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mercoledì 5 maggio 2010

Quando ci vogliono giornalisti impiegati... il caso Scajola

Ieri discutevamo di giornalisti-giornalisti e di giornalisti-impiegati, oggi sul Corriere della sera mi ha colpito una foto a scavalco tra pagina due e pagina tre. E' la foto di una sedia vuota e di un grappolo di microfoni orfani dell'interlocutore: il ministro Scajola che dopo aver annunciato le sue dimissioni non ha voluto rispondere alle domande dei cronisti.
Insomma: ci vogliono giornalisti - impiegati, magari di quelli che hanno anche un filo di compassione per quel ministro che, a suo dire, è finito vittima di una macchinazione. Insomma ci vogliono giornalisti flautati come Bruno Vespa al quale l'ormai ex ministro ha affidato le sue considerazioni senza riuscire a convincerci fino in fondo della sua buona fede, tenendo conto che un politico del suo calibro dovrebbe attivare una serie di "procedure di sicurezza" per non prestare il fianco a comportamenti che un domani potrebbero rivelarsi fonte di potenziali ricatti, o, quanto meno, di attacchi politico-giudiziari.
I giornalisti-giornalisti, invece, ci hanno raccontato di un gruppo d'affaristi senza scrupoli che tra massaggi, regali e altro ancora cercavano di tenere in scacco una classe politica con l'asticella dell'etica un po' troppo bassa per una paese come l'Italia dove il senso della correttezza è come l'aria condizionata sulle auto di un tempo: un optional.
E i giornalisti-giornalisti come Luigi Ferrarella sul Corriere suonano già un campanello d'allarme su come vogliono impiegatizzare (scusate il neologismo) la stampa italiana. "Con la nuova legge neppure una riga sul caso Scajola" avverte Ferrarella nel suo commento che mette in luce come sarebbe stata vietata ogni indiscrezione sul caso anche se gli atti, depositati per un'udienza davanti al tribunale del riesame e quindi noti alle parti, sono coperti da un segreto quasi unanimamente ritenuto più blando.
"Eppure - scrive Ferrarella -, se fosse già in vigore la legge proposta dal ministro Alfano sulle intercettazioni, gli italiani nulla saprebbero ancora della casa di Scajola. E nulla gli italiani ancora saprebbero perché nulla i giornali avrebbero potuto scriverne in questi 12 giorni, e ancora fino a chissà quanti altri mesi. Al contrario di quello che i promotori della legge raccontano, e cioè che con essa intendono impedire la pubblicazione selvaggia di intercettazioni segrete, l’attuale testo in discussione alla Commissione Giustizia del Senato vieta, con la scusa delle intercettazioni, la pubblicazione — non solo integrale ma neanche parziale, neanche soltanto nel contenuto, neanche soltanto per riassunto — degli atti d’indagine anche se non più coperti dal segreto, e questo fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza. In più, aggancia la violazione di questo divieto a un’altra legge già esistente (la 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese per reati commessi dai dipendenti nell’interesse aziendale), e per ogni pubblicazione arbitraria fa così scattare non solo ammende maggiorate per i cronisti (da 2 a 10 mila euro, dunque con oblazione a 5 mila euro), ma soprattutto maxi-sanzioni a carico delle aziende editoriali fino a 465 mila euro a notizia".
Mettere le mezze maniche da impiegati ai giornalisti, con questa legge, è un gioco da ragazzi. Ma del resto, lo dice lo stesso Premier Silvio Berlusconi, "in Italia abbiamo sin troppa libertà di stampa". Anche se un recente studio dell'osservatorio "Freedom House" colloca l'Italia fra i "Partly Free", i paesi parzialmenti liberi unico stato in zona euro in queste condizioni.
E' la destra che ci vuole giornalisti-impiegati? Non direi che sia una sua esclusiva, piuttosto di una politica bipartisan che, come gli allenatori delle squadre di calcio, ha sempre avuto rapporti difficili con i giornalisti che non siano giornalisti impiegati. Il "vada a farsi fottere" pronunciato ieri da Massimo D'Alema nei confronti di Alessandro Sallusti del Giornale è li a dimostrarlo: se ci riempiamo la bocca per difendere i giornalisti- giornalisti dovremmo anche avere il coraggio di ribattere, senza insultare, a chi ricorda (magari provocando ad arte, ma pur sempre facendo il suo mestiere) al politico di turno un suo comportamento (come quello uscito da affittopoli) certo non lo aveva fatto brillare per rigore etico e coerenza. Già, la coerenza. Un modus vivendi in via di estinzione. Enzo Biagi - lo ha ricordato la figlia Bice ieri presentando il libro "In viaggio con mio padre" (Bompiani) - chiamava la coerenza "un atto di coraggio". Ma Enzo Biagi non c'è più e noi giornalisti in cerca di un futuro - lo dicevamo ieri - piangiamo la mancanza di nuovi maestri. Di nuovi giornalisti-giornalisti.



E' LA STAMPA BELLEZZA...



LA MAPPA DELLE LIBERTA' DI STAMPA

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