l'elezione di un direttivo parallelo, piuttosto, come sarebbe stato normale in un confronto democratico, che scendere nell'arena dell'associazione esponendo le proprie ragioni e le proprie idee sul futuro della struttura. Al solito si è preferito giocare sugli equivoci, sulle forzature, sui colpi di mano e questo dà il segno di come la politica, anche quella che dovrebbe essere più vicina ai cittadini come la locale, stia degenerando verso una deriva che non promette nella di buono. 

lunedì 28 giugno 2010

Mensa di Adro: la guerra dei volantini e dei manifesti

Nel fine settimana i genitori soci dell'associazione che gestisce la mensa di Adro ha eletto il nuovo direttivo (mentre un direttivo parallelo è stato eletto alcuni giorni fa con il plauso del sindaco Oscar Lancini). Oggi pomeriggio si saprà dunque se la presidente uscente Giuseppina Paganotti continuerà a garantire la gestione della mensa o se i genitori, dopo le polemiche, hanno scelto il ricambio.
Intanto, fuori dal seggio, è guerra di volantini, manifesti accuse e qualche insulto. In una bufera che non fa certo sperare nulla di buono sul futuro di un servizio che nei mesi scorsi fu al centro di tante polemiche per il vitto negato ai bambini di famiglie morose. E il bene dei bambini?

Ecco i volantini

giovedì 24 giugno 2010

Se la giornata finisce con Ilaria Alpi

Ho iniziato il giorno del mio compleanno parlando di sogni. Chiudo guardando in tv le consegne dei premi dedicati a Ilaria Alpi. Da giornalista guardo il lavoro e i reportage di tanti colleghi talentuosi che raccontano storie difficili e spero. Guardo il premio alla carriera a Demetrio Volcic, corrispondente storico di una Rai che oggi fatichiamo a riconoscere, e sogno. Sogno che forse non tutto e' perduto: forse il giornalismo, quello di razza, sta solo riposando dalle troppe fatche. Buona notte...


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Mondiali: l'Italia è fuori. E noi di Orzinuovi gridiamo: "Forza Prandelli"

Se l'Italia lascia con vergogna i Mondiali sudafricani per noi che siamo nati 47 anni fa (proprio come oggi) a Orzinuovi possiamo iniziare da subito a cullare una speranza di rinascita. Una speranza che è anche un grido: "Forza Prandelli!"

24 giugno: il potere dei sogni quando l'età è matura....

“Credo che non ci sia un sogno più bello di un mondo dove il pilastro fondamentale dell’esistenza è la fratellanza, dove i rapporti umani sono basati sulla solidarietà, un mondo in cui siamo tutti d’accordo sulla necessità della giustizia sociale e ci comportiamo si conseguenza.
I miei sogni sono irrinunciabili, sono ostinati, testardi resistenti e si antepongono all’orrore dell’incubo dittatoriale. La difesa di questi sogni è legata alla vecchia querelle fra il bello e il sublime, fra il bene e il male nel senso più pieno e profondo”
Luis Sepulveda
Discorso tenuto il 16 aprile 2002 alla biblioteca nazionale di Santiago del Cile

Sarà un caso, ma all'alba dei miei 47 anni (sono nato il 24 giugno 1963) son tornato a spiluccare, come si fa con i semini sulla crosta del pane al sesamo, una raccolta di scritti e discorsi di Luis Sepulveda dal titolo "Il potere dei sogni" (Guanda edizioni), sono tornato a rinfrancarmi in quel manifesto di intenti che conclude dicendo "Sogniamo che un altro mondo e possibile e realizzeremo quest'altro mondo possibile".
Sarà un caso ma ieri, alla radio, ho sentito una canzone di Cesare Cremonini che faceva così:

"Ho visto un posto che mi piace si chiama Mondo
Ci cammino, lo respiro la mia vita è sempre intorno
Più la guardo, più la canto più la incontro
Più lei mi spinge a camminare come un gato vagabondo…
Ma questo è il posto che mi piace si chiama mondo….
Uomini persi per le strade, donne vendute a basso costo
Figli cresciuti in una notte come le fragole in un bosco
Più li guardo, più li canto più li ascolto
Più mi convincono che il tarlo della vita è il nostro orgoglio
Ma questo è il posto che mi piace si chiama mondo….
Si questo è il posto che mi piace…
Viviamo in piccole città (nascosti dalla nebbia)
prendiamo pillole per la felicità (misericordia)
Noi siamo piccoli (amiamo l’Inghilterra)
Viviamo dell’eternità…"


Me la sono gustata e ho pensato che poteva essere un bel regalo riascoltarmela oggi per il mio compleanno. Sì perchè in questa età di mezzo, in cui non è ancora tempo per pensare a programmi di breve periodo come fanno i vecchi quando aspettano alla posta la pensione, ma nemmeno più aria per scrutare orizzonti sconfinati come fanno i giovani di belle speranze (ma oggi ci sono ancora le "belle speranze" per i giovani?), saper coltivare i sogni con la consapevolezza del mondo in cui viviamo è una di quelle soddisfazioni che ti riempiono la vita e ti aiutano a battere la rassegnazione che è un po' come l'osteoporosi dopo la menopausa, ti sfianca le ossa lunghe, ti mette in ginocchio, ti riempie di paure, ti sottomette.
Insomma per dirla con Guccini, oggi che compio 47 anni (a proposito, grazie a tutti per la valaga di auguri che sto ricevendo), continuo ad essere " fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare". Nutrendo la mia coscienza con una convinzione: che  "un altro mondo è possibile". Pazzia? No, è il potere dei sogni e dell'età matura, bellezza.

mercoledì 23 giugno 2010

Consumi di droga: qual è la realtà? L'altra faccia della medaglia: più propaganda, meno Sert pubblici

