venerdì 24 aprile 2009
Una laurea dietro le sbarre
Erika De Nardo, la ragazza, oggi 25enne, che il 21 febbraio 2001 uccise, da minorenne, in compagnia del fidanzato la madre e il fratello nella villetta di famiglia a Novi Ligure, si è laureata in lettere e filosofia con 110 e lode. Fin qui la notizia, ora inizia la speranza.
Sì, la speranza: perchè Erika, condannata a 16 anni di reclusione, è da otto anni in cella e quella laurea l'ha conseguita nel carcere di Verziano a Brescia. Erika è la prima detenuta laureata del nuovo polo universitario nato nella struttura detentiva bresciana, una detenuta "illustre" per le cronache, che continuano a seguire questa ragazza con attenzioni che spesso sconfinano nella morbosità (vedi i filmati - testimonianza contenuti nel fascicolo processuale dell'omicidio e proposti alcune settimane fa, nonostante siano passati anni dal fatto, a Matrix); una detenuta famosa a far da testimonial ad una iniziativa sulla quale i promotori (le Università bresciane, l'associazioni Carcere e territorio, l'amministrazione carceraria lombarda) ripongono molte aspettative.
Il percorso rieducativo di un detenuto passa anche attraverso la formazione, la scuola, lo studio ed Erika è la testimonianza che, con lo sforzo di tutti, in carcere si può intraprendere un percorso scolastico complesso come quello universitario; si può iniziare a mettere le basi di una nuova vita, per riprendersi in mano l'esistenza quando si saranno riaperte definitivamente le porte della cella. Erika e la sua storia ancora una volta sono tornate al centro della cronaca (ricordo che nell'unica occasione in cui l'ho incontrata, manifestò una certa insofferenza per le continue attenzioni mediatiche), ma questa volta, gli occhi dell'informazioni è giusto che guardino oltre il volto di quella ragazza. La detenuta "illustre" (si fa per dire, visto che non esistono carcerati illustri, ma solo persone che pagano per le loro colpe) è finalmente testimonial di una speranza, di una scommessa vinta: quella che un percorso rieducativo, anche in carcere, anche nelle carceri italiane, è possibile. Qualcuno storcerà il naso perchè nel paese delle leggi anti - kebab, dove è vietato anche stendere i panni alle finestre per il pubblico decoro, qualcuno preferirebbe aver buttato via la chiave della cella di Erika De Nardo, anche perchè è meglio dimenticare che confontarsi con un dramma famigliare inquietante come quello di Novi Ligure. Ma nulla potrà restituire alla vita la mamma e il fratello di Erika e il destino può guardare solo avanti. Qualcuno in questi anni a casa De Nardo l'ha fatto: è il padre di Erika, l'uomo che la sera del delitto era ad una partita di calcetto con gli amici. Francesco De Nardo non ha mai abbandonato la figlia e l'altro giorno nell'aula del carcere di Verziano assisteva alla discussione della tesi. Quel 110 e lode è anche un po' per lui. Una sorta di voto "in condotta" per quel padre lacerato dai dubbi e per tutti quelli che nel progetto universitario dietro le sbarra del carcere hanno creduto tanto, vincendo luoghi comuni e ottusità. Congratulazioni Erika e in bocca al lupo a tutti quelli che stanno facendo lo stesso percorso....
Sì, la speranza: perchè Erika, condannata a 16 anni di reclusione, è da otto anni in cella e quella laurea l'ha conseguita nel carcere di Verziano a Brescia. Erika è la prima detenuta laureata del nuovo polo universitario nato nella struttura detentiva bresciana, una detenuta "illustre" per le cronache, che continuano a seguire questa ragazza con attenzioni che spesso sconfinano nella morbosità (vedi i filmati - testimonianza contenuti nel fascicolo processuale dell'omicidio e proposti alcune settimane fa, nonostante siano passati anni dal fatto, a Matrix); una detenuta famosa a far da testimonial ad una iniziativa sulla quale i promotori (le Università bresciane, l'associazioni Carcere e territorio, l'amministrazione carceraria lombarda) ripongono molte aspettative.
Il percorso rieducativo di un detenuto passa anche attraverso la formazione, la scuola, lo studio ed Erika è la testimonianza che, con lo sforzo di tutti, in carcere si può intraprendere un percorso scolastico complesso come quello universitario; si può iniziare a mettere le basi di una nuova vita, per riprendersi in mano l'esistenza quando si saranno riaperte definitivamente le porte della cella. Erika e la sua storia ancora una volta sono tornate al centro della cronaca (ricordo che nell'unica occasione in cui l'ho incontrata, manifestò una certa insofferenza per le continue attenzioni mediatiche), ma questa volta, gli occhi dell'informazioni è giusto che guardino oltre il volto di quella ragazza. La detenuta "illustre" (si fa per dire, visto che non esistono carcerati illustri, ma solo persone che pagano per le loro colpe) è finalmente testimonial di una speranza, di una scommessa vinta: quella che un percorso rieducativo, anche in carcere, anche nelle carceri italiane, è possibile. Qualcuno storcerà il naso perchè nel paese delle leggi anti - kebab, dove è vietato anche stendere i panni alle finestre per il pubblico decoro, qualcuno preferirebbe aver buttato via la chiave della cella di Erika De Nardo, anche perchè è meglio dimenticare che confontarsi con un dramma famigliare inquietante come quello di Novi Ligure. Ma nulla potrà restituire alla vita la mamma e il fratello di Erika e il destino può guardare solo avanti. Qualcuno in questi anni a casa De Nardo l'ha fatto: è il padre di Erika, l'uomo che la sera del delitto era ad una partita di calcetto con gli amici. Francesco De Nardo non ha mai abbandonato la figlia e l'altro giorno nell'aula del carcere di Verziano assisteva alla discussione della tesi. Quel 110 e lode è anche un po' per lui. Una sorta di voto "in condotta" per quel padre lacerato dai dubbi e per tutti quelli che nel progetto universitario dietro le sbarra del carcere hanno creduto tanto, vincendo luoghi comuni e ottusità. Congratulazioni Erika e in bocca al lupo a tutti quelli che stanno facendo lo stesso percorso....
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4 commenti:
Vedi che sei un ottimista?
Per fortuna al mondo esistono persone come te e il padre di Erika; io non credo che, al suo posto, sarei riuscita a perdonarla.
Quello di Marco non è ottimismo: è realismo, e mi trovo profondamente d'accordo con lui. Non so cosa avrei fatto al posto del padre di Erika: so che quest'uomo mi sta insegnando molto, e per questo lo ringrazio, come ringrazio quanti stanno aiutando i detenuti a rientrare nella società. Abbiamo imparato a riciclare la carta: penso che recuperare le persone sia enormemente più importante.
Alessandro Zucchelli
Il carcere deve essere una punizione rieducativa e nulla di più. Altrimenti, è una pena di morte tra quattro mura. Complimenti a chi ha avviato il progetto, a chi lo ha sostenuto e a chi lo segue con la speranza che un giorno possa intraprendere una vita come quella di tutti noi. Bella o brutta che sia.
Il carcere deve essere punitivo....altrimenti non ci sarebbe giustizia e sarebbe come trasformare la strada verso la meta in un percorso appena un po' più tortuoso. Dimenticandosi che, spesso, chi è in carcere è lì perchè quella strada l'ha interrotta.
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