venerdì 7 maggio 2010
Pedofilia a Brescia: la parola fine che lascia tutti sconfitti e gli errori da non ripetere
La notizia è uscita nel cuore della notte: la Cassazione ha confermato l'assoluzione nei confronti di otto imputati (un sacerdote, sei maestre e un bidello) accusati di abusi sessuali su alcuni bambini di una scuola materna del quartiere Carmine di Brescia. I giudici della Suprema Corte hanno chiuso definitivamente un fasciolo aperto da sette anni, con tre processi, innumerevoli ricorsi e un anno di carcerazione preventiva per due maestre. Una vicenda che aveva diviso la città tra strumentalizzazioni politiche, mobilitazioni su entrambi i fronti e tanta, tanta confusione, spesso alimentata ad arte sulla pelle di presunte vittime e dei presunti carnefici.
Ho avuto modo di conoscere sufficientemente a fondo questa storia, gli atti processuali e i suoi protagonisti per dire che la parola fine sancita dalla Cassazione ha lasciato dietro di sè solo macerie. Le macerie di famiglie finite (non ho elementi per dubitare della loro buona fede) in un vortice che i giudici non hanno trovato altro modo che definire di psicosi collettiva. Le macerie di una vita distrutta e di sette anni di inferno di chi è finito da imputato nel tritacarne di questo processo, è stato incarcerato o aggredito per strada semplicemente perchè la tensione era talmente alta che in tanti su questa storia hanno mandato al macero la propria coscienza e il proprio autocontrollo.
A nessuno di loro potrà essere restituita la tranquillità rubata in questi sette anni, rapiti da una storia da paese degli orchi che con qualche apriorismo di meno e spirito critico in più avrebbe forse potuto essere disinnescata molto prima. Penso alle maestre finite in una cella del carcere di Verziano per un reato (l'abuso su minori) dove da quelle parti non fanno sconti. Penso a loro e alle parole di una ormai ex detenuta che un giorno mi disse: "All'inizio eravamo diffidenti nei loro confronti, poi quando le abbiamo conosciute meglio abbiamo scoperto delle persone fantastiche, che hanno saputo aiutarci anche nella loro difficoltà. Qui dentro non si mette la mano sul fuoco per l'innocenza di nessuno, ma, conoscendole, sono pronta a scommettere che loro con la pedofilia non c'entrano".
Sì, perchè, scorrendo gli atti di questa storia (in pratica si è ipotizzato l'esistenza di una sorta di organizzazione grazie alla quale i bambini venivano portati fuori dall'asilo per diventare protagonisti di feste a sfondo pedopornografico) si arriva ad una conclusione che non lascia spazio a sfumature: o è una di quelle vicende di depravazione collettiva da chiudere tutti in carcere e buttar via la chiave o è una ricostruzione dei fatti talmente suggestiva da non essere credibile. Una vicenda simile, dunque, avrebbe dovuto presentarsi davanti ad un tribunale (per rigore professionale nei confronti di tutti) talmente blindata e completa da non lasciare spazio ad interpretazioni alternative. Invece gli atti dicono il contrario, parlano di zone d'ombra non secondarie che non sono state colmate, come se al puzzle dell'orrore mancassero i pezzi principali, come il movente per un comportamento tanto depravato o i riscontri oggettivi fatti di luoghi, mandanti, fruitori finali di questo mercato pedopornografico (appurato che gli indagati avrebbero, secondo l'accusa, rappresentato il mezzo di promozione di questi abusi, chi erano gli autori e gli spettatori delle violenze?)
Lacune non secondarie sulle quali qualcuno dovrebbe fare qualche esame di coscienza. "Si sono sentire cose fuori controllo sopratutto da parte dei professionisti dell'anti pedofilia - lamentano gli avvocati degli imputati che ieri hanno rotto la consegna del silenzio -. C'è stato poca attenzione per gli imputati-vittime e poi poca professionalità dei pm che hanno insistito a dispetto dei fatti provocando un danno irreparabile di professionalità e levando sette anni di vita a persone innocenti. Se come primo filtro non c'è la professionalità dei pm che rinunciano all'approccio critico che sarebbero chiamati ad avere tutti i processi posssono durare tanto a lungo". La critica si fa ancora più circonstanziata: "i pm non si sono preoccupati di evitare di portare avanti accuse infondate cercando nella fase preliminare prove a contrario". Contestazioni pesanti che, sette anni dopo, restituiscono tutto il clima respirato a Brescia ai tempi dell'inchiesta, un clima che ha creato solo macerie, lacerazioni, psicosi al limite del ridicolo (negli asili si arrivò a vietare le uscite e le foto alle feste di fine anno). Contestazioni che invitano un po' tutti (anche noi giornalisti, che su storie come queste dobbiamo usare un rigore doppio) ad una riflessione pesante perche certi errori non si ripetano. Sul fatto che qualcuno faccia autocritica, che qualcuno, quanto meno, corregga l'approccio al problema non ci conterei molto (ad iniziare, ripeto, dalla mia categoria). Una prova: i silenzi dei politici che allora chiedevano la testa di mezza giunta cavalcando il disagio e la tiepida presa d'atto di chi in quei giorni era a fianco, da esperto, alle famiglie dei bambini.
