mercoledì 23 dicembre 2009
Comuni, immigrazione e discriminazione
Prima o poi ci voleva qualcuno che facesse opera di sintesi. Se non altro per raccontarci cosa ci riserva, in provincia di Brescia, questo ultimo scorcio di fine 2009. La sintesi è quella fatta lunedì dalla Cgil, che nel corso di un incontro con la stampa ha messo ordine in una serie di delibere emanate nelle ultime settimane da alcune amministrazioni comunali. I giornali hanno dato regolarmente conto di questi provvedimenti, ma vederli così, messi in fila uno dopo l'altro scatta qualcosa di inquitante. No, c'è solo Coccaglio, quello che ha chiamato goliardicamente "White Christmas" un'operazione di controllo delle residenze in scadenza a Natale, ma anche Trenzano dove nelle associazioni nate in paese è obbligatorio parlare in italiano nel corso delle riunioni (e il gruppo anziani dove normalmente si parla in dialetto è fuori legge?) o Castelmella dove assegni e borse di studio sono solo per gli italiani o Villa Carcina, dove per ottenere la residenza gli stranieri devono avere requisiti diversificati rispetto agli italiani, o Gavardo dove gli immobili in alcune strade del paese (quelle abitate principalmente da stranieri) devono avere alcuni requisiti igienico- sanitari. Insomma si stanno creando doppi binari per italiani e stranieri e spesso tutto ciò si può definire solo con una parola: discriminazione. Magari la si giustifica con esigenze sacrosante quali sicurezza e legalità ma la finalità è una sola ed è difficle chiamarla diversamente: discriminazione.
Sembra che si stia perdendo progressivamente quella cultura democratica che è stata per anni, tra mille difficoltà economiche e politiche, il vero tesoro del nostro Paese. Sentire un sindaco (cfr. la trasmissione "Anno Zero" di giovedì scorso) dire che si può sacrificare qualche diritto per sentirsi più sicuri, vuole dire che le battaglie di quanti hanno difeso le conquiste democratiche anche ai tempi del terrorismo (quello rosso e quello nero, centinaia di morti e una guerra non convenzionale in corso), pur davanti a quanti invocavano una legislazione d'emergenza, sono passate invano. Che Paese è quello che vive di paure e le combatte con l'arma della discrimazione? Un Paese debole di spirito e di idee, poco autorevole e nel quale è sempre più difficile riconoscerci.
Sembra che si stia perdendo progressivamente quella cultura democratica che è stata per anni, tra mille difficoltà economiche e politiche, il vero tesoro del nostro Paese. Sentire un sindaco (cfr. la trasmissione "Anno Zero" di giovedì scorso) dire che si può sacrificare qualche diritto per sentirsi più sicuri, vuole dire che le battaglie di quanti hanno difeso le conquiste democratiche anche ai tempi del terrorismo (quello rosso e quello nero, centinaia di morti e una guerra non convenzionale in corso), pur davanti a quanti invocavano una legislazione d'emergenza, sono passate invano. Che Paese è quello che vive di paure e le combatte con l'arma della discrimazione? Un Paese debole di spirito e di idee, poco autorevole e nel quale è sempre più difficile riconoscerci.
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