Ieri il dipartimento delle Politiche antidroga ha presentato al Parlamento la relazione annuale (leggila qui nella versione integrale di 400 pagine). Il notizione - rilanciano i giornali dando voce al sottosegretario Carlo Giovanardi - è che i consumatori di droga sono in calo: "Quest’anno infatti - scrive GIovanardi nella relazione - è stato registrato un significativo calo dei consumi di sostanze stupefacenti, invertendo finalmente una tendenza che durava da anni e che ci preoccupava moltissimo. Da più fonti indipendenti ed utilizzando diversi
flussi dati, si è potuto osservare che il fenomeno finalmente sembra abbia invertito la tendenza e che le giovani generazioni in particolare, ma anche gli adulti, stiano sviluppando un maggior senso di responsabilità sia verso se stessi che verso le altre persone, riducendo il consumo di sostanze stupefacenti. I motivi di questa inversione di tendenza nei consumi di droga possono essere molteplici e probabilmente alcuni legati anche alla crisi economica globale in corso, che ha ridotto la disponibilità di denaro (e quindi gli acquisti di droga
soprattutto per quei consumatori occasionali dello “sballo del fine settimana”): ma certamente, tutte le azioni di prevenzione messe in atto sia a livello centrale che regionale, le nuove regole introdotte per il controllo mediante drug test dei lavoratori con mansioni a rischio, di chi richiede la patente o il patentino, l’aumento dei controlli su strada anche per le sostanze stupefacenti mediante il progetto Drugs on Street (ormai presente in oltre 30 dei maggiori comuni italiani), hanno fatto si che si creassero dei fattori deterrenti ed una cultura di prevenzione che, probabilmente (assieme a tanti altri fattori), hanno creato questo effetto di calo dei consumi".
Nel Governo c'è chi canta vittoria, ma in gioco non c'è la propaganda, ma l'attendibilità dei dati utilizzati: basta scorrere la relazione per capire che si tratta di stime, incrociando una serie di fonti informative non ultima quella legata a sondaggi all'interno delle scuole e fra i giovani. Una interessante base di lavoro, ma la sintesi non può essere va tutto bene e avanti con gli spot, con multe introdotte da alcuni comuni (Brescia compresa) a chi è sopreso ad acquistare droga e altre iniziative repressive. Lasciamo fuori la propaganda politica da un tema come quello della droga, perchè la realtà dice qualcosa di diverso: dice di servizi di assistenza pieni di richieste, spacciatori  per nulla in crisi (basti buttare un occhio ai sequestri di droga e per ogni sequestro, che il doppio dello stupefacente che circola liberamente), di nuove forme di dipendenza, dall'alcol alle droghe sintentiche che, per ora, sfuggono allo screening. Dunque, spiegano gli operatori, teniamo alta la guardia.
E giusto per mettere il dito nella piaga non si tiene alta la guardia facendo, come, ad esempio, sta facendo l'Asl di Brescia, opera di demolizione dei Sert pubblici a favore di strutture private, buttando all'aria anni di qualificata esperienza nel nome del risparmio e della sussidiarietà: perchè non diciamo che mantenere incisivo l'intervento sul fronte della droga è anche mantenere alta la qualità della prevenzione e della cura?
Dunque, non solo parole. Non guasterebbe anche qualche fatto concreto - giusto perchè, ci dice il dipartimento, la congiuntura è favorevole - con investimenti sugli uomini e sulle strutture.

Le tabelle della relazione 2010 del Dipartimento antidroga

martedì 22 giugno 2010

Maturità 2010: avremo mai una destra matura?

Leggo i temi della prima prova scritta, quella di italiano, all'esame di maturità 2010 e mi chiedo: ma in Italia avremo mai una destra matura? E' la prima riflessione che mi viene scorrendo le tracce della prova e vedendo che i maturandi avevano a disposizione, per il "saggio breve" e l' "articolo di giornale" nell'ambito storico politico dedicato a "Il ruolo dei giovani nella storia e nella politica. Parlano i leader" anche una frase di Benito Mussolini, affiancata a quelle di Aldo Moro, Palmiro Togliatti, Giovanni Paolo II. Un Duce che in Parlamento disse (gennaio 1925, la frase è tratta dagli atti parlamentari e gli estensori della traccia non hanno nemmeno tolto gli incisi degli stenografi che riportavano le frasi "fuori campo" di una claque che, mutatis mutandis, oggi assomiglierebbero molto alle immagini di repertorio diffuse spesso dai tg Rai e Mediaset di un Berlusconi che stringe mani e forma autografi): «Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. (Vivissimi e reiterati applausi — Molte voci: Tutti con voi! Tutti con voi!) Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda; se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! (Applausi). Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! (Vivissimi e prolungati applausi — Molte voci: Tutti con voi!)».
Immagino la necessità di rappresentare fra i leader (sulla parola leader, poi, potremmo aprire un'altra lunga discussione) l'intero arco costituzionale ma la destra non sapeva esprime in Italia altro pensiero che quello di un dittatore (lo dice la storia non io) che firmò leggi razziale, strinse alleanze con Hitler, trascinò l'Italia in una guerra devastante? La Destra in Italia è e sarà sempre solo l'ombra di Benito Mussolini?
Per ora direi di sì, e mi sembra che un futuro con una destra matura e affrancata dalle tentazioni totalitarie del fascismo non sia proprio dietro l'angolo.
Voi che ne dite?

