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giovedì 3 dicembre 2009

La paura dell'altro e i barbari della porta accanto


«Al centro del mondo», dicono certi vecchi di Rialto, «ghe semo noialtri: i venessiani de Venessia. Al de là del ponte de la Libertà, che porta in terraferma, ghe xè i campagnoli, che i dise de esser venessiani e de parlar venessian, ma no i xè venessiani: i xè campagnoli».
«Al de là dei campagnoli ghe xè i foresti: coma­schi, bergamaschi, canadesi, parigini, polacchi, in­glesi, valdostani... Tuti foresti. Al de là dell’Adriati­co, sotto Trieste, ghe xè i sciavi: gli slavi. E i xinga­ni: gli zingari. Sotto el Po ghe xè i napo’etani. Più sotto ancora dei napo’etani ghe xè i mori: neri, arabi, meticci... Tutti mori»
(Gian Antonio Stella, giornalista, autore di "Negri froci giudei & Co. L’eterna guerra contro l’altro" - Rizzoli editore)


Gian Antonio Stella è un veneto di quelli tosti, di quelli che tradiscono le radici dall'accento, portato con orgoglio e con la consapevolezza che capire la propria storia aiuta a navigare nel futuro senza drammi, perchè in fondo le storie si ripetono. Col suo nuovo libro - "Negri froci giudei & Co." - Stella fa il punto sulle nostre paure andando indietro con il ricordo. Perchè, osserva: "È tutto, la memoria: tutto. È impossibile parlare del razzismo di oggi se non si ricorda il razzi­smo di ieri. Sull’uno e sull’altro fronte. Non puoi raccontare gli assalti ai campi rom se non ricordi secoli di po­grom, massacri ed editti da Genova allo Jutland, dove l’11 novembre 1835 organizzarono addirittu­ra, come si trattasse di fagiani, una grande caccia al gitano. Caccia che, come scrivono Donald Kenri­ck e Grattan Puxon ne Il destino degli zingari, «fruttò complessivamente un 'carniere' di oltre duecentosessanta uomini, donne e bambini». Non puoi raccontare della ripresa di un crescente odio antiebraico, spesso mascherato da critica al governo israeliano (critica, questa sì, legittima) senza ricordare quanto disse Primo Levi in una lontana intervista al «Manifesto»: «L’antisemiti­smo è un Proteo». Può assumere come Proteo una forma o un’altra, ma alla fine si ripresenta. E va riconosciuto sotto le sue nuove spoglie. Così co­m’è impossibile capire il razzismo se non si ricor­da che ci sono tanti razzismi. Anche tra bianchi e bianchi, tra neri e neri, tra gialli e gialli...".
Già il razzismo, come vincerlo, come combatterlo? Nei giorni scorsi ho letto un bel intervento di Claudio Magris sul libro di Stella dal titolo "I barbari della porta accanto". Riflessioni e provocazioni salutari per chi - come tutti noi - talvolta è disorientato, basito, davanti ai diversi, agli altri. "Persecutori e perseguitati sono talora le stesse persone, in momenti diversi e in rapporto a persone diverse" racconta Magris che prosegue: "I razzisti dicono che i neri puzzano e i liberali sanno che anche i bianchi, per i neri, puzzano. È già qualcosa, ma non basta. Ognuno di noi ha dentro di sé, anche inconsapevolmente, il suo diverso da rifiutare o il momento in cui, magari per un attimo, rifiuta qualche diverso; occorre sapere che, almeno in qualche momento di caduta spirituale e intellettuale, anche noi riteniamo a priori qualcuno più puzzolente degli altri. È questo il peccato mortale che ci insidia e tranne qualche rarissimo santo - ma forse anche lui - ognuno è un peccatore".
Che fare? Ce lo chiediamo da uomini di questo secolo e da genitori che faticano nell'educazione quotidiana. Anche su questo punto il suggerimento di Magris è acuto: "Credo che i miei genitori mi abbiano dato un formidabile vaccino contro ogni razzismo, proprio perché non mi hanno mai detto che non bisogna essere razzisti, così come non mi hanno mai detto che non si pranza in gabinetto, ma semplicemente col loro modo di essere - di lavorare, divertirsi, volersi bene, litigare, parlare - creavano un mondo in cui era impensabile essere razzisti o portarsi gli spaghetti al cesso. Tutto ciò vale più di ogni predica. Ma non sono sicuro che, se fossi ripetutamente derubato da qualcuno appartenente a un determinato gruppo, non mi lascerei andare stupidamente a un'indistinta ira verso tutto il suo gruppo. Solo se mi rendo conto di correre anch'io il rischio di rientrare nello stupidario dei fanatici posso combatterlo realmente; altrimenti cadrei anch'io nella loro presunzione di incarnare la civiltà contro i barbari e ciò vale ovviamente per tutti. Ogni convivenza, inoltre, è difficile; non a caso tanti matrimoni naufragano e non solo quelli fra bianchi e neri. Essa esige non solo il nostro rispetto dell' altro, del diverso arrivato fra noi (chi sono poi questi noi?), ma anche il suo rispetto nei nostri confronti".
Nei giorni scorsi, dopo che il comune di Coccaglio aveva apostrofato come "White Christmas" (Bianco Natale) un'operazione di verifica dei permessi di soggiorno dei residenti stranieri che dovrebbe scadere proprio il 25 dicembre e dopo che a Rovato un cittadino marocchino ha accoltellato un ragazzo e brutalmente violentato e sequestrato la fidanzata dopo averla investita con l'auto, i sacerdoti della Franciacorta si sono detti smarriti e disorientati davanti agli eventi, davanti al razzismo sottile da un lato e all'indignazione per quella violenza che rischia di riaprire, con qualche umana ragione, il baratro dell'intolleranza. Claudio Magris, umilmente, cerca di battere una via sul punto: "Domani, ad esempio, il numero di immigrati - ossia di nostri concittadini del mondo giustamente desiderosi di sfuggire a un destino orribile - potrebbe divenire così grande da rendere materialmente impossibile l' accoglienza, al di là di ogni stolido e crudele pregiudizio; se tutti i dannati della terra arrivassero in Italia, non sarebbe fisicamente possibile accoglierli tutti e sarebbe una tragedia. Sul nostro futuro - sul futuro dell' umanità - incombe la minaccia di questa tragedia. Nessuno, credo, è così geniale da sapere come stornarla. Nel frattempo, un modo di arginare l' eterna guerra contro l' altro sarebbe quella di considerare come «altri» tutti, compresi noi stessi. Potremmo prendere esempio da un' anziana donna del Banato di cui ho parlato in un mio libro, nonna Anka. Questa donna, figlia di quella terra multiculturale straziata dall' odio di tutti contro tutti, parlava male di tutte le nazionalità della sua terra, compresa quella che considerava più sua, la serba. Diceva peste e corna di tutti i diversi e di tutti gli altri, ma sapendo di essere anche lei una diversa, un' altra e di meritare alcune di quelle strapazzate. Aveva ragione, perché siamo tutti dei lazzaroni e in questo riconoscimento della comune miseria ci può essere più concreta fraternità che nei bei discorsi politicamente corretti in cui tutti, i diversi e i non diversi, vengono elogiati come brave persone".
Non sarà forse la strada maestra della convivenza, ma credo sia una traccia che merita di essere percorsa.


Gian Antonio Stella | Negri, froci, giudei & Co. - Home

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