"La qualità vera della comunicazione dipende sempre dalle persone" (Dionigi
Tettamanzi, cardinale, arcivescovo di Milano)
Ci dicono che il vero giornalismo è finito, ci dicono, insomma che dobbiamo morire, schiacciati dalle nuove tecnologie e dai vecchi vizi del mestiere, dalla morte prematura del giornalismo d'inchiesta e dal teorema ancora tutto da provare del "siamo tutti giornalisti". E' di conforto, dunque, l'intervento che Dionigi Tettamanzi (sì l'arcivescovo di Milano e scusate se in questo blog se ne parla quasi di più che su Avvenire) ha affidato a Desk, rivista dell' Unione nazionale dei cronisti cattolici, una pubblicazione che da tempo indaga a fondo e con profitto sul futuro della professione giornalistica.
Cosa dice il cardinale? Parla della nostra fatica di riconoscersi nel modo di vivere la professione così come si sta delineando, con il giornalista sempre meno in strada, sempre più adagiato su un letto di comunicati stampa e veline, sempre più assegnato dai condizionamenti che non sono solo politici, ma anche istituzionali e lobbistici. Parla di una professione che sarebbe meglio definire mestiere perchè, spiega, "essere giornalista oggi è un mestiere, un ministerium: un servizio alle persone, per informarle, per diffondere comunicazione, per servire la verità".
Già, la verità: più che servizio, vedo tanto servilismo, tanta manipolazione "pro domus" che certo non ci fa onore e che alla lunga piega la nostra credibilità. "Parlando della vostro come di un mestiere - continua Tettamanzi - mi viene in mente la figura dell'artigiano, di colui che è capace di fare di sé uno strumento prezioso di lavoro. Voi infatti operate con la vostra mente, le vostre mani, le vostre parole, con le idee, le emozioni. Avete il potere e il compito di ordinare la realtà, quasi per ricrearla modellarla: non per falsarla, ma per fornirne un'interpretazione. (...) La qualità vera della comunicazione dipende sempre dalle persone".
Che lezione di giornalismo da un cardinale, uno stimolo che è anche un conforto: "Abbiamo ancora bisogno del giornalista testimone. Non c'è virtualità che tenga. Abbiamo bisogno di una pluralità di punti di vista di narrazioni. Abbiamo bisogno che i fatti non siano semplicemente mostrati, ma anche interpretati, compresi, ordinati (...) Non finirà mai il vostro mestiere: ce n'è troppo bisogno. C'è bisogno della vostra passione, della vostra fatica, della vostra lungimiranza".
Vorrei che qualcuno mi ricordasse queste parole ad ogni riunione di redazione. Mi sentirei sicuramente meglio e avrei un marcia in più.
0 commenti:
Posta un commento