Il destino della mensa di Adro: la lotta dei direttivi

In queste settimane sono un po' preso e non vi ho ancora aggiornato sul futuro della mensa di Adro. Do you remenber Adro? Quel paese dove il sindaco ha deciso che chi non pagava la mensa scolastica doveva essere messo a pane e acqua scatendando un putiferio e prendendo una bella lezione di altruismo da un imprenditore che si è offerto di pagare la mensa agli indigenti?
Bene, in questi giorni di giugno, è partito l'assalto all'associazione di genitori che si occupa della gestione della mensa, garantendo prezzi equi, cibo di qualità e dando pure lavoro ad alcuni dipendenti (il resto si basa sul volontariato) e, soprattutto, alla sua presidente Giuseppina Paganotti che aveva avuto l'ardire di definire "razziste" le prese di posizioni di quanti, genitori e amministratori, in quei giorni di lotte e contrasti volevano mettere a dieta i bambini delle famiglie morose, finendo persino per criticare l'imprenditore benefattore, arrivando a minacciare lo sciopero della retta perchè non era giusto che qualcuno pagasse per chi non aveva i soldi per farlo. Così, nei giorni scorsi, un gruppo di un centinaio di genitori (ne hanno riferito i giornali locali e pure qualche nazionale) si è riunito in aula consigliare (sembra concessa gratuitamente dall'amministrazione, quando normalmente il canone di locazione è di mille euro e le deroghe sono tutt'altro che frequenti) presente il sindaco e ha rinnovato il direttivo, con una procedura contestata dalla presidente uscente Giuseppina Paganotti. Lei qualche giorno dopo ha convocato l'assemblea per l'approvazione del bilancio (in cassa 80 mila euro frutto anche di una pioggia di donazioni arrivate dopo il clamore mosso dalla vicenda), contestando il nuovo direttivo e la nuova presidente (mamme che avevano animato la protesta sulla mensa e che non erano presenti all'approvazione del bilancio) con un ricorso alla magistratura amministrativa e indicendo per domani l'assemblea per il rinnovo cariche con le votazioni già fissate per il 26 e 27 giugno. Insomma, la signora Paganotti (e l'assemblea con lei) ha voluto fissare le tappe di un percorso trasparente nel quale se ribaltone sarà (c'è una petizione di 200 persone che hanno chiesto le sue dimissioni) ribaltone sia ma - ribadisce la presidente che dal '92 è anima e contabile volontaria dell'associazione - con un iter che non lasci spazi a giochi e giochetti dietro le quinte.
E il sindaco che dice? In una lettera che pubblichiamo qui sotto plaude al nuovo direttivo (di cui, a giudicare come si è mosso in queste settimane, è qualcosa di più di un mero simpatizzante), difende la scelta e la regolarità dell'assemblea "autoconvocata" e alla giornalista del Manifesto che gli chiede le ragioni di tanta partecipazione alla causa del rinnovo del direttivo spiega: «Solo perché voglio essere sicuro che a settembre, nella nuova scuola, il servizio funzioni correttamente».
Intanto il nuovo direttivo non ha perso tempo: si è presentato in banca e ha chiesto di poter gestire i conti, trovando lo stop di chi per quei conti ha la delega, Giuseppina Paganotti. Sinceramente mai vista tanta solerzia nel voler gestire un innegabile grattacapo come una mensa scolastica (croce e delizia di tante amministrazioni comunali e associazioni, scuole e aziende pubbliche che si fanno in quattro per garantire un vitto di qualità a prezzi decenti, binomio non sempre facile da far coincidere), ma mi pare che qui, più che le sorti dei commensali stiano a cuore le ragioni della politica e qualche voglia di rivalsa e vendetta per una vicenda che è scoppiata in mano ad alcuni suoi protagonisti.
Staremo a vedere come andrà a finire.

ECCO LA LETTERA DEL SINDACO DI ADRO

P6090005

giovedì 17 giugno 2010

Il vescovo Luciano, la vergogna e il riscatto

La notizia oggi è su tutti i giornali: don Marco Baresi, ex vice rettore del seminario di Brescia ha visto ieri confermata dalla corte d'appello di Brescia la condanna a 7 anni e sei mesi di carcere comminata il 20 maggio 2009 dal tribunale di primo grado per abusi sessuali, su un ragazzo ospite minorenne del seminario, e di detenzione di materiale pedo pornografico le cui tracce sono state trovate sul suo computer portatile. Don Marco Baresi, finito in cella il 26 novembre 2007 è tuttora agli arresti domiciliari e la vicenda ha aperto una profonda ferita nella chiesa bresciana. Un gruppo di amici che in questi anni si sono mobilitati certi che le accuse fossero tutte delle fandonie. "Chiediamo la sua attenzione - spiegano in una lettera aperta ai lettori che apre il sito http://donmarcobaresi.net/ - perché don Marco è una di quelle persone che non rimane confusa nella folla dei conoscenti. Don Marco Baresi è un uomo che, trovato al proprio fianco, lascia la traccia incancellabile della profondità, della trasparenza, della dolcezza, della saggezza, della bontà, della semplicità d'animo, dell'intelligenza e della modestia che non tutte le persone hanno il dono di possedere.

