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sabato 26 dicembre 2009

Pensierini e riflessioni natalizie

Pensierini di Natale. In questi giorni di festa ci sono alcune riflessioni che ho colto qua e là eccole:

Editoriali
24/12/2009 -
Il futuro colorato di speranza
di ENZO BIANCHI
Priore della Comunità di Bose

Il bilancio che ciascuno di noi fa sui dodici mesi trascorsi è sempre condizionato dalle aspettative che aveva nutrito nell'anno precedente e, specularmente, orienta le speranze per l'anno a venire, soprattutto quando ci veniamo a trovare alla fine di un decennio: allora attese e disillusioni si fanno più forti, quasi che il misurare il tempo in cifre tonde e simboliche - gli anni «zero» del terzo millennio - sia percepito con maggiore intensità e che le svolte impresse al corso della storia debbano assumere un carattere più marcato. Così, il dover constatare anche alla chiusura di quest'anno che ben poco è stato fatto per sanare situazioni negative nella convivenza umana, in ambito nazionale come a livello planetario, risulta fonte di particolare amarezza.

Non solo, sembra quasi che il protrarsi indefinito di profonde ferite inferte all'umanità e al creato finiscano per trasformarsi in ineluttabili calamità, cui si è fatta l'abitudine e che si derubricano a problemi cronici, non più degni di attenzione e di impegno. È il caso delle guerre e delle patenti violazioni dei diritti umani in certe aree del globo: i conflitti vengono dimenticati, le vittime ignorate, le sofferenze banalizzate, come se si trattasse di ciclici eventi naturali, analoghi all'alternarsi delle stagioni.

La crisi economica, per esempio, ha solo superficialmente scalfito la fiducia nell'autoregolamentazione del mercato globale, suggerendo al massimo alcuni accorgimenti per una maggiore vigilanza, mentre le ingiustizie di fondo che pervadono i rapporti produttivi e commerciali non sono state considerate degne di seria attenzione. Anche la mancanza di legalità o l'irrisione dello stato di diritto, il non rispetto delle minoranze e dei più deboli e indifesi, il diradarsi delle strutture di solidarietà e di integrazione sociale paiono ormai atteggiamenti passivamente acquisiti, la cui disumanità non interpella più le coscienze. A poco a poco ci si assuefa alla barbarie quotidiana, si rinuncia alla sana indignazione contro gli attentati portati alla dignità di ogni essere umano, si considera scontata l'impossibilità del dialogo civile, ci si rassegna a una sorda lotta di tutti contro tutti.

Eppure l'animo umano fatica a rinunciare alle aspettative di miglioramento, è portato a «sperare contro ogni speranza», soprattutto là dove percepisce che non è in gioco solo il mero interesse personale, ma il futuro delle generazioni che si affacciano oggi all'esistenza e di fronte alle quali saremo considerati responsabili: il desiderio di riconsegnare la società civile in condizioni migliori di quelle nelle quali ci è stata affidata da quanti ci hanno preceduto anima il cuore e l'intelligenza di ogni essere umano degno di tal nome. Per i cristiani, in particolare, cittadini come gli altri e solidali con loro nelle vicende quotidiane, questo desiderio assume anche i tratti dell'annuncio di verità in cui si crede: non dogmi astratti, ma convinzioni che muovono il pensare e l'operare. Allora non è utopia sperare che l'annuncio evangelico delle beatitudini, il disarmo di ogni inimicizia, il prendersi cura di chi è nel bisogno, il perdono per le offese ricevute possano trovare fecondo terreno di crescita non solo nei cuori dei singoli, ma nel tessuto stesso dalla convivenza civile: queste speranze non sono il non-luogo dei nostri sogni, ma l'anelito insopprimibile che rende sopportabile anche un presente intristito nel suo ripiegarsi su se stesso.

Cesserà l'imbarbarimento dei rapporti quotidiani? Rinascerà la solidarietà tra le generazioni e le popolazioni della terra? Si concretizzerà la cura e la custodia per un creato affidato alla mano sapiente dell'uomo? I più deboli troveranno nei più forti sostegno e non oppressione? Le carestie, le guerre e le pandemie finiranno di essere considerate ineluttabili e verranno contrastate nelle loro cause e nei loro effetti? La pace ritroverà nel concreto della storia il suo significato di vita piena e ricca di senso? E ancora, crescerà il dialogo franco e autentico all'interno della chiesa e tra le chiese? Ci si aprirà all'ascolto dell'altro, al rispetto delle sue convinzioni, al discernimento delle sue attese, indipendentemente dal suo credere o meno? A questo dovremmo pensare quando ci scambiamo gli auguri: non a un gesto formale e scaramantico, ma a una promessa di impegno e a un'assunzione di responsabilità. Perché lo sguardo critico e sereno sul grigiore del passato è già apertura a un futuro colorato di speranza.
da La Stampa




