mercoledì 29 aprile 2009
Mamma, ho perso l'avvocato...
Leggo una bella inchiesta sul "Corriere della Sera" sul futuro della professione di avvocato, sempre più numerosi, sempre più in crescita esponenziale (era 4.429 gli iscritti all'Albo di Milano nel '90, lo scorso anno sono diventati 19.569), sempre più impegnati a consolidare un futuro incerto. In quell'inchiesta anche l'opinione del presidente della Camera penale di Milano, Vinicio Nardo, che alla domanda sul motivo per il quale ha lanciato da tempo un allarme deontologia risponde: "L'aumento spropositato di coloro che si affacciano alla professione di avvocato, e di penalista in particolare, può portare, come in tutti i campi, a un inevitabile scadimento della professionalità. Più avvocati vuol dire più competizione e rischio di abbassamento della soglia del buon comportamento".
In questa frase è facile leggere anche un altro tema, oltre a quello deontologico (che va comunque di pari passo con il buon comporamento professionale) l'aumento della litigiosità. Se non avessi fatto il giornalista, probabilmente, avrei intrapreso la professione forense e in questi anni di studi legali ne ho bazzicati parecchi, a sufficienza per capire quando si accampano tesi e pretese senza fondamento. E di "cause temerarie" - come si dice - se ne vedono in giro parecchie: basta guardare le istanze che spesso avvocati più o meno giovani avanzano a giornali contestando il contenuto di qualche articolo pubblicato. Istanze non di rado prive di fondamento giuridico (soprattutto in tema di privacy), richieste di danni irricevibili che in realtà sarebbero risolvibili con una semplice lettera di precisazioni. Insomma: iniziative fuori misura fatte semplicemente per poter giustificare una parcella di qualche centinaio di euro. Un tempo gli avvocati, da buoni professionisti, sapevano dire anche qualche no nell'interesse del cliente davanti a richieste più dettate dalla rabbia del momento che da pretese realmente fondate sul diritto e quindi dotate di una ipotetica prognosi positiva in sede di giudizio. Oggi, purtroppo, non è più così e a farne le spese, oltre ad una nobile professione come quella dell'avvocato, è, come sempre, il cliente consumatore.
In questa frase è facile leggere anche un altro tema, oltre a quello deontologico (che va comunque di pari passo con il buon comporamento professionale) l'aumento della litigiosità. Se non avessi fatto il giornalista, probabilmente, avrei intrapreso la professione forense e in questi anni di studi legali ne ho bazzicati parecchi, a sufficienza per capire quando si accampano tesi e pretese senza fondamento. E di "cause temerarie" - come si dice - se ne vedono in giro parecchie: basta guardare le istanze che spesso avvocati più o meno giovani avanzano a giornali contestando il contenuto di qualche articolo pubblicato. Istanze non di rado prive di fondamento giuridico (soprattutto in tema di privacy), richieste di danni irricevibili che in realtà sarebbero risolvibili con una semplice lettera di precisazioni. Insomma: iniziative fuori misura fatte semplicemente per poter giustificare una parcella di qualche centinaio di euro. Un tempo gli avvocati, da buoni professionisti, sapevano dire anche qualche no nell'interesse del cliente davanti a richieste più dettate dalla rabbia del momento che da pretese realmente fondate sul diritto e quindi dotate di una ipotetica prognosi positiva in sede di giudizio. Oggi, purtroppo, non è più così e a farne le spese, oltre ad una nobile professione come quella dell'avvocato, è, come sempre, il cliente consumatore.
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1 commenti:
Cosa suggerisci?
Mettiamo un bel numero chiuso anche alla facoltà di Legge?
Il problema dell'esubero dei medici l'avevamo risolto così (oddìo: proprio "risolto risolto" no, ma almeno contenuto..)
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