Non solo: assurdamente, anche i gesti e i modi che caratterizzano la personalità di don Marco sono letteralmente ad anni luce di distanza da qualunque tipo di sospetto o di semplice pensiero che abbiano qualcosa a che fare con le accuse mossegli contro". Ed ora che è arrivata la conferma della condanna gli "Amici di Free don" non arretrano di un passo: "Oggi  - scrivono - ci risulta impossibile offrire commenti diversi dalla profonda perplessità: per noi è stato condannato per la seconda volta un amico innocente.
La sentenza continua a risultarci incongruente con gli elementi in possesso del tribunale e, soprattutto, del tutto incompatibile con la persona di Don Marco Baresi; con le sue caratteristiche, umane e religiose, con tutta la sua storia, di uomo e di prete. Ciò che è accaduto dimostra ampiamente, purtroppo, quanto possa rendersi talvolta impossibile per un tribunale servire la verità oggettiva. La nostra non è un’accusa alla Giustizia. Pensiamo che si possa prendere serenamente atto dell’esistenza di ovvî limiti umani e strutturali; inevitabili nell’atto del giudicare. Tuttavia, mentre il processo di primo grado aveva incontrato comprensibili difficoltà nel fare luce su accuse e fatti così “stravaganti”, il processo d’appello godeva di ottimi elementi oggettivi per dimostrare, finalmente, l'innocenza di don Marco o, per lo meno, togliere la condanna ad un uomo vittima di prove opinabili". E mentre gli amici di don Marco (guarda qui il loro video di presentazione in una festa di San Zeno Naviglio) continuano la loro battaglia, il vescovo di Brescia, Luciano Monari (nella foto sopra con il Papa), ha indirizzato ai sacerdoti bresciani una lettera dura nei tratti, ma sincera nella convinzione che nella vergogna si può solo rinascere.
Il Giovedi santo il vescovo Luciano aveva invitato i sacerdoti nella sua omelia (leggila qui) ad un profondo esame di coscienza sulle ragioni delle loro scelte sacerdotali. Parole pesanti su una missione minata dagli scandali nei quali il comportamento deviato di pochi, rischia di travolgere tutti. E anche oggi il vescovo di Brescia, in una diocesi colpita al cuore da una sentenza che coinvolge un sacerdote la cui missione era quella di educatore e formatore del clero del futuro  non si risparmia: "Carissimi sacerdoti - scrive -, il reato per cui un tribunale in prima istanza e poi in appello ha condannato don Marco, un prete del nostro presbiterio, è tra i più odiosi. Anzitutto perché riguarda abusi su minori, e conosciamo bene quello che il vangelo dice su chi scandalizza i piccoli. In secondo luogo perché l’abuso sarebbe stato commesso da un educatore al quale il minore è affidato perché gli trasmetta il meglio del patrimonio che l’umanità ha saputo raccogliere attraverso i secoli; saremmo quindi di fronte a un tradimento grave della fiducia. Infine perché sarebbe stato commesso da un prete che, per missione, deve essere segno della presenza e strumento dell’azione del Signore Gesù che è passato facendo del bene, che non ha usato inganno e violenza con nessuno. Per tutti questi motivi è difficile pensare a qualcosa di più grave".
Continuando a sperare che don Marco sappia dimostrare finalmente l'innocenza che ha sempre proclamato, il vescovo non nasconde che: "ho a che fare con una precisa sentenza di condanna che inevitabilmente ricade su di me e su tutto il nostro presbiterio e ci chiede una risposta. Quale? Soffriamo inevitabilmente la vergogna per un fatto grave che ci viene imputato e la vergogna è uno dei sentimenti più difficili da sopportare. Abbiamo il timore che la gente possa farsi di tutti noi un’opinione negativa, che ci condanni impietosamente e questo ci brucia. Sento dolorosamente questa vergogna attaccata alla pelle. Ma, paradossalmente, sono convinto che mi possa fare bene; mi libera da qualche linea di vanità o di orgoglio; mi costringe a eliminare le mie illusioni, a confessare il mio niente e questo non mi fa solo male. Anzi può diventare un percorso prezioso di purificazione e di libertà. "Perdere la faccia" è una delle sofferenze più umilianti; ma, se lo accettiamo davvero (il che non è facile!), rende liberi. Non abbiamo nulla da perdere; possiamo essere poveri cristiani senza pretesa e quindi senza timore alcuno".
Preti come poveri cristiani, come poveri peccatori con il loro fardello di credibilità minata, di coerenza sempre più messa in dubbio. Preti feriti da una Chiesa travolta dagli scandali, da una casa che vacilla. Secondo Monari è dalla consapevolezza della vergogna, che rinasce un uomo nuovo, un prete nuovo una Chiesa più forte perchè la Chiesa è qualcosa che prescinde dalle colpe degli uomini.
"Debbo riconoscere - riflette il vescovo di Brescia - di non essere un buon cristiano; ma posso proclamare che l’appartenenza alla Chiesa non mi ha reso falso o ambiguo, ma mi ha sempre aiutato a diventare più sincero e più autentico. Posso attribuire a me dei peccati; ma debbo riconoscere alla Chiesa il dono santo di Cristo e del vangelo. Per questo continuerò a essere nella Chiesa e a servire la Chiesa con gioia. Questa Chiesa di Brescia, dove il vangelo ha prodotto nei secoli, anche attraverso il servizio di tanti suoi santi preti, autentici frutti di bene. Mi vergognerò di me e dei miei peccati; ma non avrò mai da vergognarmi del vangelo e del suo insegnamento. Mi vergognerò per le incoerenze delle nostre comunità cristiane; ma non dovrò mai vergognarmi per lo Spirito che ci è stato dato e che fa di noi dei figli veri di Dio".
Parole che meritano rispetto (come, del resto, una sentenza pronunciata nel nome del Popolo italiano), parole di speranza  di una comunità un tempo forte e potente che ora vacilla. Dal primo dei suoi presbiteri all'ultimo dei suoi fedeli.

mercoledì 16 giugno 2010

Tramonte e lo stato delle carceri bresciane. Pensava di stare al grand hotel?

Sapere che Maurizio Tramonte, in arte Fonte Tritone, testimone chiave del processo per la Strage di Brescia e imputato di concorso nell'attentato del maggio 1974, detenuto per storie di bancarotta si lamenta della situazione carceraria di Canton Mombello, dove è appoggiato in queste settimane nelle quali davanti ai giudici della Corte d'assise si sta cimentando nel tentativo di ritrattare tutto quando ha detto in questi anni sulla bomba bresciana e sulle trame nere, fa bene alla causa di chi da anni si batte per una detenzione più umana. Viene da sorridere, però, vedendo che forse Maurizio Tramonte pensava di essere in un grand hotel e non in una struttura che offre ai detenuti in trasferta giudiziaria formaggini e crackers per pranzo. Ben vengano comunque le sue lamentele se questo, attraverso un'inchiesta, contribuisce a risolvere un problema evidenziato dal garante dei detenuti Mario Fappani: cioè un evidente conflitto di interessi, trattandosi della stessa impresa, tra chi fornisce le materie prime per il pranzo fornito dall'amministrazione e chi vende ai detenuti i generi alimentari per il sopravvitto, cioè per tutto quanto serve ad integrare il cibo fornito dall'amministrazione. Più il vitto è scadente e scarso, maggiore sarà la richiesta di sopravvitto e il guadagno per l'azienda che lo fornisce: Peraltro, è storia vecchia, sul costo del sopravvitto a Brescia è spesso polemica: già nel 2003 (leggi qui) i detenuti lamentavano i costi alti di alcuni generi alimentari del sopravvitto ampiamente utilizzati (i pomodori, ad esempio) per far fronte alle carenze e alla qualità croniche del vitto dell'ammistrazione. La storia, dunque, si ripete. E ci tocca pure ringraziare Maurizio Tramonte se sul caso la magistratura ci metterà il naso, si spera con incisività.