Ho avuto modo di conoscere sufficientemente a fondo questa storia, gli atti processuali e i suoi protagonisti per dire che la parola fine sancita dalla Cassazione ha lasciato dietro di sè solo macerie. Le macerie di famiglie finite (non ho elementi per dubitare della loro buona fede) in un vortice che i giudici non hanno trovato altro modo che definire di psicosi collettiva. Le macerie di una vita distrutta e di sette anni di inferno di chi è finito da imputato nel tritacarne di questo processo, è stato incarcerato o aggredito per strada semplicemente perchè la tensione era talmente alta che in tanti su questa storia hanno mandato al macero la propria coscienza e il proprio autocontrollo.
A nessuno di loro potrà essere restituita la tranquillità rubata in questi sette anni, rapiti da una storia da paese degli orchi che con qualche apriorismo di meno e spirito critico in più avrebbe forse potuto essere disinnescata molto prima. Penso alle maestre finite in una cella del carcere di Verziano per un reato (l'abuso su minori) dove da quelle parti non fanno sconti. Penso a loro e alle parole di una ormai ex detenuta che un giorno mi disse: "All'inizio eravamo diffidenti nei loro confronti, poi quando le abbiamo conosciute meglio abbiamo scoperto delle persone fantastiche, che hanno saputo aiutarci anche nella loro difficoltà. Qui dentro non si mette la mano sul fuoco per l'innocenza di nessuno, ma, conoscendole, sono pronta a scommettere che loro con la pedofilia non c'entrano".
Sì, perchè, scorrendo gli atti di questa storia (in pratica si è ipotizzato l'esistenza di una sorta di organizzazione grazie alla quale i bambini venivano portati fuori dall'asilo per diventare protagonisti di feste a sfondo pedopornografico) si arriva ad una conclusione che non lascia spazio a sfumature: o è una di quelle vicende di depravazione collettiva da chiudere tutti in carcere e buttar via la chiave o è una ricostruzione dei fatti talmente suggestiva da non essere credibile. Una vicenda simile, dunque, avrebbe dovuto presentarsi davanti ad un tribunale (per rigore professionale nei confronti di tutti) talmente blindata e completa da non lasciare spazio ad interpretazioni alternative. Invece gli atti dicono il contrario, parlano di zone d'ombra non secondarie che non sono state colmate, come se al puzzle dell'orrore mancassero i pezzi principali, come il movente per un comportamento tanto depravato o i riscontri oggettivi fatti di luoghi, mandanti, fruitori finali di questo mercato pedopornografico (appurato che gli indagati avrebbero, secondo l'accusa, rappresentato il mezzo di promozione di questi abusi, chi erano gli autori e gli spettatori delle violenze?)
Lacune non secondarie sulle quali qualcuno dovrebbe fare qualche esame di coscienza. "Si sono sentire cose fuori controllo sopratutto da parte dei professionisti dell'anti pedofilia - lamentano gli avvocati degli imputati che ieri hanno rotto la consegna del silenzio -. C'è stato poca attenzione per gli imputati-vittime e poi poca professionalità dei pm che hanno insistito a dispetto dei fatti provocando un danno irreparabile di professionalità e levando sette anni di vita a persone innocenti. Se come primo filtro non c'è la professionalità dei pm che rinunciano all'approccio critico che sarebbero chiamati ad avere tutti i processi posssono durare tanto a lungo". La critica si fa ancora più circonstanziata: "i pm non si sono preoccupati di evitare di portare avanti accuse infondate cercando nella fase preliminare prove a contrario". Contestazioni pesanti che, sette anni dopo, restituiscono tutto il clima respirato a Brescia ai tempi dell'inchiesta, un clima che ha creato solo macerie, lacerazioni, psicosi al limite del ridicolo (negli asili si arrivò a vietare le uscite e le foto alle feste di fine anno). Contestazioni che invitano un po' tutti (anche noi giornalisti, che su storie come queste dobbiamo usare un rigore doppio) ad una riflessione pesante perche certi errori non si ripetano. Sul fatto che qualcuno faccia autocritica, che qualcuno, quanto meno, corregga l'approccio al problema non ci conterei molto (ad iniziare, ripeto, dalla mia categoria). Una prova: i silenzi dei politici che allora chiedevano la testa di mezza giunta cavalcando il disagio e la tiepida presa d'atto di chi in quei giorni era a fianco, da esperto, alle famiglie dei bambini.
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