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venerdì 3 aprile 2009

Che faccia ha la crisi?

Ecco come cavarsela nell'America profonda ai tempi della crisi







"Gli economisti sono chirurghi che hanno un eccellente scalpello e un bisturi scheggiato, sicchè operano a meraviglia sul morto e martorizzano il vivo" (Nicolas de Chamfort)


Che faccia ha la crisi? La faccia degli uomini in giacca e cravatta che lasciano gli uffici della banca d'affari americana con i loro scatoloni o quella dell'ex operaio che ha tirato su una tenda a fianco della ferrovia perchè la crisi si è portata via casa e lavoro? "Picturing the recession" è l'iniziativa lanciata dalla versione on line del quotidiano New York times in cui i lettori sono invitati a mandare la loro testimonianza visiva di questa crisi economica che sta spazzando il mondo. Così dall'America profonda arrivano immagini di store con le vetrine tapezzate di super sconti, facce desolate di giovani un po' sovrappeso sprofondati in divani provati dall'usura, inebetiti da una vita che, in un lampo, si è trasformata in tempesta. Così la fotogallery si anima di facce senza tetto, spazi senza apparente futuro, cronache dell'abbandono, microstorie di piccoli smottamenti quotidiani.
E le facce della nostra crisi quali sono? E se dovessimo anche noi "to picture the recession"? Scatterei una foto al papà operaio che accompagna il figlio a scuola la mattina (mai visti tanti uomini ad evadere l'incombenza come in questi mesi), che si aggira con aria smarrita fra le bancarelle del mercato, che rovista fra felpe e camice "tutto a 5 euro". Scatterei una foto al mio giovane vicino di casa che ho incontrato questa mattina con il cane al guinzaglio: la sua azienda è stata messa in liquidazione e la sua faccia da depresso "dog sitter" parla più di mille comunicati sindacali. Scatterei una foto anche a quel signore che non so bene come si chiami ma che, sotto il municipio del mio paese, ha pensato bene di raccontarmi la sua storia come ad un confessore. Una vita fatta di fabbriche che chiudevano, lavori plurimi per potersi garantire uno stipendio dignitoso e l'ultimo schiaffo dell'azienda in liquidazione (sì, la stessa del giovane vicino di casa). A salvarlo questa volta, dopo la cassa integrazione, ci sarà il pensionamento, ma in quella fabbrica ha trovato posto la figlia e lui di questo non sa darsi pace.
Scatterei una foto alle tante storie che basterebbe raccontare con un clic, le ritaglierei e ne farei un maxi poster (ricordate il Toscani di "United colors of Benetton"?) e vorrei sventolarlo come una bandiera al prossimo G20, chiedendo - sommessamente, perchè altrimenti la regina si adombra - "Do you like mister Obama? Do you like mister Berlusconi?"...

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