martedì 15 giugno 2010

Brescia, la serie A e una città distratta

Il Brescia calcio torna in A ed è subito stadio pieno (per quanto conceda l'agibilità di una struttura che mostra tutti i suoi anni) e tripudio per le strade fino all'alba. Vi segnalo sul tema una riflessione di Massimo Mucchetti (nella foto sotto) nelle pagine lombarde del Corriere della Sera. Ex giornalista di Bresciaoggi, poi all'Espresso, oggi vicedirettore ad personam in via Solferino, Mucchetti che sa leggere i conti, fa i conti in tasca ad una città che con la sua squadra di calcio ha sempre avuto un rapporto tiepido (i numeri di Verona, anche con la squadra in Lega pro, o Bergamo, tanto per restare in tema, sono tutt'altra cosa)
"Sì i clacson - scrive - hanno rotto il silenzio che precede il lunedì... Ma la soddisfazione resta minoritaria. Le rondinelle non mobilitano più una terra che ha ormai troppi soldi per seguire la squadra di calcio..." Al vecchio Rigamonti si preferisce Ponte di Legno o Campiglio d'inverno e i laghi d'estate e Gino Corioni, a cui Mucchetti tributa il merito di una promozione che, come le altre, è quella di un uomo solo in panchina, è l'unica persona degna di gratitudine, perchè "se è pure un tifoso vero, il banchiere Giovanni Bazoli non traffica, come altri, con le squadre di calcio". Ma "il Gino non è un Moratti, un Agnelli o un Berlusconi per far identificare maglia e città...".

Una città che, finale del play-off a parte, segue la squadra del cuore con i soliti "otto gatti" perchè "Brescia è provincia di piccola e media impresa, zona di cavalieri soli, che non si sfidano e dunque si sfidano. Nemmeno quando aveva un establishment (oggi ha solo gruppi di potere), Brescia eleggeva il calcio a sacra reppresentazione della vocazione populista delle elite. Del resto, quando presidente era un Beretta, l'indimenticabile Carlino, la squadra remava senza rimedio in serie B".

Un'analisi che forse si può anche non condividere fino in fondo, ma che ha molti lampi di verità e un pregio: quello di ricordare un giornalista che non c'è più e che pur smoccolando, come fanno i burberi benefici, avrebbe gioito dal cuore per il suo Gino e il suo Brescia tornati tra i grandi, senza la retorica che, a cascate, si è vista in questi giorni.
Quel giornalista (nella foto a fianco) si chiamava Giorgio Sbaraini (noi lo salutammo così). Chissà se qualcuno ha portato una sciarpa bianco azzurra sulla sua tomba nel cimitero di Lograto?





LA CITTA' CHE FA FESTA

venerdì 11 giugno 2010

Intercettazioni: pagine bianche, nastri a lutto e un po' di orgoglio

Repubblica ha optato per una pagina bianca e un dossier carico di spunti interessanti. Il Corriere spara palle incatenate con due firme di punta, Luigi Ferrarella e il giurista Vittorio Grevi. Il primo fa le pulci anche alle "cazzate" scritte dal Foglio di Ferrara per tentare di giustificare il nuovo provvedimento, Grevi mette in fila una serie di incongruenze che fanno della nuova legge un provvedimento pasticciato e senza senso che non danneggia solo la libertà di informazione, ma, soprattutto, chi lotta contro la criminalità. La Stampa esce con gli spazi bianchi del Buongiorno di Massimo Gramellini e della rubrica di "Jena" sempre caustica pur nella sua brevità. "Dobbiamo abituarci alla nuova legge", dicono provocatoriamente.
Nel complesso mi sembra che la stampa italiana, giornalisti ed editori abbiano ritrovato in queste settimane quella punta di orgoglio che sembrava persa per sempre. Basterà? Non so, molto dipende da quanto noi giornalisti saremo in grado di far capire alla gente i danni del nuovo provvedimento... E non mi sembra impresa facile.

giovedì 10 giugno 2010

Intercettazioni: resistere, resistere, resistere

Avremo tante colpe noi giornalisti, sempre più impiegati e sempre meno battitori di strade, più o meno impervie, ma quello che si sta consumando stamane in Parlamento è l'ultimo colpo di vanga di una fossa nella quale cadremo dentro noi, la giustizia e, in fondo in fondo, un'Italia distratta nell'anno dei mondiali.
Mi sono riletto il testo sulle intercettazioni che, a colpi di fiducia, oggi potrebbe rompere gli ormeggi e navigare verso il mare legislativo. Nonostante le presunte mitigazioni resta un testo destinato a segnare la fine, o quasi, delle indagini contro la criminalità organizzata (resteranno i poveri pusher presi con la droga nelle mutante a pagare per tutti), contro il malaffare (addio cricche, rimarranno i mariuoli alla Mario Chiesa pizziacati con le banconote segnate nascoste nel cesso dell'ufficio). Resterà un'etica ferita dal silenzio: orecchio non sente, cuore non duole e l'Italia tornerà ad essere sfavillante come una vetrina di via Montenapoleone, con i conti in rosso ma con le gnocche che fanno dimenticare anche di essere dei brutti ciospi.
Resterà un giornalismo bolso, senza gli strumenti per far veramente capire cosa succede in Italia. Resterà un giornalismo povero (sfogliate la Repubblica che segna con un post it gli articoli destinati a sparire con la nuova legge e vedrete di quante notizie saremo privati), un giornalismo velinaro senza gli strumenti per costruirsi un futuro (e non ditemi che tanto la rete salverà il mondo con i suoi reporter diffusi perchè il buon giornalismo di inchiesta non si improvvisa, è una professione e non un hobby). Un giornalismo destinato a perdere smalto e lettori, perchè un giornalismo con il bavaglio non è giornalismo.
Che fare? Resistere, resistere, resistere, disse una volta il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli. Al limite dell'obiezione di coscienza e della disobbedienza civile, perchè il tema è etico prima che professionale, perchè la libertà di informare è un diritto per i cittadini e un dovere per chi la pratica. Magari togliendosi pure qualche sfizio, come buttare nel cestino la selva di comunicati stampa dei politici che affollano le redazioni di dichiarazioni ovvie e di analisi senza cervello: quelle si sono spesso macellerie, non mediatiche, ma della grammatica e della sintassi. Buttare, buttare, buttare... non perderemmo nulla (anzi i lettori avrebbero più notizia, vere, da leggere) e ne guadagneremmo tutti in autonomia.