Buongiorno
24/12/2009 -
Vite spostate
di Massimo Gramellini
Ma perché non restano a casa loro? Penserà qualcuno, osservando la foto delle moltitudini che danno l'assalto ai treni ghiacciati delle Feste: migliaia di persone disposte, pur di mettersi in viaggio, a sopportare o a compiere qualsiasi sopruso. La risposta è abbastanza spiazzante: perché casa loro non è il luogo da cui partono, ma quello in cui cercano di arrivare. Distratti dall'epica moderna delle metropoli e dei social forum, ci eravamo dimenticati che l'Italia rimane un Paese di emigranti che per sopravvivere hanno dovuto crescere lontano dalle radici, di mammoni che sentono la mamma dieci volte al giorno ma la vedono una volta l'anno: a Natale.

Il ritorno a casa dell'eroe, coacervo di sensazioni malinconiche che oscillano fra il ricordo dell'antica appartenenza e il sospetto di una sopraggiunta estraneità, è un meccanismo della natura. E come tale, anche quando sembra illogico, si perpetua inesorabile. Non esiste animale capace di sottrarsi al richiamo della tana. Non esiste pericolo o disagio che possa fermare questa corsa al contrario verso l'utero da cui si è usciti. E' un bisogno dell'anima. Certo, se Natale cadesse d'estate come in Australia, tutto suonerebbe meno poetico ma maledettamente più comodo.
da La Stampa



Milano. Messa di Mezzanotte
dall'omelia del Cardinal Dionigi Tettamanzi
... La solidarietà infatti mira ad un orizzonte senza limiti: tanti e diversi sono i bisogni che attendono risposta. Quanti “fondi” si dovrebbero istituire per rispondere a tutte le urgenze! Quanta giustizia e carità, quanta solidarietà e fraternità sono necessarie per le innumerevoli situazioni di povertà, solitudine, malattia, dolore! Penso in particolare ai sofferenti cosiddetti invisibili: una categoria destinata allargarsi drammaticamente se venisse a mancare lo sguardo aperto e penetrante della carità che si fa prossimità e condivisione! Mi riferisco alle tante persone che soffrono per i più differenti disagi psichici, alle sofferenze dei loro familiari.
Come non pensare poi ai carcerati? L’altro ieri ho voluto passare a visitare e benedire le celle di numerosi detenuti a san Vittore. Ho provato tanta pena, anzi un vero e proprio sconcerto per quanto ho visto con i miei occhi. Non posso dimenticare la parola di un detenuto: “Sì, la giustizia deve fare il suo sacrosanto percorso e al colpevole la pena è dovuta, ma le condizioni abitative, nelle loro più elementari esigenze, non possono essere ingiustamente offensive della dignità personale di chiunque”. E concludeva: “In questo modo ci strappano via la nostra dignità umana!”. Mi dicevo, tornando a casa: dovremmo tutti ricordarci della parola del Signore: “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Matteo 25,36) e soprattutto viverla con gesti di solidarietà per rimediare - come e sin dove è possibile - a situazioni di squallore intollerabile.

E sulla terra pace agli uomini che egli ama

Come migliore augurio, in questa Santa Notte, vorrei risuonasse in ciascuno di voi il canto gioioso della moltitudine degli angeli sulla grotta di Betlemme: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Luca 2,14). Il bambino che giace nella mangiatoia lui stesso è la pace, la pace fatta carne umana, la pace assicurata agli amati da Dio, ossia a tutti gli uomini e a ciascuno di essi. Cristo è il “Principe della pace”, scrive il profeta Isaia (9,5); è “la nostra pace”, lo definisce l’apostolo Paolo (Efesini 2,4); lui stesso, Cristo Signore, nelle beatitudini chiede ai suoi discepoli di essere “operatori di pace” (Matteo 5,9).
Quanto è necessaria oggi questa pace! Non solo per tanti popoli tuttora sconvolti dalla guerra, ma anche per il nostro Paese provato da continue tensioni e scontri verbali, forzature bugiarde e ipocrite, strumentalizzazioni inaccettabili e violenze morali e fisiche. Ma quanto è necessaria la pace anche nell’intimo delle nostre famiglie; nelle comunità cristiane, nelle relazioni quotidiane con gli altri: in casa, sul lavoro, nella scuola, in ogni ambito di vita!...

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