mercoledì 26 maggio 2010
Intercettazioni e memoria corta: la storia di una telefonata del 2005
La notizia è di ieri: un uomo, Fabrizio Favata, è finito i carcere con l'accusa di estorsioni ai danni di un manager di una società (Roberto Raffaelli, pure indagato) che si occupa di curare le intercettazioni telefoniche per alcune Procure italiane, per averlo minacciato di rivelare la storia vera di una telefonata intercettatta nel 2005 tra Giovanni Consorte, ex numero uno di Unipol, e Piero Fassino, allora segretario dei Ds, e finita sulle colonne del Giornale della famiglia Berlusconi. In quella telefonata Fassino fu messo al corrente da Consorte dell'iniziativa di Unipol di lanciare un'Opa su Bnl e il segretario Ds se ne uscì con la famosa frase: "Allora, abbiamo una banca?".
Nulla di penalmente rilevante in quella conversazione, che al momento in cui venne diffusa non solo non era stata depositata negli atti del procedimento contro Consorte, ma non era ancora nemmeno stata trascritta per essere utilizzata dai magistrati. Era però, secondo le accuse, già finita su una pen-drive in un file audio fatto ascoltare dal manager ora ricattato alla famiglia Berlusconi (ecco la ricostruzione che ne fa Repubblica) per ottenere favori per un affare in Romania (allora governo amico di Berlusconi).
La magistratura ci dirà come siano andate le cose, certo è che quella telefonata dagli effetti politici di un certo peso, è finita, usata come una clava sulle colonne del quotidiano della famiglia Berlusconi, che l'ha ricevuta in forma anonima.
Insomma, coloro che oggi sono tra i più accesi sostenitori di una legge che chiude i rubinetti sullo strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche e imbavaglia la stampa, decretando la fine della cronaca giudiziaria, non hanno esitato ad utilizzare una intercettazione, peraltro in quel momento non contenuta in alcun atto processuale (come invece le intercettazioni della cricca di Anemone), per semplice strumentalizzazione politica. Ciò che si vuole bloccare ora, insomma, era pienamente lecito e disinvoltamente utilizzabile meno di cinque anni fa. Se questa è la politica in Italia e il rispetto che si ha per gli italiani, forse ha ragione Elio Germano.
Nulla di penalmente rilevante in quella conversazione, che al momento in cui venne diffusa non solo non era stata depositata negli atti del procedimento contro Consorte, ma non era ancora nemmeno stata trascritta per essere utilizzata dai magistrati. Era però, secondo le accuse, già finita su una pen-drive in un file audio fatto ascoltare dal manager ora ricattato alla famiglia Berlusconi (ecco la ricostruzione che ne fa Repubblica) per ottenere favori per un affare in Romania (allora governo amico di Berlusconi).
La magistratura ci dirà come siano andate le cose, certo è che quella telefonata dagli effetti politici di un certo peso, è finita, usata come una clava sulle colonne del quotidiano della famiglia Berlusconi, che l'ha ricevuta in forma anonima.
Insomma, coloro che oggi sono tra i più accesi sostenitori di una legge che chiude i rubinetti sullo strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche e imbavaglia la stampa, decretando la fine della cronaca giudiziaria, non hanno esitato ad utilizzare una intercettazione, peraltro in quel momento non contenuta in alcun atto processuale (come invece le intercettazioni della cricca di Anemone), per semplice strumentalizzazione politica. Ciò che si vuole bloccare ora, insomma, era pienamente lecito e disinvoltamente utilizzabile meno di cinque anni fa. Se questa è la politica in Italia e il rispetto che si ha per gli italiani, forse ha ragione Elio Germano.
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