martedì 8 giugno 2010

Ritrovarsi a Villachiara e la storia dei mondi che si specchiano

La storia che sto per raccontare è una di quelle che piacerebbero a Gianantonio Stella (giornalista del Corriere della Sera) , parla di immigrazione, emigrazione e di quanto la storia, in fondo, è destinata a ripetersi.
E' la prima domenica di giugno, un caldo dì di inizio estate, è il giorno in cui Villachiara, paese della Bassa bresciana di mille abitanti e poco più, chiama a raccolta quanti, negli anni, hanno lasciato questo comune in riva all'Oglio per disperdersi nelle fabbriche e nelle cascine di mezzo nord Italia, a caccia di un lavoro che desse un futuro migliore alle famiglia. Erano gli anni '50 e '60, gli anni del miracolo economico e non c'erano solo le braccia di gente arrivata dal sud nei capannoni della Pirelli, dell'Alfa, dell'Innocenti e delle piccole grandi fabbriche di Milano e dell'hinterland, che conoscevano in quegli anni un'espansione mai più tornata. C'erano anche braccia bresciane, di gente che arrivava da paesi come Villachiara, fuggendo salari agricoli sempre troppo bassi e da una campagna da "Albero degli zoccoli", fatta di sudore, povertà e un futuro che arrivava spesso solo fino a San Martino.
La prima domenica di giugno a Villachiara si sono ritrovati in tanti, molti avevano lasciato quel paese, che ricordano solo per averlo letto sulla propria carta di identità, con il "mocio" al naso e i pantaloni corti, la loro vita è altrove, ma i ricordi affiorano non appena si varca il portone che negli anni è diventato l'orgoglio del borgo che vuole "ritrovarsi" con i nuovi arrivati (cerimonia in municipio per i neo residenti) e quanti se se sono andati (cerimonia in piazza e maxi foto di gruppo all'ombra del castello). Villachiara è il paese di mio padre, migrante per lavoro ad una manciata di chilometri di distanza dopo essere stato tentato dalle lusinghe della metropoli, come tre dei quattro fratelli, che tra gli anni '50 e '60, hanno salutato il borgo che li aveva visti braccianti, soldati e prigionieri di guerra, e trasferito le famiglie nell'hinterland milanese. Gli avi se ne sono andati tutti da qualche anno, ma i figli domenica hanno voluto ritrovarsi a Villachiara. Tutti insieme non era mai accaduto (se non per qualche ricorrenza comandata e non sempre felice) ed è stata l'occasione per ricordare; per ricordare gli anni difficili dell'integrazione, loro, bambini di pochi anni, catapultati nella quasi città (la scuola iniziata a metà anno scolastico senza libri e con un po' di magone); per ricordare quegli scorci del borgo che avevano caratterizzato un'infanzia povera ma, tutto sommato, felice. Come la casa del guardiacaccia, spersa nella campagna di Villagana in quella che ancora oggi si chiama l'Isola ed è riserva naturale. Allora era riserva di caccia  per conti e signori di città che avevano affidato ad un padre di famiglia con tre figli la sorveglianza di quel bosco popolato di selvaggina. Allora era proprio un'isola, nel senso che l'Oglio, che allora non aveva piene controllare come oggi, spesso la isolava dal resto del mondo e per arrivare in paese ci voleva la barca. "Papà - racconta quello che cinquant'anni fa era un ometto - la legava vicino a casa e noi in barca andavamo scuola, a prendere il pane, a coltivare il pezzo di orto che i conti, i nostri padroni, ci avevano dato vicino al loro palazzo". Ora quel palazzo è un ristorante (nella foto), il borgo è semi disabitato, ma in fondo ad una discesa si scorge ancora il bosco e, al centro, la casetta del guardiacaccia. Scendiamo rapidi per quella strada, costeggiamo i campi che un tempo erano marcite e mezze paludi ed ecco l'Isola. Oggi è una tenuta, ci allevano i cavalli, nei campi attorno alla casa pascolano puledri e fattrici, il paesaggio è molto inglese. "Della casa sono rimasti i due gradini dell'ingresso - ricorda, l'ex ragazzo, che avendo esperienza da vendere come muratore specializzato ha l'occhio clinico per certe cose - ma hanno reso abitabile anche il piano superiore". Gli infissi laccati di bianco, le verande e le porte finestre fanno molto dimora di campagna. "Anche il fienile è cambiato - aggiunge - sopra è stato chiuso. Io la ci tenevo i picconi". Piccola economia di sussistenza insieme agli animali di bassa corte, da sempre integrazione di reddito per chi abitava in campagna. Ora il fienile è una scuderia, i cavalli scalpitano, è l'ora di una sgambata nel recinto ben curato. Ma chi pensa ai cavalli?
"Salve". Ad accoglierci è un ampio sorriso dai tratti indopachistani, mentre poco distante una donna in saree saluta abbassando gli occhi e due bambine se la godono giocando a palla nel campo. La dove quasi sessant'anni fa c'era un guardiacaccia bresciano con la sua famiglia, oggi c'è un immigrato che sussurra ai cavalli. I nuovi e i vecchi inquilini si stringono la mano e parlano fitti attorno alla fontana che è rimasta la stessa: dal gusto ferrugginoso e dalla pompa a manovella. I ricordi si intrecciano, i vecchi inquilini raccontano del padre guardicaccia, dei cani e delle corse in bici per quelle strade sterrate, i nuovi parlano dei cavalli e di come scorre lenta la vita da quelle parti che sembra quasi di stare in paradiso. I volti, anche se così diversi, paiono specchiarsi nello stesso destino. Se un tempo all'Isola si parlava dialetto, oggi in questo piccolo paradiso si parlano le lingue del mondo. Perchè "ritrovarsi a Villachiara" tra i boschi dell'Isola è un poco come ritrovarsi con il mondo, che intreccia qui le proprie storie. E le storie spesso si ripetono nei corsi e ricorsi di un'umanità in cammino.

