Subscribe Twitter FaceBook

lunedì 10 maggio 2010

Cultura, veline e analfabeti di ritorno

Quanto investiamo realmente in cultura, non dico in grandi eventi, ma in scuole, docenti, progetti? In Italia, lo dice Eurostat (dati 2006) veniamo dopo Lettonia e Lituania per percentuale sul Pil destinato alla spesa pubblica per la formazione. E non è solo una questione dello Stato, visto che le famiglie spendono per ricreazione e cultura percentuali sotto il 6 percento del loro bilancio famigliare (assai meno di Estonia e Slovacchia). Insomma, per gli esperti (c'è una bella analisi in proposito sull'ultimo numero dell'Espresso) stiamo costruendo come cittadini e come classe dirigente un futuro sempre più ai margini della stanza dei bottoni perchè senza cultura, senza investimenti in formazione e istruzione si perde la sfida nella modernità e nell'innovazione.
Siamo analfabeti di ritorno: conosco laureati che bisticciano con i congiuntivi e faticano a capire quando usare la "ha" con l'acca. Capisco quando la professoressa di mio figlio insiste a valutare l'ortografia anche nelle verifiche di storia e geografia, sfidando i mugugni generali. Troppo abituati ai dibattiti di "Uomini e donne" siamo spesso incapaci a mettere insieme mezza cartella di idee senza ingaggiare un match con la correttezza lessicale. La qualità è un optional, la cultura e l'istruzione sono un orpello  che non paga e che quindi è inutile: meglio analfabeti con i soldi (magari in nero) che laureati che faticano ad arrivare alla fine del mese. Così diventiamo sempre più ignoranti e anche chi ci governa ha da tempo abbassato l'asticella della qualità professionale e culturale e spesso la laurea non è più sinonimo di buona preparazione (mi capita di leggere lettere di giovani procuratori legali che sono un insulto ai fondamentali del diritto appresi non dico all'università, ma al quarto anno di un istituto tecnico).
Insomma, anche culturalmente stiamo andando alla deriva e i nostri politici continuano a spendere parole senza senso invece di spendere risorse, idee, impegno. Tempo fa ho sentito un professore di lungo corso pedere le staffe davanti ad una intervista nella quale il ministro Gelmini spiegava di aver tagliato gli insegnanti per poter pagare meglio i docenti più bravi. Fino ad ora - osservava - l'insegnante "la mia busta paga è rimasta quella di sempre, quella donna mi sta tirando in giro". Non così il mondo della scuola che non ha più  - letteralmente - "gli occhi per piangere", soldi in cassa e docenti per fare uno straccio di progetto. Ma nel mondo delle veline e degli analfabeti di ritorno forse a qualcuno va bene così. Va bene un'Italia ignorante che frana verso quello che una volta chiamavano con un pizzico di superiorità: terzo mondo.

2 commenti:

il grigio ha detto...

Sono un insegnante in pensione da un anno. Sì, la scuola è cambiata, cambiata molto, cambiata in peggio. Quello che mi ha convinto a lasciare la scuola non è stato solo il peggioramento del livello culturale (conservo i piani di lavoro da trent'anni e di anno in anno mi vedevo costretto a ridimensionare gli argomenti delle lezioni), ma il deteriorarsi dei rapporti personali con i discenti, sempre meno capaci di entrare in relazione positiva con compagni e docenti. Frutto forse dei modelli sociali dettati dall'individualismo, dall'arrivismo, dall'egoismo oggi imperante?

Marco Toresini ha detto...

Caro "grigio", ho due figli in età scolare e mi sono spesso chiesto quali modelli offrire loro. Non è facile in un mondo, come osservi giustamente tu, dove sono individualismo e arrivismo (spesso non supportati da un bagaglio culturale adeguato, quindi la "scalata" è fatta non per merito ma per prevaricazione)a farla da padroni. L'articolo dell'ultimo numero dell'Espresso che citavo iniziava con l'aneddoto raccontato da un economista che, parlando con il suo falegname di fiducia, mentre gli faceva alcuni lavoretti per casa, ne aveva raccolto le preoccupazioni per il futuro del figlio. Un figlio scavezzacollo senza arte ne parte? No, al contrario, un figlio che voleva fare il medico e che agli occhi del padre avrebbe avuto un futuro da disoccupato o sottopagato, invece di ereditare il negozio di famiglia con il quale fare tremila euro al mese anche se da ignorante. "Dotto' mi aiuti lei!" Finiva l'appello del falegname all'economista. Queste sono le linee di condotta: soldi e successo anche se costruiti sul vuoto delle coscienze e delle conoscienze. Tutto il resto... è noia.