lunedì 7 giugno 2010

Prove tecniche di trasmissione

Ragazzi, posso dire di essere tecnologicamente avanzato. Perche'? Perche' questo e' il primo post scritto con un iPhone. Per uno come me cresciuto a castagne ed erba spagna e' una conquista non da poco. Se vado avanti così, fra qualche giorno potrei andare al lavoro con lo Shuttle.....


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venerdì 4 giugno 2010

Prandelli e l'eleganza di un addio

Che non fosse facile per Cesare Prandelli lasciare la Fiorentina lo si capiva, che non fosse semplice dire addio ad una città come Firenze senza essere guardati come traditori era nell'aria, Ma l'allenatore di Orzinuovi, che lunedì è tornato a sorseggiare un caffè con gli amici nel bar della piazza con la semplicità di sempre, ha mostrato ancora una volta un'eleganza e una umanità non facili da trovare. Lo ha fatto con una lettera che punta dritto al cuore viola. Eccola
"A chi mi incontra per strada e mi chiama “Cesare”; a chi ha preso la pioggia, il sole, il vento al Franchi; a chi ha fatto le vacanze a Folgaria, a Castelrotto e a Cortina;
a chi ha pianto per un rigore sbagliato o per la gioia di Anfield; a chi ci ha creduto come me e si è emozionato per una solitaria bandiera viola ad una finestra;
a chi ha pensato che, nonostante sbagliassi qualche cambio, ero comunque una persona per bene; a chi ha saputo capire ed apprezzare il significato del silenzio;
a chi ha fatto centinaia di chilometri per dire “io c’ero”, quelli di Verona, di Torino e che hanno pianto di gioia con noi; a quelli che ci aspettavano all’aeroporto la notte per cantare “forza viola”;
a chi urlava “falli correre” e a chi ha corso; a chi mi diceva, toccandomi ogni volta l’anima, “Grande Mister, uno di noi” oppure “parlare con te è come se parlassi con un parente”, fratello, zio cugino, padre non fa differenza.
A tutti, a Firenze con la sua eleganza un po’ malinconica, la sua diffidenza e la sua generosità, devo dire solo due cose: grazie e vi porterò sempre nel mio cuore".
Cesare Prandelli

Dalle mie parti, le stesse del nuovo ct della Nazionale, si direbbe un incondizionato "Brao, Cesare!". A Firenze hanno reagito in questo modo, commuovendosi con la consapevolezza di aver perso un grande amico, un grande maestro, prima che un allenatore di vaglia.

Laura Antonelli e la precarietà della vita


Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera
Salvatore Quasimodo


Leggere storie come quelle di Laura Antonelli, alla quale sta per essere assegnato un vitalizio in virtù della legge Bacchelli, mi lascia sempre un po' di inquietudine, perchè testimoniano come, anche in una vita di successi e notorietà, la parabola può diventare all'improvviso discendente, la vita può trasformarsi in matrigna con la rapidità di un fulmine. Certo, c'è chi dalla vita ha sempre avuto poco e continua ad avere un'esistenza agra e di lui non se ne cura nessuno, ma forse storie come quelle di una Laura Antonelli, bellezza decaduta, volto sfatto di una carriera che sembra lontana anni luce, aiutano a ricordare che, per dirla con il poeta, "è subito sera" e, forse, sopratutto quando il sole è effimero e fugace, bisogna prepararsi per tempo al crepuscolo.



giovedì 3 giugno 2010

La festa della Repubblica e la repubblica delle banane (purchè non si consumino ai giardini)

Ieri, festa della Repubblica, pedalando per il paese, ho assistito ad un assembramento che altrove sarebbe costato caro: un folto gruppo di ragazzi intenti ad una partita di cricket. Luogo prescelto un campo di calcio di periferia con annesso rettangolo per il basket. Sorridevo con i miei figli pensando che prima o poi dovrò imparare le regole di questo gioco molto british, che solo noi italiani vediamo come principio di trasgressione e pensando alla civilissima Brescia che ha già elargito qualche multa salata ai giocatori "on the road" incappando anche in qualche giovane e promettente nazionale che, semplicemente, non aveva altro luogo per allenarsi.
Appartenendo ad una generazione che qualche partita a "ciancol" per strada è riuscita ancora a farla, senza menarsela tanto con la riscoperta delle radici, sorrido davanti alla pioggia di divieti che costellano le nostre città, a partire da Brescia che nel nome della "sicurezza e del decoro" ha snocciolato una serie di divieti che in  alcuni casi sono comici (leggi qui l'articolo 7 del regolamento) .
E proprio stamane, sfogliando i giornali trovo che a Brescia si protesta contro le regole antilibertà diventate persino fonte di ironie sui social network dove prolifera un gruppo contro le Regole assurde a Brescia. Giocare nei parchi? Vietato. Lavarsi ad una fontana? Vietato. Sedersi per strada? Vietato. Tutta colpa dell'amministrazione Pdl-Lega? Non proprio, visto che la prima virata repressiva ad un regolamento del 2002 venne data nel 2005 dall'allora amministrazione Corsini. Ricordo, in proposito, un botta e risposta ospitato su Bresciaoggi tra il sottoscritto ("perchè no") e il collega Massimo Tedeschi ("perchè sì") sulla necessità o meno di questo giro di vite.
Personalmente resto dell'idea di allora: introdurre regole che vadano oltre il buon senso e la necessità di costruire una pacifica convivenza civile in cui tutti ci dobbiamo sentire responsabili della cosa pubblica (se vedo dei ragazzi danneggiare dei giochi al parco non mi servono nè vigili urbani, nè regolamenti: da cittadino ho l'obbligo morale di intervenire a tutela di un bene che è anche mio), crea norme inefficaci (che nessuno alla fine rispetterà)  e finisce per diventare un ostacolo alla coesione sociale. Se poi ci mettamo alcuni atteggiamenti non scritti, ma che puzzano di discriminazione lontano un miglio, o alcune norme che sono concettualmente zoppe (che senso ha vietare di giocare al parco se non si creano spazi attrezzati in numero sufficiente?) capiamo che un regolamento di questo genere è destinato presto ad essere una sommatoria di belle parole a fini propagandistici. Un esempio? Vietato indicare parcheggi liberi e chiedere soldi per questo, ma basta arrivare nel piazzale antistante l'obitorio dell'ospedale civile a Brescia per capire che la norma è di fatto inefficace. Vietato comprare droga sulla pubblica via (non era sufficiente la segnalazione alla Prefettura?), ma basta andare in alcuni punti caldi della città per capire quanto il regolamento non sia un deterrente. Vietato contrattare prestazioni sessuali in auto, ma basta passare in alcune strade a luci rosse per comprendere che il fenomeno è sì un po' rallentato, ma tutt'altro che debellato, visto che è soltano migrato un po' più in là. Comunque la sicurezza è salva? Non direi, visto che è di queste ore un accoltellamento in una delle zone della movida bresciana.
Insomma certe regole sembrano un po' da "repubblica delle banane". Purchè le banane non si consumino in luogo pubblico. Ovviamente.

Leggi qui l'intero regolamento di Brescia

REGPOLIZIAURBANA

mercoledì 2 giugno 2010

Festa della Repubblica e cacciabombardieri

Oggi, festa della Repubblica, voglio ricordare questa Italia sempre troppo distratta e sempre troppo succube di scelte altrui con il Buongiorno che Massimo Gramellini ha scritto stamane su "La Stampa". Si intitola "Aerei blu" ed è da leggere. Come al solito sorridendo per non piangere.
Buona festa della Repubblica.


Aerei blu
di Massimo Gramellini

Nel giorno della parata militare lungo i Fori, oso sperare che nessuno sottovaluterà l’importanza dell’acquisto di centotrentuno cacciabombardieri F-35, centoventuno caccia Eurofighter e cento elicotteri NH90 da parte delle nostre Forze Armate. Con una certa malizia i Verdi fanno notare che lo scontrino complessivo di una spesa degna del set di «Apocalypse now» ammonta a 29 miliardi di euro, 5 in più della manovra (a proposito di apocalissi).

Ma tutti sappiamo che, oggi come oggi, senza un cacciabombardiere non si va da nessuna parte. Quindi lungi da noi l’idea populista di rinunciare al rombo dei motori guerrieri per tutelare lo stipendio di un impiegato pubblico o la sopravvivenza di un ente culturale. Però, forse, almeno un accenno a questa eventualità poteva essere fatto da chi ci governa. Anche solo come gesto di trasparenza e di cortesia: cari italiani, vi chiediamo di stringere la cinghia, però sappiate che i vostri sacrifici non saranno vani, perché dei cacciabombardieri così belli non li ha nessuno. Per non parlare degli elicotteri.
L’emozione sarebbe stata talmente forte che i dipendenti dello Stato avrebbero donato, se non l’oro (di cui al momento sono sprovvisti), i loro straordinari alla Patria, pur di consentirle di sfrecciare invitta e gloriosa nei cieli. E i poliziotti avrebbero sbandierato con orgoglio la mancanza di soldi per il carburante delle auto di servizio, con la tranquilla consapevolezza di chi sa che per combattere la mafia, stroncare la corruzione e proteggere i cittadini, nulla è più efficace di uno stormo di cacciabombardieri.

da La Stampa del 2 giugno 2010

martedì 1 giugno 2010

Evasione fiscale, due domande a Mario Draghi

Il Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nella sua relazione (clicca qui per leggere le considerazioni finali) ci spiega che gli evasori fiscali sono i veri "macellai sociali" di questo Paese. "Se L'Iva - spiega in sintesi- fosse pagata, il debito sarebbe sotto controllo". "L’evasione fiscale - argomenta in relazione - è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga; riduce le risorse per le politiche sociali, ostacola gli interventi a favore dei cittadini con redditi modesti. Il cuneo fiscale sul lavoro è di circa 5 punti superiore alla media degli altri paesi dell’area dell’euro, il prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, includendo l’Irap, sono più elevati di 6 punti. Secondo stime dell’Istat, il valore aggiunto sommerso ammonta al 16 per cento del PIL. Confrontando i dati della contabilità nazionale con le dichiarazioni dei contribuenti, si può valutare che tra il 2005 e il 2008 il 30 per cento della base imponibile dell’IVA sia stato evaso: in termini di gettito, sono oltre 30 miliardi l’anno, 2 punti di PIL".


Ma come la mettiamo, signor Governatore, con chi ha sempre detto che evadere le tasse è giustificabile, ha dipinto Vincenzo Visco come un vampiro solo perchè cercava di mettere i bastoni tra le ruote ai furbetti, e alla fine anche al più discolo dà una pacca sulla spalla e un buffetto di rimprovero chiamandolo condono?

Pensa, signor Governatore che nella sua relazione (parole di Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera) ha fatto il ritratto sincero di un Paese, che qualcosa possa cambiare? O qualcosa cambia solo perchè la sostanza rimanga uguale?
Domande forse retoriche signor Governatore, ma il ritratto sincero di un Paese non può prescindere da queste risposte. Altrimenti, signor Governatore, la sua voce è solo quella di un grillo parlante che, prima o poi, rischia una martellata dal pinocchio di turno...
Buon lavoro



L'assemblea



Berlusconi sulle tasse



Berlusconi rettifica